NEL LAGER DI BIALA PODLASKA (2^ parte)

 

da Matteo Claudio Zarrella

(magistrato già presidente del Tribunale di Lagonegro)

 

Dr. Matteo Cludio Zarrella

Nel lager di Biala Podlaska, Albino custodiva il suo No, come un giuramento sacro, raccogliendo tutte le forze possibili per poterlo rinnovare. Al prigioniero era dato, di riparo dal freddo intenso, un pastrano e, in mancanza, il cappotto appartenuto a un russo morto di tifo petecchiale o ucciso dal colpo di sparo della sentinella appostata alla torretta. Guareschi, internato di lungo corso, nel suo Diario Clandestino, parla del“cappotto con la piccola toppa sul petto o sulla schiena, che chiude un buco attraverso il quale entrò una pallottola e uscì un’anima”.

Nelle baracche di legno il freddo gelido filtrava attraverso fessure e buche. L’acqua gocciolava dai tetti e produceva la sua arte: ghiaccioli belli come cristalli, di venti centimetri e oltre di lunghezza. I prigionieri raccoglievano, per dissetarsi, nelle mani concave, le stille d’acqua che colavano dai ghiaccioli. Operai polacchi, venuti a coprire con carta catramata buche e fessure, portavano notizie del mondo di fuori. Dicevano che in altri lager gli internati erano mandati a morire con il gas nelle camere destinate alla disinfestazione e anticipavano la prossima visita di emissari della nuova Repubblica fascista. Ed infatti, sin dai primi giorni di novembre, Ufficiali di questa nuova Repubblica fascista, si avvicendarono sul palco della Propaganda, ad arringare una massa di prigionieri affamati e infreddoliti. Mostravano nuovo distintivo: al posto delle stellette, un gladio contornato da fronde di quercia che li faceva apparire quasi nemici. Prima della loro “visita”, si riduceva il rancio e il carbone per il riscaldamento. Fame e freddo avrebbero reso più convincenti gli oratori della Propaganda. Ritti in piedi, gelati da un freddo scendente sotto i venti gradi, per due ore dovevano aspettare e sentire l’oratore di turno di cui si prevedevano i discorsi prima che parlasse. Si aggiunsero ai soliti incitamenti retorici importanti novità. Parlavano della sicura vittoria della Germania, con allusione a nuovi “meravigliosi” armamenti; della creazione di quattro divisioni formate da internati che sarebbero stati liberati dai lager; dell’arresto di Ciano e degli iscritti nella lista dei traditori. Proponevano allettanti offerte agli internati, in caso di adesione politica, senza riserve, al Governo repubblicano: l’inquadramento in servizio permanente effettivo, nel nuovo esercito di Mussolini, per gli ufficiali di carriera; il trasferimento dei soldati nei campi di addestramento designati dal Comando tedesco. Gli aderenti avrebbero conseguito lo stesso trattamento economico riservato ai militari del Reich e un immediato miglioramento delle condizioni di vitto e di alloggio.

I Cappellani di Biala Podlaska, in uniforme con il grado di tenente, incitavano gli internati ad una convinta adesione. Avevano ottenuto dal Comando tedesco una baracca adattata a chiesa e predicavano: “Aderire alla Repubblica Sociale è un sacro dovere di fronte a Dio e di fronte agli uomini”.

Il Fiduciario, Ufficiale degli alpini, Anziano Comandate italiano del campo, andava dicendo ai prigionieri italiani: “Firmiamo tutti, torniamo in Italia, e poi si vedrà”.

Il lager Biala Podlaska

Un Generale italiano, a capo di una Commissione di Propaganda, sopraggiunto con una scorta di tedeschi nel lager, parlò chiaro ai prigionieri adunati nel piazzale: “Se aderite avete lo stesso trattamento del militare tedesco. Mangiate bene e siete ben pagati e le vostre famiglie saranno trattate con rispetto. Altrimenti sarete abbandonati all’avverso destino. Ci penseranno la fame e l’inverno polacco a servirvi”. Quel discorso agli internati non piacque, trattati com’erano da mercenari interessati a nient’altro che al soldo, alla pancia. Sciolta l’adunata, ai prigionieri che gli si avvicinavano per chiedere spiegazione, consigliava, con cenni e ammiccamenti, di aderire per rientrare in Patria: “In Italia ci sono le montagne e in montagna ci si può anche perdere”. Ad Albino tornava in mente “l’Insegnante”, Comandante italiano del lager di Dortmund, che invitava i prigionieri italiani ad aderire dicendo: “Per carità di Patria. Altrimenti vi deporteranno in Polonia, alle porte dell’inverno con il freddo che raggiunge i 40 gradi sotto zero”. Una previsione che aveva trovato conferma. Il Fiduciario e il Generale, l’Insegnante di Dortmund, avevano dato buoni consigli? Tra gli estremi del No e del Si, vi erano vie di mezzo?

Il lager Biala Podlaska

Usate a fini di propaganda erano le lettere spedite dai familiari che spingevano all’adesione. Si dava trascinante lettura, alle adunate degli appelli, della lettera accorata di una madre. Ognuno sentiva per sé quelle parole di mamma: “Ho ottant’anni, sono sola al mondo, non ho che te. Ti scongiuro, ti prego in ginocchio di tornare, di firmare qualsiasi cosa, ma di tornare. È tua madre che ti prega, è tua madre che ha diritto di rivederti prima di morire. Adesso non mi potrai dire che ci sono ancora dei doveri con tutta la confusione che è nata. Ho saputo che il Marino è rientrato”. Un colpo al cuore per Albino, che doveva resistere alla più lancinante delle pressioni. Col pensiero interamente rivolto alla famiglia, scrisse una lettera, in data 13 novembre 1943, per assicurare di essere “vivo” e rintracciabile a Biala Podlaska. “Carissimo padre, godo di ottima salute ed il mio spirito è elevato e Vi prego di non soffrire per l’attuale mia posizione, il trattamento è discreto. Curate gli interessi della famiglia mantenendo in essa calma e tranquillità. Preparatemi un pacco per mezzo del quale mi inviate cibarie e tabacco. Vi invio il mod. per la sped. Albino”. La lettera di Albino giungerà a destinazione agli inizi di Aprile del 1944, quando di Albino si saranno perse le tracce.

 

 

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