Aldo Bianchini
SALERNO – Mi accingo ad analizzare, per quanto possibile, gli esiti dell’interrogatorio cui è stato sottoposto, nella giornata del 15 marzo scorso, il dr. Enrico Coscioni (primario della cardiochirurgia del Ruggi, sospeso per 12 mesi dall’attività medica a causa della morte del paziente Umberto Maddolo che gli inquirenti ritengono determinata da un lembo di garza lasciata inopinatamente nel cuore) dal gip Piero Indinnimeo in presenza della pm Lidia Vivaldi, ed è opportuno precisare in partenza che lo faccio sulla scorta dei vari report giornalistici pubblicati in questi giorni e solo sulla base della esperienza di cronista giudiziario.
Orbene, leggendo i vari report, la prima cosa che ho fatto è sorridere al pensiero di come, molto probabilmente, hanno sorriso gli stessi magistrati sopra citati di fronte al puerile tentativo dell’indagato e dei suoi avvocati nel voler ostinatamente rimescolare la lana con la seta con la speranza di poter utilizzare la lana per nascondere la seta.
Ovviamente la lana è tutta la descrizione della poderosa attività svolta per nobilitare l’eccellenza della cardiochirurgia nostrana, dallo stesso primario e dalla sua equipe, esibendo dati statistici locali e nazionali; e la seta che rappresenta, invece, il cuore centrale dell’inchiesta, cioè la morte di Maddolo da cosa è stata provocata: dal lembo di garza lasciata nel cuore o da un evento naturale ?
Questo concetto essenziale io l’ho capito fin dal 1983 quando, assistito dai miei avvocati Silverio Sica e Marco Martini, di fronte al giudice Giovanni Pentagallo cercavo affannosamente di presentare il quadro positivo della mia attività lavorativa (ero ispettore di vigilanza degli infortuni sul lavoro); il giudice, con la sua proverbiale severa serenità, senza guardarmi negli occhi (forse per rimanere indipendente nel giudizio !!) , disse: “Lei è qui non per declamare la sua pur riconosciuta professionalità lavorativa quantificata da una apprezzabile statistica ma semplicemente per rispondere alle mie domande e le chiedo nuovamente cosa ha fatto, chi ha visto, quali pratiche ha trattato in quella determinata circostanza oggetta delle indagini”. Cosa intendo dire con questo ricordo del passato; voglio sommessamente dire che nessun quadro angelico della propria vita e della propria attività lavorativa, mai e poi mai, potrà avere una valenza discolpante di fronte ad un giudice; anzi nel migliore dei casi il giudice si predispone male per l’ascolto della continuazione della narrazione difensiva. A loro non piace tergiversare, per mestiere fanno domande e pretendono risposte precise, concise e possibilmente sincere e convincenti.
E’ inutile precisare che questa è la figura del giudice sulla carta, poi sono uomini anche loro e tutte le deviazioni potrebbero essere possibili; il fatto che mi sorprende è che ancora oggi possa esserci qualcuno che pensa di rabbonire il giudice ed addolcire il tema dell’inchiesta spiegando, in forma assolutamente subalterna al magistrato, che l’indagato è il top professionale nel lavoro e i fatti oggetto di indagini sono soltanto una casualità.
L’unica cosa veramente importante per dimostrare l’innocenza di Coscioni (nella quale io credo fermamente) è costituita da quella parte dell’interrogatorio in cui il cardiochirurgo spiega: “che nella cartella clinica ha scritto della mancanza della garza, quindi che i colleghi della Rianimazione ne erano a conoscenza. E anche che sarebbe stato compito dei sanitari di Radiologia scoprire dove fosse finita la stessa. Esami che furono eseguiti senza alcun esito” (fonte Il Mattino del 16.03.24); è proprio questo a ben vedere il nodo scorsoio del problema che, dopo un attento esame del “protocollo sanitario”, può rovesciare la responsabilità da una parte anziché dall’altra anche al fine di allontanare ogni dubbio da una possibile e non improbabile congiura interna della Torre in danno dell’ancora una volta malcapitato dr. Enrico Coscioni.
Nei prossimi giorni conosceremo le determinazioni della Procura in merito alla richiesta di annullamento della sospensione avanzata sia dal Coscioni che da tutti gli altri suoi colleghi; tutto il resto è noia.