Aldo Bianchini
SALERNO – Ci avviciniamo verso la conclusione di questo lungo racconto con il quale ho cercato di ricordare alla memoria collettiva cosa accadde nei primi due anni della cosiddetta tangentopoli salernitana; una specie di cronistoria, giorno dopo giorno, di quegli avvenimenti che smantellarono per sempre gli assetti di potere politico fino a quel punto ben consolidati per aprire la strada a nuovi “sistemi di potere politico” che, come quello deluchiano, durano ancora oggi.
L’anno 1994 si aprì con una clamorosa inchiesta sulla massoneria (quella denunciata dall’avv. Diego Cacciatore il 3 ottobre del 93 – capitolo n. 90) con ben sette magistrati impegnati: D’Alessio, Di Nicola e Primicerio di Salerno; D’Amelio e Lucianetti di Foggia; Sgroi e Amboni di Palmi; e la supervisione di Agostino Cordova che da poco aveva occupato la poltrona di capo della Procura di Napoli; addirittura entra in ballo anche Gherardo Colombo d Milano. Tanto fumo !!
Ma il 10 gennaio 1994 il Gip di Salerno, Claudio Tringali, denuncia uno stato di stallo della giustizia che secondo il magistrato era insopportabile: “Declino ogni responsabilità del mio ufficio GIP del Tribunale a causa delle prolungate, ripetute assenze della mia assistente non sostituita, che provocano ritardi, paralisi e la nullità degli atti. Denunzio la disamministrazione del servizio Gip e la scarsa professionalità. Chiedo adeguati e solleciti interventi”.
L’appello di Tringali scuote fin dalle fondamenta l’intero palazzo di giustizia e tocca la sensibilità del presidente Isacco D’Ambrosio e quella di Mario Consolazio presidente della Corte di Appello. La giustizia sta per soccombere alla burocrazia; gli adeguati e solleciti interventi non ci saranno mai e tutti i processi ne subiranno le conseguenze.
L’11 gennaio 94 tutto il Cilento venne scosso dal terremoto giudiziario: in cella 11 personaggi cilentani tra sindaci, assessori, consiglieri per il CIM (centro di igiene mentale) e il comitato di gestione USL/60: Paolo Caputo (PSI), Michele Maratea e Annibale Puca (ex sindaci di Rutino), Michele Miglino – Albino Pizzo Santo e Arturo Borrelli (ex amministratori Rutino),Vincenzo Barlotti, Michele Nigro, Gerardo Spira, Antonio Cuoco e Roberto Lattanzio. Diciotto i capi d’imputazione per gare truccate al fine di drenare fondi regionali. Ma il caso dopo qualche mese si sgonfia.
Il 13 gennaio 94 si concluse il processo al “clan Maiale” di Eboli con sentenza per complessivi 150 anni di carcere per Giovanni Maiale (15), Agostino Corrado, Cosimo Marotta, Alfonso Lamberti, Carmine Notargiacomo ed altri. Va segnalato che proprio dal processo Mile presero vita le accuse contro gli on.li Conte e Del Mese (quelle del 5 luglio 1993, già raccontate in precedenza). La sentenza fu letta la sera del 13 gennaio nell’aula della seconda sezione penale; dal fondo dell’aula si levò un grido di massa dalle mogli, genitori e parenti dei condannati: “Ridicoli, ladri, assassini … avete coperto ancora una volta i politici, i veri delinquenti, avete distrutto le nostre famiglie … “.
Il 16 gennaio 1994 arrivò anche la resa dei conti per l’ ACES (Associazione Costruttori Edili Salernitani); l’avv. Cardito, appena uscito di prigione, scatena un repulisti all’interno dell’associazione che aveva presieduto; ne fanno le spese il direttore Giovanni Cairone e il funzionario Gabriele D’Agostino per un ipotetico buco nei conti Aces.
Il 22 gennaio 94 Il Mattino annuncia che è stata scoperta la cosiddetta “tangente del conte”; un affare intorno ai 500milioni di lire sottratti al Consorzio Destra Sele. Settimo mandato di cattura per Gaspare Russo (latitante), agli arresti domiciliari finirono il conte Gennaro Del Balzo e i costruttori Eugenio Marino di Napoli, Luigi Garetti di Piacenza e Vincenzo Terralavoro di Eboli. Ma anche questa inchiesta presto rimarrà vittima della inconcludenza di tangentopoli.
Martedì 25 gennaio 1994, i veleni smottano anche nella neo giunta comunale di De Luca; esce improvvisamente di scena il prof. Pino Cantillo in disaccordo totale con il sindaco; la causa sono le velenose dichiarazioni in carcere di Luigi Cardito contro l’amministrazione comunale rea di aver avviato una spartizione del potere; ma ci sono anche i contrasti per le nomine di Salvatore Memoli all’Azienda del Gas e di Mario De Biase (attenzionato dalla magistratura per lo scandalo dei contributi INPS relativi alla sua attività lavorativa nella segreteria provinciale del partito) alla Centrale del Latte.
E il giorno dopo, 26 gennaio 1994, scattano le manette anche per il noto avvocato amministrativista Ruggero Musio (cognato del magistrato Giovanni Pentagallo che presiede il collegio giudicante del processo “Fondovalle Calore nelle acque della politica locale, sono scattate le manette. Un arresto farlocco che, comunque, viene annunciato da Il Mattino in pompa magna: “E alla fine anche per lui, abile e astuto navigatore. E’ scivolato su una buccia di banana: una mazzetta da 20 milioni pagata a metà da Alberto Schiavo e Luigi Cardito per l sua campagna elettorale alle elezioni politiche del 1992”. La notizia dell’arresto di Musio arriva nell’aula del tribunale intorno alle ore 11.00 di quel mercoledì 26 gennaio; neppure un muscolo si muove sul viso del giudice Pentagallo che presiede l’udienza del processo Fondovalle, i suoi tratti somatici rimangono impassibili, anche se di fronte ha i due pm (Di Nicola e D’Alessio) che hanno richiesto ed ottenuto l’arresto clamoroso.
Il capolavoro dell’arch. Giovanni Giannattasio
(da “A dieci anni da tangentopoli” ed. Loffredo spa di Napoli – 2004):
<<<La mattina del 28 gennaio 1994 è il turno del famoso architetto e dicente universitario Giovanni Giannattasio, socialista di area contiana. La sua firma è quella del successo: plurimi incarichi, troppi lavori e molti soldi. L’accusa è pesante; con il boss Gennaro Citarella avrebbe estorto denaro ad una ditta romana e ad altre ATI, in cambio degli appalti IACP di Cava de’ Tirreni e Baronissi. Insieme a lui in carcere anche il romano Mario Amarilli. Particolare l’incontro, pochi giorni prima dell’arresto, nella redazione giornalistica di TV Oggi e il sottoscritto; pressante la richiesta di notizie su un suo eventuale coinvolgimento nella tangentopoli. Da me considerato, insieme al super Luciano Pignataro, un conoscitore dei segreti della Procura della Repubblica venivano davvero in tanti; per tutti avevo parole di forte solidarietà e sostegno morale.
Il suo capolavoro Giovanni Giannattasio lo compie il 16 febbraio 1994 (giusto trent’anni fa); pochi giorni dopo la sua uscita da Fuorni per i domiciliari viene nuovamente prelevato di peso dall’ispettore di polizia Mario Porcelli e tradotto in Procura al cospetto del pm Michelangelo Russo (in quel momento titolare dell’inchiesta sul Trincerone Ferroviario); davanti al magistrato è visibilmente impaurito e teme, forse, un nuovo trasferimento a Fuorni (stato umanamente comprensibile); sotto il fuoco di fila delle domande crolla e dichiara testualmente: “Posso dire con tutta certezza, e professionalità ultratrentennale, che il progetto base del Comune di Salerno per il Trincerone Ferroviario non era assolutamente esecutivo ma un semplice tracciato che si sovrapponeva tout court al tessuto edili esistente”. Poche parole ma pesantissime e che avranno, comunque davanti al GUP (che di lì a qualche giorno doveva aprire l’udienza preliminare il processo Trincerone) avranno un peso enorme su tutti gli altri processi in quanto tutta la tangentopoli salernitana era stata costruita sull’assunto che tutti progetti presi in esame non erano esecutivi e che erano stati pagati per tali. Oltretutto l’interrogatorio di Giannattasio cade a sette giorni prima della sentenza per il processo Fondovalle Calore che si avvia all’ultima udienza.>>>
La domanda è: “Quanto ha pesato il suddetto interrogatorio sull’esito del processo Fondovalle e quanto sugli altri processi ?”. In quel momento sembrava che avesse pesato tantissimo; in realtà a freddo e dopo trent’anni si può dire che pesò pochissimo in quanto il concetto di fondo che “i progetti non erano esecutivi” durò il breve volgere di una stagione.
La cosa grave, anzi gravissima, è un’altra e va denunciata alla pubblica opinione; e cioè che il famigerato “tintinnio di manette” utilizzato da molti PM consentì una inverosimile pressione psicologica sugli indagati molto più delle presunte prove; e furono molti gli uomini (ivi compreso Giannattasio) che pur avendo avuto molto dalla politica si piegarono impauriti davanti allo spettro del carcere senza opporre la minima resistenza.