da Nicola Femminella (docente – scrittore – giornalista – storico)
Il Rapporto della SVIMEZ 2023, nel riproporre i dati dello spopolamento in atto nel Sud e le previsioni per i prossimi decenni, ha lanciato un grido d’allarme ancora più assordante rispetto agli anni passati. Il fenomeno investe anche i borghi nelle zone interne dei quattro comprensori del Cilento e non necessitano i dati riguardanti i singoli paesi, per constatarne la rapida crescita che si è avuta fino ad oggi. Gli amici che incontro per strada e con i quali scambio qualche parola, quando si chiedono notizie dei figli, è uguale, inevitabile la risposta: lavorano al Nord o all’estero. Quasi sempre compare sul viso la delusione per tale incombenza non del tutto accettata e difficile da metabolizzare, essendo nei desideri dei genitori avere accanto i propri figli, per i quali si sono spesi. Sono tutti ragazzi in possesso di laurea o diploma di un istituto superiore, che non hanno trovato lavoro nelle nostre zone, pur avendolo cercato, prima di emigrare altrove. Le mamme assicurano che vivere nel proprio paese era per i loro figli la prima opzione nel disegno del loro futuro. La rassegnazione compare scritta e ineluttabile: difficilmente torneranno, comporranno famiglia altrove e i figli non frequenteranno le scuole nostrane che continuano a scomparire come abbiamo constatato nei giorni scorsi, seguendo il lungo e affannoso dibattito sviluppato dai sindaci, per evitare i numerosi accorpamenti degli istituti scolastici e la chiusura delle scuole, unita al numero ridotto dei dirigenti.
A questo punto i dati sono da citare e sono duri da digerire.
Tra il 2002 e il 2021 la popolazione nel Mezzogiorno si è ridotta di oltre un milione di persone, mentre è risultata stabile nel Centro-Nord. Tra il 2002 e il 2021 il Mezzogiorno ha subìto un deflusso netto di 808mila under 35, di cui 263mila laureati. Ma con circa 38mila ragazzi nel solo 2021, di cui 20mila laureati. Il dato lieviterà di molto, perché la velocità attuale del suo incedere negativo si è triplicata. Il rapporto SVIMEZ assicura che entro il 2080 saranno 8 milioni i giovani che verranno a mancare, costretti a trasferire la residenza nelle città del Settentrione o aldilà delle Alpi. Nel recente passato, a partire sono stati il 26% dei giovani laureati; nel 2022, invece, il numero è cresciuto ed ha raggiunto il 42% dei 63mila giovani giunti nelle regioni del Nord. Sembra che la laurea sia un elemento negativo per trovare una occupazione al Sud. La verità è che non esiste un tessuto socio-economico pronto ad accogliere coloro che ne sono in possesso. L’investimento posto in essere dalle famiglie e dallo Stato per garantire un futuro migliore ai giovani ed elevare il quadro socio economico del territorio si annulla e si trasferisce ai Paesi disposti ad accogliere mano d’opera in possesso di titolo di studio spendibile da inserire nei loro sistemi produttivi. Una doppia negatività: sociale ed economica, dolorosa e autolesionista. Le cause sono principalmente due sostengono gli esperti: la mancanza di un sistema produttivo in linea con il villaggio globale spalmato nelle regioni del Sud e i servizi carenti che abbassano la qualità della vita quotidiana vissuta in tali territori. Altri studiosi del problema aggiungono le attività agricole indigeste ai nostri giovani, quelle relative agli allevamenti nostrani assai ridotte, la crisi delle reti commerciali a causa dei supermercati e delle vendite on-line, le piccole aziende manufatturiere che non si affermano, il turismo che indugia nell’esprimere appieno il proprio potenziale, la mancata valorizzazione delle risorse naturalistiche che pure abbondano da noi, copiose e attraenti, le molte occasioni perdute per la dabbenaggine di coloro che le avrebbero dovuto utilizzare e mille altre ragioni, legate ad uno sviluppo privo di una visione complessiva che avesse una forza trainante. Io aggiungo la qualità del servizio scolastico che non forma giovani in grado di essere imprenditori di se stessi, per cui le loro iniziative o non vedono la luce del sole o abortiscono per scarse capacità nell’affrontare situazioni che richiedono la pratica al massimo livello del problem-solving, la capacità di sapersi orientare nel proprio ambiente e la non sufficiente padronanza delle tecnologie avanzate che già preannunciano una nuova civiltà, quella dell’intelligenza artificiale.
E a nulla vale affermare che le esperienze lavorative nei paesi lontani dal proprio sono utili alla crescita e al patrimonio esperienziale dei giovani, quando il viaggio di andata non è determinato dalla scelta personale e dalla prospettiva di un ritorno possibile.
Qualcuno si aspettava dal PNRR una nuova era, ricca di occasioni per risolvere almeno in parte vecchie insufficienze e colmare vuoti abissali o riprendere giacimenti abbandonati per riproporre nuove occasioni con le quali il Meridione sarebbe entrato in campo. Ma la speranza nutrita per i miliardi che l’UE ci ha concesso hanno perso il valore specifico per i ritardi che non mancano mai lungo la strada tracciata dalla burocrazia e, soprattutto, per i tecnici in dotazione alle amministrazioni locali e comprensoriali che hanno mostrato limiti palesi nel progettare opere e interventi pubblici idonei per risollevare gl’indici di crescita sociale ed economica nel Mezzogiorno d’Italia. Ma un altro uragano potrebbe arrivare e di certo incidere sulle dinamiche che alimentano l’impoverimento demografico nelle nostre regioni. L’Autonomia Differenziata avanza nei palazzi romani di governo e la determinazione di coloro che la perseguono fa valere la propria maggioranza nel votare decreti e leggi a sostegno. Essa si afferma e straripa senza margini alla ricerca di interessi puramente di ordine economico. L’intervento del senatore Francesco Castiello nel Senato, fortemente critico verso il decreto legge sull’Autonomia voluto e votato dalla Lega e dagli alleati al governo del paese, è stato condotto con competenza e argomentazioni che hanno prefigurato un futuro poco sicuro per coloro che abitano nel Meridione. Anche il referendum che in ultima istanza decreterà l’adozione della legge potrà ancora una volta vedere un Sud disunito e non deciso nel difendere le proprie ragioni e interessi. Se ne vedono già i segnali. Dovendo esprimere una mia opinione, io sono dell’avviso che, al di là delle questioni di ordine generale e di quelle che derivano da scenari internazionali come l’nflazione e l’approvvigionamento delle materie prime, è tempo di deporre i verbalismi inutili. Le comunità che vivono al sud, in testa i politici responsabili della res publica, analizzino le proprie condizioni di vita e i bisogni reali che premono con forza su di esse, per studiarle in profondità, conoscerle per porle sui tavoli di lavoro e acquisire le strategie e gli strumenti necessari per agire. Devono individuare le risorse che possono essere utilizzate e adoperarle per creare progetti coerenti ed efficaci con l’impiego virtuoso delle spettanze che lo Stato è tenuto a garantire alle regioni del Sud, utilizzando in maniera virtuosa quelle derivanti dai fondi europei e quelli assegnati alle Regioni. Senza indugi. Senza colpevolezza alcuna da aggiungere a quella del passato. Che non è mancata.