Aldo Bianchini
SALERNO – Il processo cd “linea d’ombra” a carico del Sindaco di Pagani Alberico Gambino, ha generato un’altra indagine e processo che se fosse possibile si dovrebbe definire la “ombra della linea d’ombra” con due protagonisti assoluti nonché personaggi: dott.ssa Ivana Perongini e avv. Giovanni Falci.
Un’inchiesta, brevissima ma dai possibili e imprevedibili risvolti che avrebbero potuto incidere pesantemente sul processo madre contro Gambino; per questo è giusto raccontarla mettendomi e mettendovi dalla parte di chi l’ha vissuta sia come indagata (dott.ssa Ivana Perongini) che come difensore (avv. Giovanni Falci); alludo a quella famosa inchiesta collaterale avviata a sorpresa dal pm Montemurro con l’accusa di “subornazione” a carico dell’allora segretaria generale del Comune di Pagani ed anche della portavoce del sindaco Anna Rosa Sessa.
Quella inchiesta tendeva a dimostrare, nel caso fosse passata, che dall’interno del Comune di Pagani era stata organizzata e messa in piedi una vera e propria controffensiva in grado di ribaltare l’inchiesta madre minandone alla base i presupposti accusatori.
Il racconto
E già, proprio così, è successo che chi non si era “allineato” con il teorema dell’accusa, è finito sotto processo per “intralcio alla giustizia”.
Viene quasi da ridere, se non si trattasse che parliamo di tragedie umane, il nome della rubrica dell’articolo del codice penale contestato alla dott.ssa Ivana Perongini, all’epoca dei fatti, Segretario e Direttore Generale del Comune di Pagani: art. 377 c.p. “INTRALCIO ALLA GIUSTIZIA”.
Il seguito della storia e del processo ha chiarito, ormai in via definitiva, che invece che “intralciare” Ivana Perongini ha cercato di “aiutare” la giustizia nel suo percorso (illuminante in tal senso una ordinanza istruttoria del magistrato Lino Ceccarelli del 1983).
I fatti: alla vigilia della prima udienza dibattimentale di un processo con imputati in vinculis, di persone private da mesi della loro libertà personale, tutta la stampa locale, e non solo, pubblicava con foto, in prima pagina la “sensazionale” notizia che la dott.ssa Ivana Perongini era indagata; aveva ricevuto l’avviso del procedimento a suo carico, per intralcio alla giustizia nel famoso processo “linea d’ombra”.
Qual era la colpa?
Non aver assecondato l’ipotesi investigativa del P.M. Vincenzo Montemurro e aver dato una versione, prima ancora che di fatto, giuridica, diversa da altri tre funzionari del Comune, la dott.ssa Rosa Ferraioli, la dott.ssa Leonilde Bonaduce e l’avv. Giuseppe Serritiello.
In più, sempre secondo il P.M. la dott.ssa Perongini avrebbe “minacciato” questi tre funzionari affinché “rivedessero” o comunque “aggiustassero” le loro dichiarazioni accusatorie nei confronti del Sindaco.
Il processo a carico della dott.ssa Perongini, difesa dall’avv. Giovanni Falci si è concluso con la richiesta di archiviazione dello stesso P.M. Montemurro accolta dal G.I.P..
Ora ci si potrebbe e, anzi, dovrebbe chiedere, sulla scorta di quali elementi sopravvenuti all’iscrizione della dott.ssa Perongini nel registro notizie di reato, il P.M. si sia determinato a ritenere l’infondatezza della notitia criminis?
La risposta è drammaticamente semplice: nessun elemento è sopraggiunto a modificare l’impianto accusatorio a carico di Ivana Perongini.
Mi ha detto l’avv. Falci che in questo processo difenderà anche Giuseppe Santilli in Cassazione ottenendo l’annullamento senza rinvio della sentenza di condanna, che “quello di Ivana (sono molto amici) è stato il processo più semplice e misterioso che ho trattato in oltre 40 anni di professione. Non so perché è andata sotto processo e non so perché è stato archiviato il caso”.
E allora perché nel volgere di pochi mesi si è passato dall’avviso di procedimento all’archiviazione?
Anche qui la risposta è drammaticamente semplice: dopo l’esame della dott.ssa Perongini in dibattimento, sentita come indagata in procedimento connesso, quindi senza giurare e con la presenza e l’assistenza del suo avvocato difensore, Ivana Perongini non “serviva” più al processo.
Quell’imputazione, cioè, ha prodotto il solo effetto di farla sentire in dibattimento con una “linea d’ombra” sulla sua credibilità, perché indagata.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: l’indagata Perongini ha sostenuto la verità, anche se non ha giurato (Gambino è innocente e non ha commesso i fatti di cui era accusato), gli altri tre funzionari innanzi indicati, non hanno detto il vero, anche se non hanno detto il falso, sotto giuramento (Gambino non è stato condannato).
I commenti se fossero affidati a Emilio Fede nella nota clip di ”striscia la notizia” sarebbero sintetici ed efficaci, ma a pensarci bene alcune riflessioni sorgono da questa vicenda Perongini.
Per i tre funzionari dell’accusa va bene una frase che Pirandello mette in bocca a un personaggio del suo dramma “il piacere dell’onestà”: “è molto più facile essere un eroe, che un galantuomo. Eroi si può essere una volta tanto; galantuomini si deve essere sempre”. E’ per questo che sottrarsi, come hanno fatto quei tre funzionari, a una responsabilità modesta e continua è una tentazione molto più forte che non quella di compiere un gesto eroico. La viltà, purtroppo, è meno condannata perché un po’ tutti hanno il desiderio di cavarsela col minor sforzo possibile, così da avere una vita quieta e senza impegno costante.
C’è però anche il risvolto della medaglia a questa “tranquillità” che poi si scopre, come nel caso Gambino e Santilli, aver causato gravi danni e conseguenze drammatiche a persone oneste; è la vergogna.
“O vergogna, dov’è il tuo rossore?” grida Amleto alla madre.
Ed è la domanda che si dovrebbero ripetere oggi, in modo incisivo, quei tre funzionari, perché se no sembra che si sia smarrito quel rimorso che, nel suo significato di base è suggestivo: “mordere” la coscienza perché sia consapevole del male perpetrato, della colpa, della caduta morale.
E, se è vero, come dice Mark Twain, che “l’uomo è l’unico animale capace di arrossire. Ma è anche l’unico ad averne bisogno”, bisogna anche dire che alcuni uomini spesso riescono a elaborare una sorta di antidoto che permette di dissociare moralità e testimonianza, tant’è vero che si è coniato il luogo comune della “faccia di bronzo”, vera e propria maschera di autodifesa dal rossore che dovrebbe comparire per la vergogna.
Brava dottoressa Perongini per l’onestà e tenacia dimostrata quando avete sostenuto la scelta coerente, fondata e seria, anche se scomoda, di perorare la legittimità e legalità della condotta e del comportamento del Sindaco Gambino da Lei definito in dibattimento “il mio sindaco” e anche “il vero sindaco” con un giudizio tecnico ineccepibile.
In risposta al dott. Montemurro che voleva ironizzare dicendo che la sua affermazione (il vero sindaco) ricordava i cori che i tifosi della Roma inneggiavano a “Totti capitano”, Lei da esperta di Diritto Costituzionale e Amministrativo ha risposto e “ricordato” al Magistrato, che il facente funzione, nella specie il dott. Bottone, non è sindaco perché quel titolo e quella carica la accordano il Popolo con l’elezione e quindi era Lei e non Lui a esprimersi correttamente in punto di diritto.