Politicamente scorretto

 

 

da Salvatore Memoli (avvocato-giornalista-scrittore)

 

Abbiamo abusato dell’espressione politicamente corretto, in tutte le salse del vivere sociale e politico. Ci vogliamo convincere che dare a tutti la stessa attenzione sia tanto giusto da infliggere le nostre supponenze a chiunque, da chiedere sacrifici a tutti, invertendo l’ordine e le proporzioni dei gradimenti di tutto, soprattutto dell’ordine delle cose vissute. È una mania, un’ossessione, una testardaggine di stile più che di contenuti volere per forza accontentare tutti. È come un male di stagione che s’impone a tutti, come una pandemia della parità, da dimostrare e da imporre affinché nessuno pensi ad un’ingiustizia, ad una sopraffazione, ad una vittoria del più forte sul più debole. Ebbene, oltre alla correttezza di non oscurare le minoranze, la maggioranza di un’idea ovvero l’originalità di un punto di vista di una scelta, di un modo di vivere non può essere costretta a nascondersi o a non valere pur di dare ad una minoranza la stessa visibilità.
Non bastava il buon gusto e la buona educazione di un’attenzione ordinaria? No, occorre fare le cose  in modo che siano politicamente corrette, che siano par condicio e non lasciar passare l’idea che da qualche parte si voglia oscurare una verità… minoritaria! Per carità rappresentare tutte le sfumature di un fatto è lodevole, pianificare la soluzione di una verità a più facce è un meritevole impegno ma spaccare il capello perchè nessuno ne abbia meno, può diventare un’ossessione che non fa bene a nessuno. Il politicamente corretto mentre diventa una condotta rispettosa in ogni ambito, rischia di alterare, in senso ossessivo, l’identità della politica, della religione, della vita sociale, del sesso e di tutto ciò che ha naturalmente una sua propria identità e che è completa anche se non tiene sempre conto delle sue stesse fisiologiche alterazione. Per raccontare un fatto non mi pare utile obbligare a raccontare tutte le varianti di una verità. Si perde d’immediatezza e di genuinità, si obbliga le persone a fare gli equilibrismi dialettici per paura di offendere qualcuno. Insomma abbiamo creato la cultura del sospetto, della incompletezza e della falsità dialettica. Perchè? Perchè non è politicamente corretto parlare della destra se non dai la stessa attenzione alla sinistra, non puoi stare sereno se descrivi la bellezza di una coppia etero se non tieni presente che esiste una coppa omo. Insomma la rappresentazione del tutto impone di parlare  di tutto e di non fare torti a nessuno. Ma dove sta scritto che fermarsi a parlare di persone, idee, politica e non so di cos’altro è incompleto ed offensivo se non dai il giusto richiamo a tutto ció che sta nell’altro emisfero di una verità? Siamo ossessionati dal limite di non poter dire che una cosa ci piace a prescindere da tutto il resto! Ma chi ha inventato questa sottile forma di ipocrisia mentale che mortifica la immediatezza di un ragionamento  e di una descrizione?

Siamo diventati schiavi di una comunicazione blindata, ingessata, un mondo di falsa apparenza che imprigiona un’idea raccontata senza condizionamenti.

Siamo diventati sufficientemente adulti e maturi da dire ciò che ci piace e di evitare di parlare d’altro senza essere messi alla gogna per una parola non detta o per un riferimento men  che completo di un fatto del quale ci piace raccontare soltanto la faccia che piace a noi?!

Lasciateci liberi di essere manchevoli, incompleti, faziosi e lacunosi. Il pareggio delle posizioni sta nella libertà di vivere le diversità non nel racconto perfetto che include tutto!

 

 

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