Essere Chiesa per Pasquale Andria.

da Salvatore Memoli (avvocato-giornalista)

 

Dr. Pasquale Andria

Sentire la Chiesa, essere chiesa, vivere la Chiesa. Se dovessi sintetizzare in modo semplice la dimensione di un cattolico, la definirei così. Senza giri di parole e senza equivoci per un’identità laicale di chi vive l’appartenenza a Cristo. Appare per molti difficile comprendere questa scelta che ha un contenuto spirituale ma sostanzialmente inquadra il ruolo dei cattolici nella società civile. Come indicano gli insegnamenti del Vangelo e le istruzioni della Chiesa, ai laici spetta un ruolo privilegiato nel mondo, sebbene difficile e complicato. Ma le cose difficili diventano importanti, con un loro significato sociale oltre che religioso. Ripensavo a queste riflessioni dopo aver appreso della morte di Pasquale Andria. Nella società civile ha avuto ruoli importanti, di vertice e di responsabilità, che ha assolto con una straordinaria limpidità. Pasquale veniva da un’eccellenza formazione umana e religiosa che ha ricevuto dalla sua esemplare famiglia e, poi, da una partecipazione responsabile, convinta e coraggiosa, nell’Azione Cattolica. Un percorso che lo ha proiettato verso la maturità civica e religiosa che ha gradualmente sviluppato crescendo con la Chiesa e restituendo tutto ciò che era diventato suo patrimonio innanzitutto alla stessa associazione, mettendosi a disposizione come formatore e responsabile con incarichi diversi ed importanti. Aveva una sua lucida capacità di esporre concetti importanti, senza nessuna soggezione alla cultura di certi ambienti sessantottini che era fortemente aggressiva ed irrideva alle scelte della gioventù Cattolica. Ascoltare Pasquale nelle sue conferenza era un piacere, per le cose che diceva e per come le diceva, radicando i suoi ragionamenti in un’attualità storica che permetteva ai giovani confusi da tante idee contrapposte che si respiravano soprattutto negli ambienti scolastici. In quei luoghi passavano solo idee ed ideali ritenuti moderni e rivoluzionari, proclami che cambiavano le superfici delle cose e lasciavano intatte le grandi domande esistenziali che avviluppavano i giovani. Molti di noi portavano il fardello della confusione e venivano segnati dal sospetto che essere cattolico e praticante fosse una specie di arretratezza culturale, un mettersi fuori dalle novità del mondo giovanile contemporaneo. Avere il piacere di seguire coetanei, di pochi anni più grandi, come Pasquale aiutava a stare al proprio posto e a rafforzarsi. Ci dava motivo per sentire l’attualità dell’Azione Cattolica, della Chiesa e soprattutto di capire, apprendere ed approfondire le novità del Concilio, chiuso da pochi anni. Noi abbiamo respirato con amici come Pasquale la bellezza di essere chiesa, al passo con i tempi. Si faceva seguire con piacere, il volto sempre sorridente, il suo eloquio colto ma semplice, incisivo e convincente soprattutto perché egli provava le cose che affermava e non le passava mai come dogmi. Pasquale si muoveva sempre in compagnia della sua fidanzata Cucca Pietrofesa, altra persona incisiva e concreta, formatrice e responsabile dell’Associazione Cattolica. Era bello vedere due giovani fidanzati vivere la Chiesa con maturità, offriva a tutti una testimonianza di normalità quotidiana e di bellezza della coppia di giovani che cresceva nella Chiesa e per la Chiesa. Cucca e Pasquale erano responsabili a livello regionale, quando la Regione ecclesiastica era Salernitano-lucana. Conoscevano tutti ed erano conosciuti da tutti fin dagli anni ‘70. In quegli anni io ero Responsabile dell’Azione Cattolica di Teggiano ed era normale invitalo ai nostri campi scuola. Fu a margine di un incontro estivo a Teggiano che accompagnai Cucca e Pasquale ad un incontro con il nostro Vescovo Umberto Altomare che ci accolse nel suo studio privato. Lunga ed importante la conversazione sui fermenti culturali pro divorzio che lambivano ambienti cattolici di punta, con non poche preoccupazioni. Seguivo le risposte dei miei due amici che riuscivano ad aprire spazi di luce oltre ogni comprensibile chiusura. Ho incontrato e trattenuto con Pasquale un legame fraterno, silenzioso ed affettuoso, come si conviene a sodali che vivono gli stessi ideali. L’ho ritrovato all’Università, in Azione Cattolica a Salerno dove ero stato in Consiglio Diocesano, ho sostenuto la sua scelta religiosa come orientamento associativo, sebbene io stesso uscivo dagli impegni associativi quando fui candidato al Consiglio Comunale di Salerno e fui eletto con grande risultato. Ma la scelta di Pasquale non era contrario al contributo che i cattolici devono dare alle istituzioni civili, la sua premura era di evitare confusioni di ruoli e di impegni. La sua morte mi ha colpito profondamente, è come se una parte di me, dei luoghi e degli ideali che mi sorreggono ne sia rimasta orfana, priva di una testimonianza inconsueta, non comune, sottotono, pregna di bene e rassicurante. Di lui ho apprezzato tutto perché era innanzitutto una persona perbene, l’ho capito profondamente anche nei suoi tormenti intellettuali, restando fermo al ricordo delle sue spiegazioni nello studio del Vescovo Altomare, mai discutere dei nostri insegnamenti ma avere la capacità di capire ed avvicinare chi sta dall’altra parte. E poi crescendo, quando ho conosciuto la sua famiglia, ho apprezzato la delicatezza e la profondità del legame con i suoi fratelli, una comunità di affetti e di valori che testimoniava la bellezza delle sue idee e delle sue scelte: un uomo interamente legato ai valori naturali che lo guidavano nel suo essere diventato un uomo vero e raffinato in tutto.

 

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