da Nicola Femminella
(docente – storico – giornalista)
Dopo l’ Autonomia Differenziata Salvini si autopone con un’altra proposta che, secondo molti osservatori politici, potrebbe tracciare un ulteriore solco nel terreno in cui si coltiva il divario tra il Nord e il Sud. L’argomento riaffiora in coloro che ritengono il Meridione un lacciuolo per lo sviluppo socio-economico delle regioni padane e limitrofe. Queste, sostengono costoro, potrebbero da sole rappresentare e garantire un Paese allineato con le società più evolute dell’Europa, con la propria economia, le condizioni di vita più che accettabili, il buon governo degli affari pubblici. Questa volta l’on. Salvini auspica che gli stipendi dei lavoratori italiani siano allineati sul costo della vita delle famiglie, precisando che quelli da lui prediletti debbano ricevere a fine mese importi maggiorati rispetto a quelli percepiti nel Meridione, perché qui i prodotti e i servizi, di cui necessitano i cittadini, hanno un costo inferiore. Una prima domanda è sorta spontanea, espressa dall’’amico che commentava con me la notizia: “e allora si dovrebbero trasferire nella parte bassa dello Stivale anche le autostrade, gli ospedali, le linee ferroviarie, le università, le strutture di ogni tipo e i servizi costati ingenti somme per lo Stato e non elargiti in ugual misura a noi, eredi dello stato[NF1] borbonico?”
Sfoltendo il tema delle argomentazioni giustificative di parte e poco convincenti, mi sento di dire che si tratta delle discriminanti “gabbie salariali” che ciclicamente compaiono nel dibattito politico. E poiché risultano sconce dal punto di vista lessicale, diventano, nel disegno di legge presentato dai leghisti in Senato nei giorni scorsi, bizantinismi linguistici che enunciano: “dare la possibilità alla contrattazione di secondo livello, territoriale e aziendale, di utilizzare il parametro del costo della vita, oltre a quelli già previsti per legge, nell’attribuzione dei trattamenti economici accessori ai dipendenti pubblici e privati”. Sono insorti i Sindacati e i partiti di opposizione che denunciano l’ennesima iniziativa politica destinata a dividere l’Italia e ad accrescere il distacco del Sud rispetto alle opulenti regioni del nord, subito osteggiati dall’on. Massimiliano Romeo, capogruppo del Carroccio a Palazzo Madama, che respinge la denominazione “gabbie salariali” per il provvedimento presentato al Senato dal suo partito.
Qui mi fermo nel commentare l’iniziativa del Carroccio, perché non nutro simpatia per coloro che lavorano per disunire il Paese.
A tal proposito, ho più volte espresso il mio convincimento circa il perdurante stato delle condizioni socio-economiche del Mezzogiorno d’Italia rispetto al resto del nostro Paese. Il dibattito a riguardo è iniziato subito dopo l’unità d’Italia e si protrae condotto da parti spesso belligeranti e da strenui difensori dei propri interessi da una parte e da coloro che, che con uguale veemenza, denunciano ruberie varie e acquisizioni non giustificate condotte dalle regioni del Nord e subite da quelle meridionali dall’altra. Naturalmente le due tesi contengono mille e sofisticate dissertazioni. Il problema, come si sa, è diventato “Questione Meridionale” e lo hanno discusso storici ed economisti sommi per quasi due secoli, corredando le proprie spiegazioni del fenomeno con analisi approfondite ed erudite, senza venire a capo della questione. Molti hanno proposto rimedi e ricette; i politici loquaci… impegni e promesse salvifiche. Sono stati anche emanati leggi e provvedimenti molteplici per colmare e riparare i danni che talvolta la differenza di opinioni e di atti delle parti ha procurato. Si può ammansire il dibattito a proposito e lenire le voci diverse che lo alimentano, affermando che il problema è complesso e di difficile soluzione o denunciando l’incapacità di coloro che detengono responsabilità dirette a fronte della questione. Poi, penso alla Germania che lo ha avuto in ugual misura, minaccioso e pressante in tutti i settori della vita pubblica, quando si sono appalesate le differenze socio-economiche consolidate nel tempo, al momento dell’unione delle due Germanie, dopo la caduta del muro di Berlino. La questione si è dissolta in pochi anni, almeno nei suoi aspetti più generali. Da noi parole e polemiche, pioggia di leggi a cominciare da quella della Cassa per il Mezzogiorno, pochi anni dopo la fine della guerra mondiale; “soluzioni alla tedesca” mai poste in essere, anche per colpa di noi meridionali.
Ho sempre rivolto il mio pensiero alla questione di cui parlo, avendo avuto la possibilità di mettere in relazioni talune esperienze, dati significativi e studi approfonditi a riguardo. Più volte ne ho scritto su questo giornale. Ho raccolto molte informazioni e qualche spiegazione me la sono data. Ma per non tediare il lettore mi limito a riportare un mio convincimento, tra quelli che ho maturato. Sono convinto che una azione vigorosa, determinata, continua, debba essere posta sul campo soprattutto da noi meridionali, dopo aver richiesto a gran voce una equa distribuzione delle risorse finanziarie, secondo ineccepibili criteri di giustizia sociale, per il Nord, il Centro e il Sud. Da parte nostra dobbiamo necessariamente essere protagonisti del nostro riscatto, adottando iniziative correlate alle nostre condizioni storiche maturate nel tempo, ma con l’intento di studiare il presente e porre mano al futuro. Abbiamo risorse e peculiarità nelle nostre regioni che, impiegate appieno e nel modo migliore, possono darci crescita e ricchezza. Abbiamo talenti in tutti i comparti e nelle professioni che possono assicurare una piattaforma di competenze capace di farci decollare. Molti lo hanno dimostrato quando sono emigrati nei paesi stranieri. Ho incontrato a New York Italiani che hanno raggiunto posizioni apicali in tutti i settori della società civile. Altrettanti in Germania, a Londra e perfino in Giappone. Diamoci da fare, quindi, tutti sospinti dalla determinazione e dal convincimento che l’unità tra noi tutti è la condizione improcrastinabile per passare all’azione e inaugurare una stagione di fattualità propulsiva. I Sindaci, per primi, innalzino la bandiera del cambiamento, dello studio e della proposta. Li seguano le comunità con i giovani nelle prime posizioni che vorranno cedere loro quelli più avanti negli anni, che qualche volta non sono scesi in campo con nelle gambe la forza occorrente per segnare goal decisivi.