Tangentopoli (95): e Galdi ritorna in aula

 

Aldo Bianchini

L'on. Enzo Carra con gli schiavettoni ai polsi entra nell'aula del tribunale di Milano; è il 4 marzo 1993

SALERNO – Dall’udienza del 29 ottobre 1993 a quella successiva del 5 novembre 93 passa esattamente una settimana; un periodo breve per un processo importante ma enorme per gli accadimenti che quello stesso breve periodo ebbe a registrare.

Innanzitutto la grossa notizia arriva dalla Procura di Napoli, dove da poche settimane si era insediato come procuratore capo Agostino Cordova (il famoso minotauro di Palmi); nella giornata di lunedì 1° novembre si apprende che il procuratore Cordova (unitamente ai pubblici ministeri Melillo, Laudati, Gay, Mancuso e Roberti che qualche anno dopo diventerà il capo della Procura di Salerno) ha inviato al Procuratore Nazionale Antimafia “Bruno Siclari” (fu il primo procuratore nazionale antimafia e resse quell’ufficio dal 1992 al 1997) una lunga relazione sullo stato dell’arte delle procure campane; tra l’altro, a pag. 6, in relazione all’uso dei pentiti e più specificamente alle modalità di utilizzo delle dichiarazioni del pentito Giuseppe Cillari (detto Pinuccio) di Salerno si legge: “Si vuole qui segnalare che l’episodio dell’individualistica gestione della collaborazione del Cillari non rappresenta una mera inottemperanza formale alle direttive della S.V., ma ha in realtà un effetto devastante sulle indagini che quest’ufficio conduce sulla vicenda Cirillo e sulle dichiarazioni di Galasso contrastanti con quelle del Cillari”.

Insomma da Napoli arriva quasi una scomunica per come Salerno utilizza a suo piacimento i pentiti, anche correndo il rischio di inquinare altre importanti inchieste scaturite dalle collaborazione di Galasso, uno dei capi riconosciuti della Nuova Famiglia che aveva ereditato l’impero della NCO di Cutolo.

Ma a Salerno si sa che Pinuccio Cillari è il personaggio che prima di tutti gli altri ha contribuito a mettere la Procura nelle condizioni di assaltare direttamente i parlamentari Carmelo Conte e Paolo Del Mese con quella devastante richiesta di autorizzazione a procedere inviata alla Commissione Bicamerale il 5 luglio 1993; fascicolo in cui era compresa la dichiarazione del Cillari che iniziava con le famose parole “Sono stato compulsato dagli onorevoli Conte e Del Mese ……” (compulsare, un verbo che il quasi analfabeta Cillari non avrebbe mai potuto conoscere) che poi servirono anche come base di partenza per il famigerato “processo California”, con 73 imputati, creato sul nulla che, però, tenne per circa venti anni l’ex ministro Conte sulla graticola.

La Procura di Salerno, quindi, tra il 29 ottobre e il 5 novembre del 1993 era anch’essa sulla graticola e serpeggiava il timore che la pesante accusa partita da Cordova potesse incidere anche sulla regolarità del “processo Fondovalle”.

Agostino Cordova (detto "il minotauro di Palmi") - pocuratore della repubblica di Napoli

Non solo; il 3 novembre (mercoledì) il Tribunale di Salerno emise la sua prima sentenza contro l’ex procuratore Alfonso Lamberti (arrestato nel maggio ’93) con condanna a 2 anni e 8 mesi di reclusione per la vicenda dello stalking contro la ex moglie.

  • Nel pomeriggio del 18 maggio 1993 tutta la città e l’intera circoscrizione giudiziaria furono scosse dalla notizia dell’arresto di Alfonso Lamberti, detto “Fonz ‘a manetta”, (già pm a Salerno, procuratore capo a Sala Consilina, giudice di Corte d’Appello a Napoli, docente universitario a Salerno e scrittore) su richiesta di cattura del pm Alfredo Greco che, è doveroso dirlo, firmò quella richiesta con un grande dolore nel cuore; non soltanto perché colpiva un collega magistrato ma soprattutto perché faceva sprofondare nell’oblio un uomo al quale era stata violentemente strappata la figlia adorata. Qulche tempo dopo Alfredo Greco dirà che quello era stata una delle richieste di arresto più difficili e drammatiche della sua vita professionale. L’accusa, comunque, era tra le più infamanti: “Aver ricevuto dalla camorra mazzette per 150milioni di lire per dissequestrare beni sequestrati i vari boss del territorio campano; aver brigato per entrare in simbiosi con Carmine Alfieri e Pasquale Galasso (i due veri capi della camorra campana) al fine di scoprire gli autori dell’assassinio della figlia;  aver minacciato con lettere anonime la moglie ritenendo erroneamente che la stessa se la intendesse sentimentalmente con il suo preside; aver inviato lettere anonime ai vari docenti dell’istituto scolastico con minacce e diffamazioni varie; aver predisposto un piano per l’eliminazione fisica della consorte. In verità il calvario del giudice Lamberti (temerario, sostanzialmente buono, profondamente innamorato della famiglia e certamente lontano dagli intrecci malavitosi, o quanto meno da molti di quegli intrecci descritti nelle ordinanze di custodia in carcere) era cominciato diversi anni prima del suo arresto in carcere. La verità storica l’ha scritta proprio Lamberti nei tanti libri che ha dedicato all’adorata figlia Simonetta (uccisa dalla camorra nel sanguinoso agguato del 29 maggio 1982); in essi ammette di essere entrato in contatto, per vie traverse, con la camorra e di averlo fatto soltanto al fine di scoprire con una indagine personale, parallela, ma mai in contrasto con quella ufficiale della Procura, autori e mandanti dell’efferato crimine. Il giorno 11 settembre 2015 si è spento all’improvviso il prof. Alfonso Lamberti, giudice di mille e mille inchieste; le più note quelle per il rapimento del giovane Amabile e dell’emblematico “caso Cirillo”; si è spento serenamente dopo lunga e dolorosa malattia.

 

 

E si arriva, così, alla mattina di venerdì 5 novembre 1993; tutti sanno che l’ingegnere Raffaele Galdi è in carcere per la vicenda del Seminario e che dal carcere ha manifestato la sua volontà di essere presente all’udienza dibattimentale del processo Fondovalle. Il suo arresto, avvenuto il 29 ottobre, mentre si trovava nell’androne principale del tribunale (Corso Garibaldi), aveva fatto scalpore e i suoi avvocati difensori (Dario Incutti e Antonio Zecca) erano insorti con veemenza contro la spettacolarizzazione di quell’arresto a dir poco inutile.

La mattina del 5 novembre l’aula della terza sezione penale era stracolma di spettatori, avvocati e diversi PM ed anche giornalisti.

Le battute iniziali andavano a rilento perché si attendeva l’arrivo in aula del principale imputato Raffaele Galdi direttamente dal carcere di Fuorni con il furgone blindato che trasportava anche altri carcerati che quella mattina dovevano presenziare alle rispettive cause.

Tempo dopo, Raffaele Galdi, nel corso di uno dei tanti incontri privati con me, disse che quella mattina era stato fatto accomodare nel furgone blindato addirittura al fianco di tale Visciano (noto malavitoso della Nuova Famiglia) addirittura ammalato di aids; insomma Galdi era stato trattato molto peggio del più incallito dei delinquenti abituali della camorra campana.

Il chiacchiericcio in aula è complesso, forte, intrigante; c’è anche chi sostiene che Galdi sarà fatto entrare in manette e che possa, quindi, ripetersi lo scandaloso momento giudiziario accaduto nel tribunale di Milano che aveva fatto il giro del mondo su tutte le principali testate giornalistiche planetarie quando qualche mese prima l’on. Enzo Carra (uomo ombra del potentissimo Arnaldo Forlani, già segretario politico nazionale della Democrazia Cristiana) era stato accompagnato in aula con gli schiavettoni ai polsi e che soltanto l’intervento di Antonio Di Pietro aveva indotto le guardie a smanettarlo.

Gli avvocati difensori di Raffaele Galdi attendono silenziosi ma pervasi da turbamenti interni che affiorano soltanto a livello somatico; sono pronti a scatenare infinite polemiche.

E’ un attimo, fuori dall’aula si avvertivano chiari i segnali di trambusto e di movimento, con lo sguardo indico a Mario (Lo Bianco, il mio tecnico di fiducia) di seguirmi; quella di TV Oggi è l’unica telecamera presente in quel momento, non posso farmi sfuggire l’occasione di riprendere un imputato di tangentopoli (e che imputato !!) in manette scortato dalle guardie nel corridoio antistante l’aula; incrocio il suo sguardo severo, forse gelido, capisco e mentre Mario continua a riprendere io ritorno sui miei passi e cerco di ritornare in aula ma la strada è sbarrata. Sull’ingresso si è precipitato addirittura il presidente del collegio giudicante Giovanni Pentagallo che con voce ferma ed autorevole intima alle guardie carcerarie di togliere le manette dai polsi dell’ingegnere Galdi: “In quest’aula di giustizia nessuno, dico nessuno, entrerà mai con le manette ai polsi”; e Galdi entrò in aula da uomo libero prendendo subito posto tra i suoi due difensori.

L'ing. Raffaele Galdi nell'aula del tribunale di Salerno assiste all'udienza del 5 novembre 1993

Sul filo di lana, quindi, grazie alla inappuntabile autorevolezza del presidente Pentagallo, quella mattina del 5 novembre 1993, viene evitato il ripetersi dello scandalo Carra.

Quel breve filmato che Mario girò la mattina del 5 novembre 1993, nei corridoi di palazzo di giustizia, per riprendere Galdi in manette non andò mai in onda e nello stesso pomeriggio di quel giorno, su mio ordine, venne distrutto.

 

  • SALERNO – Nel racconto della tangentopoli salernitana è giusto ricordare l’episodio gravissimo legato alla traduzione in un’aula del tribunale di Milano del plenipotenziario della Democrazia Cristiana, on. dr. Enzo Carra, per meglio stigmatizzare gli eccessi della gestione giudiziaria della tangentopoli nazionale fatta, come quella salernitana, essenzialmente con il terrore delle manette. Carra, riabilitato pienamente dopo alcuni anni, è morto il 2 febbraio 2023, a distanza di trent’anni dal tragico episodio che mi accingo a ricordarvi. Era il 4 marzo del 1993, trent’anni fa, quando un incauto drappello della polizia penitenziaria tradusse in aula l’uomo ombra di Arnaldo Forlani (implicato nella maxi tangente Enimont) addirittura con gli schiavettoni ai polsi. Fu un momento drammatico che il pm Antonio Di Pietro percepì subito in tutta la sua enorme gravità e con il suo piglio aggressivo intimò ai carcerieri di liberare i polsi dell’imputato. Troppo tardi, la foto di Carra in catene fece subito il giro del mondo ed una luce trasversalmente oscura incominciò a seminare dubbi sulla genuinità dell’azione travolgente del pool milanese che andava avanti con l’angoscioso tintinnio delle manette per indurre gli inquisiti a confessioni che poi si rivelarono indimostrabili nella maggior parte dei casi. Enzo Carra (nato a Roma l’ 8 agosto 1943 è morto a  Roma il 2 febbraio 2023, deputato dal 2001 al 2013) è stato un giornalistapolitico italiano, è stato soprattutto un democratico cristiano, un uomo della prima repubblica, un forte difensore della libertà di parola; quando ricordava quella triste vicenda del 4 marzo 1993 diceva sempre: “… se riuscii a superarla fu perché, anche grazie alla violenza che mi fu riservata, il clima nel Paese cominciò a migliorare e i garantisti trovarono finalmente spazio sui media …”; al momento dell’arresto era capo ufficio stampa della DC.

 

 

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