da Alfonso Malangone
(Ali per la Città)
—scritto per “ilquotidianodisalerno.it”, “L’ora.it” e “leCronache.it”
Sono passati all’incirca due mesi dalla richiesta di verità rivolta alla Soprintendente, e un pò meno tempo dal messaggio accorato indirizzato al Sindaco dal prof. Aniello Salzano, con la preghiera di rassicurare la Comunità sulla coerente valorizzazione della struttura. Così, la vicenda del Conservatorio Montevergine resta avvolta in uno sconcertante silenzio. Eppure, il punto fondamentale della questione era, ed è, assolutamente elementare: “per favore, potete dire se il Conservatorio sia, oggi, un bene tutelato”? Nulla c’è di complicato in questa domanda, e nulla dovrebbe esserci di compromettente nel fornire un ‘si’ o un ‘no’. E, quindi: “quali motivazioni possono impedire una pubblica comunicazione su questo”? Certo, nell’ipotesi negativa, sarebbe necessario aggiungere una pur minima spiegazione sul perché, visto che la struttura fa parte delle ‘memorie’ della nostra cultura, è nominata nelle guide e nelle pubblicazioni della Città ed è dichiarata bene storico di origine Longobarda risalente almeno al 1040.
Un signore apprezzato per le sue lotte civili, dichiarò tempo fa che: “la nostra vita comincia a finire il giorno in cui diventiamo silenziosi sulle cose che contano” (M.L.King). E, in verità, per una Città millenaria, che ha visto il passaggio degli etruschi, prima, dei romani, poi, dei Longobardi, dei Normanni, degli Svevi, degli Angioini e Aragonesi, le ‘pietre’ sono certamente ‘cose che contano’. Anche se, purtroppo, non per tutti, come può constatare chiunque si avventuri lungo percorsi dissestati, con le buche ‘incatramate’, nel degrado e nell’abbandono di locali bui e umidi, di Chiese scalcinate e Conventi sfondati, tra odori imbarazzanti e presenze inopportune. Una insufficiente attenzione ha trasformato l’area storica, fatta di strade, viuzze, slarghi e scalinatelle, di portici e giardinetti, di archi, colonne, mascheroni ed edicole votive, in un territorio ‘out of bounds’, come scrissero gli americani a via San Michele dopo essere entrati in Città nel ’43. Un confine per la sicurezza, del passato, trasformato in una limite di vitalità del presente. Epperò, lo stato di quei luoghi non può giustificarne l’oblio. I corsi e i ricorsi storici, di cui siamo ‘portatori sani’, condividendo il territorio nel quale visse chi li studiò, apriranno certamente nuovi spazi e offriranno nuove opportunità per riportare dignità dove sono presenti le fondamenta della nostra esistenza.
In tutto questo, non è negabile che la vicenda del Conservatorio sia una spina dolorosa. E, certo, non perché quel Convento sia stato sottratto alla Comunità, visto che la sua cessione ai privati non è stata una operazione isolata. Molte altre strutture hanno subito la stessa sorte, cedute o locate, se non in rovina. Basta osservare le condizioni dei vicini ‘Edifici Mondo’, ora divenuti ‘Edifici Mondo di Monnezza’ in armonia architettonica con Palazzo San Massimo, la Reggia degli ultimi Longobardi. Memorie pure messe in vendita, in passato, senza fortuna. Di questo, si è già parlato. Inutile ripetere.
Quello che addolora, invece, è il contenuto della dichiarazione rilasciata nel 2009 dal Comitato Regionale per il Patrimonio Culturale di Napoli che, con nota di prot. n. 12221, apparentemente priva di data e con una sigla illeggibile, attestò l’assenza “di interesse culturale…” secondo il parere fornito dalla competente Soprintendenza territoriale, cioè quella di Salerno, con sede a due passi da Salita Montevergine. Fu la fine della funzione culturale della struttura per una qualsiasi destinazione privata. E, infatti, con l’autorizzazione del 28/09/2021, il Settore Urbanistica ha concesso all’Amministratore Unico di una Società di eseguire “lavori di restauro, di risanamento e recupero, con destinazione residenziale… (fonte: Comune). E’ evidente che, laddove l’immobile fosse privo di tutela, sarebbero addirittura ipotizzabili il suo abbattimento e la successiva ricostruzione con fogge magari ‘falso antiche’ come ce ne sono altri in Città. Cioè: “chi potrebbe impedirlo se la dichiarazione del COREPACU l’ha definito solo un cumulo di pietre”? Chissà, può essere che le mura Longobarde sgarrupate siano state ritenute offensive del decoro di quella parte della Città.
In verità, alla Salita di Montevergine, un ipotetico fabbricato come quelli con i portici di Piazza Sant’Agostino e di via Guarna sarebbe un ulteriore passo in avanti verso la devastazione del Centro Storico, magari in attesa di completare l’opera con la successiva alienazione delle vecchie carceri. In nome della modernità, tutto si può fare, anche se qui si rischia davvero di costruire una realtà urbana simile alle metropoli delle Città in via di sviluppo nelle quali i fabbricati di lusso, per pochi, svettano tra baracche e strutture di inqualificabile degrado.
Da sempre, nella storia, la distruzione dei Templi e delle Biblioteche dei popoli sconfitti è stato il mezzo usato dai vincitori per tagliare ogni legame con il passato, distruggendo il ricordo e la memoria, e per imporre nuovi idoli e nuove regole. Da sempre, quindi, nel bruciare i libri e le coscienze sono stati prodotti, negli esseri umani, gli stessi effetti del taglio delle radici negli alberi. Se togliere la linfa vitale inaridisce e porta alla morte le piante, togliere la linfa della cultura ci rende privi di identità, senza diversità, senza anima, senza sentimenti, senza futuro. E, purtroppo, serve a poco partire dai bimbi per far emergere il valore della storia, se è nei loro genitori che è mancata la consapevolezza della magia delle memorie.
Alfonso Malangone – Ali per la Città – 04/11/2023
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