Aldo Bianchini
SALERNO – Lunedì 18 ottobre 1993, in Tribunale inizia la seconda udienza del processo “Amatucci + 23” (Processo Fondovalle Calore), il campanello trilla con precisione alle ore 9.30 e il suo suono sembra quasi penetrare nelle orecchie e nei cervelli dei tantissimi presenti che sanno benissimo che quella potrà essere una “giornata particolare” per l’intero iter processuale; lo sanno anche i componenti del collegio giudicante (Pentagallo, Allegro e Giordano) chiamati a dare risposte serene – controllate e definitive alle circostanziate richieste, sia della pubblica accusa che delle difese, avanzate con fermezza nel corso della breve e concitata prima udienza del 13 ottobre precedente:
Udienza 13 ottobre 1993:
- I due pm eccepiscono l’incompletezza del fascicolo composto dal Gip per la richiesta di rinvio a giudizio, ed in particolare delle dichiarazioni complete rese da Alberto Schiavo (27.05.93), Gerardo Satriano (3.6.93), Cafiero Giuseppe (29.6.93) e da Vincenzo Ritonnaro (22.05.93), e chiedono al Collegio la loro acquisizione integrale
- Le difese si oppongono con molta fermezza eccependo la non utilizzabilità degli atti e dello stesso decreto di rinvio a giudizio e di inutilizzabilità degli atti d’indagine compiuti dal pm in supposta violazione del termine di durata delle indagini preliminari stesse, soprattutto l’inutilizzabilità delle dichiarazioni sopra indicate ed in particolare quella di Ritonnaro. In quella prima udienza viene subito allo scoperto il personaggio Antonio Zecca (avvocato) che insieme a Dario Incutti difendeva uno dei due principali imputati “Raffaele Galdi”.
Giovane, preparatissimo, l’avvocato Antonio Zecca (che da quel giorno definii “Toni la peste”) non perse neppure un minuto di quella storica giornata per evidenziare la sua ferma e intransigente opposizione verso la metodologia seguita dalla Procura per indagare non solo il suo assistito Galdi ma anche gli imputati coinvolti nella vicenda. A turno i due PM (Di Nicola e D’Alessio) cercavano di fermare, senza riuscirci, il giovane avvocato contestatore sulla base di un’ottima preparazione professionale in merito alla inutilizzabilità di molti degli atti acquisiti al fascicolo processuale. Lo scontro Zecca – PM durerà per tutto il processo.
Per meglio comprendere il seguito del racconto è necessario fermare l’attenzione sul periodo in cui l’udienza si svolge; siamo nell’ottobre del 1993 e il popolo salernitano sarà chiamato alle urne un mese dopo (il 21 novembre 93) per scegliere chi dovrà essere il sindaco di Salerno tra Pino Acocella e Vincenzo De Luca dopo cinque mesi di commissariamento seguiti alle dimissioni da sindaco di De Luca il 2 luglio 93 che a quella carica era stato votato dal famigerato Consiglio Comunale del 22 maggio 1993.
Una data, quella del 22 maggio 93, che ricorre spesso nella vita politica salernitana; quel giorno mentre De Luca veniva eletto sindaco in Procura i pubblici ministeri interrogavano Vincenzo Ritonnaro che aveva rivelato molte cose scandalose sulla “Salerno bene” ed anche sullo stesso De Luca. Ma i due sostituti procuratori non avevano ritenuto di dover intervenire per non turbare, forse, il naturale svolgimento del Consiglio Comunale convocato per ratificare le dimissioni di Vincenzo Giordano ed eleggere il nuovo sindaco della città.
Quell’interrogatorio, in quel momento assolutamente sconosciuto alla stampa, riappare improvvisamente la mattina del 13 ottobre 93 in aula quando i due PM ne chiedono la sua ammissione agli atti processuali. Il suo contenuto è troppo importante per l’economia processuale; lo sanno i PM, lo sa il Collegio e, soprattutto, lo sanno le parti interessate.
Udienza del 18 ottobre 1993:
- Il Collegio giudicante rigetta le richieste delle difese e dispone l’acquisizione quale prova documentale di atti di indagine eseguiti in procedimenti penali connessi e consistenti nelle dichiarazioni a verbali giudiziari rese da Alberto Schiavo, Gerardo Satriano, Giuseppe Cafiero e Vincenzo Ritonnaro.
- Le difese si riservano la facoltà di controesame pur reiterando la richiesta di inutilizzabilità di quegli interrogatori
- Per Amatucci la difesa riservandosi il diritto di controesame dei testi non reitera la richiesta di inutilizzabilità e chiede l’esame diretto in aula del proprio assistito al fine di contestare il contenuto dei predetti interrogatori (una mossa strategica messa in atto dai difensori Andrea Antonio Dalia e Marzia Ferraioli che avrà conseguenze molto positive per il processo di appello)
- Per Galdi, invece, la difesa chiede l’escussione in aula di un teste mai menzionato negli atti e chiede l’acquisizione di un foglio di giornale che riportava la notizia di un incidente stradale sull’ A/3 – Sa/Rc il giorno 21.02.1990
- Il Collegio boccia subito le due richieste di Galdi in quanto rappresentano elementi generici e non pertinenti al “thema decidendum”
Ma cosa c’è in quell’interrogatorio dimenticato nel corso del pomeriggio del 22 maggio 93 (leggasi il capitolo ad esso dedicato) lo si scopre soltanto nel corso dell’udienza del 18 ottobre 93 al momento della sua acquisizione agli atti processuali che subito vengono resi pubblici.
Diciamo subito che è un interrogatorio composto da 16 pagine (A/4), aperto alle ore 16.00 del 22.05.93 presso gli uffici della Procura dove, dinanzi ai pubblici ministeri Vito Di Nicola e Luigi D’Alessio (assistiti dal m/llo Salvatore Belmonte del nucleo di P.T. della Guardia di Finanza di Salerno), è seduto il sig. Vincenzo Ritonnaro (nato a Napoli l’ 1.5.29 e residente in Salerno alla Via Verdi n.12).
L’interrogatorio si apre con la confessione di Ritonnaro di aver consegnato la somma di 100milioni di lire all’imprenditore R.M. che non accettò i due assegni circolari e che fu costretto a cambiarli in contanti e che fu addirittura accompagnato in banca da un amico di R.M. per paura che potessero rapinarlo. Di aver informato della consegna gli ingg. Galdi e Amatucci, che avevano chiesto il contributo, in quanto a conoscenza del fatto che in caso contrario il PSI avrebbe tagliato ogni tipo di finanziamento tra banche e commissione di grandi lavori pubblici; anche se gli stessi non avevano fatto alcun accenno alla eventuale repressione.
Secondo l’interrogato la stessa cosa era avvenuta per la Coop Costruttori di G.V. per la metanizzazione di Salerno, per la realizzazione dell’acquedotto del Consorzio di Bonifica Paestum, per il trincerone di Cava, per la Lungoirno di Salerno, per gli alloggi di Sant’Eustacchio, per il Partito Socialista direttamente, per il Giornale di Napoli (per il cui acquisto era stata messa in piedi una cordata di 10 imprenditori, tra i quali Ritonnaro, che avrebbero dovuto esborsare 1miliaro di lire a testa); insomma nelle prime 14 pagine e mezzo viene descritto un “sistema di corruzione” davvero impressionante ma già in parte o in tutto noto alla pubblica opinione; si parla di visite al ministro Conte a Roma, di interventi degli ingg. Galdi e Amatucci, del politico Enrico Zambrotti, di diverse altre imprese tra le quali, ad incrocio, anche quella di Gerardo Satriano (che in parte confermerà nel suo interrogatorio del 3.6 93); un sistema che nel corso degli anni successivi al 93 venne letteralmente demolito con numerose sentenze di assoluzione per tutti gli imputati chiamati a giudizio.
La sorpresa, invece, arriva dai 24 righi finali dell’interrogatorio (pagg. 15 e 16) nei quali “la persona informata sui fatti” spiega di aver accompagnato tale Giovanni Donigaglia (factotum delle rosse CCC, detto “gamba di legno”) presso la segreteria provinciale del PCI (in Via Manzo) per la rimodulazione dei successivi importi da pagare dopo aver già pagato la somma di 60 milioni di lire per l’appalto, attraverso la Coop. Argenta, per i lavori della metanizzazione della città. Il verbale si chiudeva con la testuale dichiarazione: “Io rimasi sotto la sede ad attendere mentre lui saliva sopra la sede del partito. Non mi riferì il motivo per il quale si recò presso tale sede e né io approfondii”.
Ad ognuno lascio le rispettive considerazioni; si intuisce facilmente che se la Procura si fosse mossa velocemente nello stesso pomeriggio in cui fu redatto quell’interrogatorio (22 maggio 1993), almeno con la convocazione in Procura di De Luca come persona informata sui fatti, la storia di Salerno probabilmente sarebbe stata molto diversa.
E’ chiaro che per gli imputati presenti in aula la mattina del 18 ottobre 1993 l’acquisizione di quegli interrogatori rappresentava un grosso macigno giudiziario perché poteva essere consolidata a giudizio la cupola del malaffare; da qui la tenace opposizione delle difese che, dopo il patteggiamento richiesto da sette imputati, si ritrovarono in grande difficoltà, oltretutto divise ed ognuna con la propria strategia.
A tutti i collegi difensivi sfuggì, quindi, la parte finale dell’interrogatorio sopra descritto; ma sfuggì anche al Collegio Giudicante, messo che la pubblica accusa aveva soltanto l’interesse di consolidare in aula il “sistema di corruzione”, senza tirare in ballo altri elementi che avrebbero potuto compromettere l’esito stesso del processo.