LA PACE DI LAO TSU

 

da Angelo Giubileo

(avvocato – scrittore)

 

Di fronte ai tragici fatti ancor più di questi giorni, i molti si chiedono come sia stato e sia possibile tutto ciò che accade, come sia cioè possibile che l’evento della guerra abbia conquistato o meglio riconquistato il “teatro” della scena europea e mondiale. Talché lo sconcerto dei medesimi è tale da oltrepassare l’evento in sé e per sé, giustificabile come una primitiva mancanza di conoscenza o intelligenza della realtà, sedicente moderna o postmoderna, che ci circonda.

Michael Oakeshott, tra i pochi, definirebbe codesti molti, Razionalisti. E per chi ha interesse ad approfondire le sue tesi, consiglio di leggere in particolare il breve ed agile suo testo edito nel 1962, Rationalism in Politics, pubblicato e tradotto in una sua versione italiana, nel 2015, dall’Istituto Bruno Leoni.

Nella nota n. 41 al testo, l’autore cita proprio la guerra come “esempio dei fallimenti della politica viziata di Razionalismo: la guerra è una malattia verso la quale una società razionalistica ha poca resistenza: essa sorge facilmente dal genere di incompetenza insita nella politica razionalistica”. Secondo Oakeshott, sarebbero quindi viceversa il Razionalismo, i Razionalisti, la Politica Razionalistica a essere e dimostrarsi “incompetenti” nei riguardi in specie della guerra e in generale degli eventi della realtà che cade sotto i comuni nostri occhi, degli uni e degli altri.

Ma, per l’autore, chi sono i razionalisti in politica? Qual è il loro credo? Quando inizia a manifestarsi?

In ordine a quest’ultimo interrogativo, la risposta – anche se parziale, in quanto legata storicamente a uno specifico modo d’intendere il termine “ragione”, avulso dal contesto di Platone e Aristotele e quindi posteriore al contesto in cui matura il pensiero dei medesimi – è: “l’epoca e l’Europa post-Rinascimentale, un’epoca mai in pace mentale con se stessa perché mai riconciliata con il proprio passato”. Il passato o meglio l’immagine della conservazione o meno del passato rappresenta quindi un elemento d’identificazione e di distinzione dei Tradizionalisti rispetto ai Razionalisti, e quindi determina i rispettivi approcci degli uni e degli altri nei riguardi della realtà circostante.

Questa diversità sostanziale di approccio origina sostanzialmente da ciò che lo storico della scienza Giorgio de Santillana identificava come “credo” (cfr., in edizione italiana: Il mulino di Amleto. Saggio sul mito e sulla struttura del tempo; Fato antico e fato moderno; Le origini del pensiero scientifico; Sirio). Nello specifico, Oakeshott chiarisce che nel caso dei Razionalisti si tratta di una teoria, mentre nel caso dei Tradizionalisti si tratta piuttosto di un rituale. L’autore argomenta le proprie opinioni sostenendo che la “conoscenza tecnica” (o teorica che si addice ai razionalisti) non può – e quindi non dovrebbe – essere separata dalla “conoscenza pratica” (che si addice ai tradizionalisti).

E tuttavia: entrambe sono necessarie, così come peraltro argomentato da Plutarco, nell’adversus Colotem, riguardo al pensiero di Parmenide (incidentalmente, va precisato che riguardo al pensiero di Parmenide l’opinione di Oakeshott è errata!) che tiene conto di entrambi gli ordini (occorre pertanto prestare la dovuta attenzione al significato originario del termine!), “sensibile” e “intellegibile”. E quindi: come potrebbe un uomo agire “politicamente” se privo della conoscenza tecnica e dell’esperienza necessarie?

Rispetto all’agire politico, la distinzione tra Razionalisti e Tradizionalisti, oltre che netta, appare ed è “essenziale”. Nel significato che il termine “essenziale” rinvia alla relazione necessaria e alla differenza ontologica illustrata nel “pensiero iniziale” di Martin Heidegger tra l’“essere” e l’“ente”.

In estrema sintesi, i Razionalisti moderni e postmoderni finiscono per abbeverarsi tutti continuamente al credo di Bacone. Così che Oakeshott scrive che: “Bacon mette a confronto (la propria) tecnica di ricerca con la tecnica del sillogismo, concludendo che una è appropriata alla scoperta della verità delle cose mentre l’altra è adeguata soltanto alla scoperta della verità delle opinioni”. E pertanto la differenza è dovuta al fatto che la conoscenza dei moderni Razionalisti sarebbe capace di certezza e non soltanto di “insignificanti e probabili congetture” (Novum Organum, ed. Fowler, Oxford, Clarendon Press, 1898, p. 184). Certezza (e certezze) che in alcun modo fanno invece parte del bagaglio dei Tradizionalisti, i quali non hanno una teoria o tecnica dell’“ente” da mettere in pratica; non possiedono alcuna vera certezza ma si affidano unicamente all’“essere” e quindi “alla tradizione che, ovviamente, è preminentemente fluida”.

Semplificando il discorso, il testo di altre due brevi note tratte da Rationalism in Politics riassume compiutamente il significato della contrapposizione. Alla nota n. 37, l’autore scrive: “Dando alla propria tecnica la forma di una visione del corso degli eventi (passati, presenti e futuri) e non della <natura umana>, Marx pensava di essersi sottratto al Razionalismo: ma dal momento che aveva preso la precauzione di trasformare preliminarmente il corso degli eventi in una dottrina, tale fuga era un’illusione…”. Alla nota n. 50, ultima del saggio, egli scrive: Quando Confucio visitò Lao Tzu parlò di bontà e dovere. “La pula proveniente dal ventaglio della persona che monda – affermò Lao Tzu – può appannare a tal punto gli occhi che non sappiamo più se guardiamo a nord, a sud, a est o a ovest; al cielo o alla terra… Tutti questi discorsi di bontà e dovere, queste perpetue punture di spillo, mettono a disagio e irritano l’ascoltatore; nulla, in verità, può essere più distruttivo per la tranquillità interiore”. Chuang Tzu”.

Per finire: mentre l’idea di pace di Immanuel Kant è detta “perpetua” e quindi agisce in base a un progetto da realizzare e conservare nel tempo (cfr. I. Kant, Per la pace perpetua, 1795), l’idea di pace di Lao Tzu, padre del Taoismo, può dirsi invece “eterna” e cioè destinata a durare per sempre.

 

 

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