da Salvatore Memoli (avvocato – giornalista)
—scritto per leCronache.it e per ilquotidianodisalerno.it
Se riflettiamo, tutte le attività politiche, culturali, soprattutto di comunicazione, si svolgono in un regime di convenzionalità di linguaggio, di concetti, di prese di posizioni. É fin troppo evidente che di un fatto non si descrivono i contenuti effettivi, si raccontano con termini misurati, con equilibri imposti dalla moral suasion, quelle cose che potranno essere accettate e gradite da un pubblico che non deve essere turbato. Da quando abbiamo scoperto la par conditio non si riesce ad esprimere con libertà una posizione, senza essere censurati per troppa soggettività.
La notizia viene costruita a tavolino, epurata di aspetti che possono sembrare troppo colorati o faziosi, viene sempre più considerata come un treno che é costretto a camminare su binari predefiniti. Una notizia più spontanea, originale, intesa come riporto di un fatto genuino, non trova spazio in una comunicazione che é omologata, appiattita e frenata. Siamo arrivati al punto che prevale il modo come dire in pubblico una cosa sulla cosa stessa da dire. Alla fine si costruiscono verità edulcorate! É vero che la visceralità di esposizione di una posizione può creare un disagio ma é altrettanto vero che i fiumi di dibattiti, di racconti, di idee politiche se non si allontanano dall’immediatezza emotiva, sono destinati a non entrare nella galassia delle ‘ chiacchiere ´intellettuali, formalmente corrette, veicolate con le regole dei messaggi blindati.
Chi esce da questo cliché é destinato alla solitudine imposta dalle nuove regole che rendono inutilizzabili le cose dette che non sono omologate.
Col tempo ci siamo abituati alle non notizie, alle notizie che non dicono niente, al contrario di una verità nuda e cruda, siamo entrati nella nuvola della falsità convenzionale, quella che permette lunghi dibattiti, anima le arene, i talk show, le tavole rotonde. Non ci accorgiamo che le regole hanno definito opportunità, antagonismi, ritualità degli scontri, ruoli, modalità e tempi per estrinsecare idee che compongono il florilegio dell’informazione. Che non servono alla conoscenza di un fatto o di una posizione, se non ripetono la liturgia di una democrazia dello scontro apparente che avvilisce i contenuti e contribuisce alla perenne confusione!
Intanto ha immesso i protagonisti di una posizione nel circuito della vacuità, della partecipazione, dello stare nel sistema che dà spazio a tutti. In realtà lo spazio é concesso se si rimane nel canovaccio del prestabilito, se quelli che si parlano sono disposti, come nel teatro di pulcinella, a parlarsi scontrandosi, a dire le loro cose litigando e ad occupare la scena stando l’uno contro l’altro, stando l’uno addosso all’altro! La colpa non é soltanto dei mass media o della comunicazione condizionante. La maggiore responsabilità é dell’utente che non accetta più dibattiti trasparenti e preferisce stringate conversazioni che ripetono l’idea prevalente e maggioritaria della rissa.
Il linguaggio convenzionale alla fine é la risposta utile alla consumazione della verità ed alla saturazione di chi dovrebbe approfondire, discernere e verificare da che parte sta la verità.