Guerre e terrorismo. La fine della politica e della diplomazia.

 
da Salvatore Memoli

(avvocato – giornalista – scrittore)

— scritto per leCronache.it e per ilquotidianodisalerno.it

 

Ci sono gli atti di guerra e ci sono gli atti terroristici. Oggi non c’è la guerra come l’abbiamo sempre intesa. Prevalgono gli atti terroristici, le imboscate. Tra mondi che non sanno parlare tra loro, diplomazie che si sono ridotte a passacarta e festini di Stato, dove si preparano carriere e sfuggono tutti i grandi argomenti politici. Nessun diplomatico ha gli attributi per studiare un territorio, per anticipare le soluzioni, per consigliare i Governi che li invia. Sono tutti buoni salottieri e business man, niente più li caratterizza. Ai demeriti qualitativi di una diplomazia, scaduta ad incaricati di affari, si aggiungono le inqualificabili competenze dei servizi segreti. Le intelligenze non si distinguono più per attitudini eccezionali nel conoscere prima le condizioni di un particolare ambiente, di organizzazioni di attività terroristiche che possono minacciare la sicurezza di uno Stato. Israele non ha un esercito comune né tantomeno un’intelligence di poco conto! Eppure quello che è successo non è stato rilevato dagli ambienti politici e da quelli della sicurezza. Gli Stati democratici in genere sono ormai lacerati da contrapposizioni d’interessi di parte, molto simili ad interessi personali e sempre meno piani strategici per la gestione di intere comunità. In Israele sono diversi gli anni passati in cui l’elettorato non esprime una stabilità politica. Governi dopo Governi si reggono su maggioranze risicate e rabberciate, dove il collante è la lotta ai palestinesi. Una grande lotta tra due popoli che rivendicano lo stesso territorio dagli inizi del Novecento. Gli israeliani hanno sempre ritenuto che il loro popolo ebraico è nato in quei territori, i palestinesi ritengono di aver vissuto in quei territori da dove sono stati cacciati con forza dagli israeliani con la fondazione dello Stato d’Israele nel 1948. Ovviamente deve essere ricordato che nel primo secolo dopo Cristo gli ebrei emigrarono in Nord Africa ed Europa, iniziando difatti la Diaspora, e dal VII secolo dopo Cristo la Palestina fu conquistata dagli arabi convertiti all’Islam.

Sul piano della storia resta ancora un punto di domanda sul movimento sionista che si organizzò per la costituzione di uno Stato ebraico in Palestina. Tutto quello che è successo dopo e che vede alternarsi tanti protagonisti mondiale del potere politico, non ha aiutato a chiarire un equivoco che ancora è irrisolto. C’è chi cerca le ragioni dell’una e dell’altra parte, dell’uno e dell’altro popolo ma spesso si dimentica che qualcuno è stato spogliato dei suoi diritti consolidati. Ma c’è anche chi s’inserisce in questa dolorosa vicenda internazionale strumentalizzando fatti terzi per guerreggiare e dividere il mondo secondo influenze culturali, religiose, politiche che acuiscono distanze e contrasti. La situazione attuale é ancor più drammatica sé si tiene conto che il conflitto Ucraina Russia sta scavando un solco interetnico, che coinvolge Stati e Potenze internazionali e che sta concretamente coalizzando le Potenze politiche islamiche contro tutto il resto del mondo che sembrerebbe sorretto da un sionismo fin troppo interessato alle sorti dei conflitti. C’è veramente da temere per queste dinamiche che potrebbero giustificare cellule pazze che agiscono usando il terrorismo al posto dei conflitti e le bombe al posto delle diplomazie.

La forza di Israele supportata dagli Stati Uniti e dai Paese allineati è impari e può fare paura ma l’idea che i Paesi Islamici tra cui le grandi potenze produttrici di petrolio possano concretizzare un blocco militare, economico ed ideologico sembra che sia la vera novitá degli scacchieri mondiali. Da questa parte politica sembra che i finanziamenti agli Stati e alle organizzazioni paramilitari sia il nuovo approdo ad un intervento nei grandi conflitti con imprevedibili conseguenze.

I grandi organismi mondiali di pace e di equilibrio politico sono in buona parte superati da fattori nuovi che potranno portare solo tanto male alla salute del mondo. La Palestina da ultimo potrebbe far scoprire sorprese sulla scena mondiale che stravolgono gli attori conosciuti interessati alla difesa dei diritti di quel popolo. In Palestina come in Ucraina tocca ragionare ai tavoli di una buona diplomazia e fermare le armi.

Le conseguenze dell’uso delle armi e l’intervento di gruppi storici o meno di terrorismo comprometteranno la salute del mondo.

Nessuno applauda la sua parte. Occorre incoraggiare i trattati di pace, sapendo rinunciare a pretese insostenibili.

 

 

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