GIUSTIZIA: il voto di scambio già nell’antica Pompei ?

 

Aldo Bianchini

SALERNO – Non c’è niente da fare, più passa il tempo e più ci incartiamo nei meandri spesso oscuri della giustizia che la magistratura gestisce nella nostra Nazione a disdoro della “disadorna” politica.

Il voto di scambio è, ancora e per eccellenza, la chiave per aprire il grimaldello dei portoni dei sacrari della politica in modo da smantellare il legittimo esercizio del potere conferito dal popolo ai rappresentanti della politica per una giusta ed equa amministrazione della cosa pubblica.

Dietro la storiella, ormai non più credibile, del voto di scambio si cela il continuo ed illegittimo tentativo di una parte della magistratura di delegittimare la politica, anche a costo di utilizzare forme investigative più simili alla Santa Inquisizione che al normale esercizio di un potere che per molti aspetti è anche ben codificato.

Ed oggi, a conferma del grande bluff giudiziario, si scopre che anche nell’antica Pompei (addirittura pochi giorni prima dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.) si praticava il voto di scambio; addirittura gli archeologi hanno appurato che un fornaio ed un edile (due categorie che all’epoca dettavano legge) avevano tappezzato la loro domus con scritte in favore di tale Aulus Rustius Verus, un notabile in corsa per il ruolo di edile poco prima dell’eruzione del Vesuvio, già noto negli anni Settanta del 1° secolo dopo Cristo perché con Giulio Polibio ricoprì la carica più alta nella magistratura della città, quella di duoviro.

Questa è bella, per non dire quasi magistrale: un giudice che viene sponsorizzato da due grandi elettori per la carica di “edile” (una specie di governatore del territorio); grandi elettori che forse (ma questo non è stato ancora accertato) avevano goduto di alcuni favori da parte del magistrato che aveva emesso sentenze di assoluzione per alcuni reati a sfondo penale.

Una “situation comedy” che rispecchia alla perfezione quanto quotidianamente accade sotto i nostri occhi, alla luce della rabbiosa contestazione da parte della magistratura che quando non sa come combattere la guerra santa contro la politica (soprattutto di destra !!) tira fuori il famigerato “voto di scambio” intestardendosi su di esso fino all’inverosimile; esattamente come nei casi dei processi “Linea d’Ombra” contro Alberico Gambino e “Sarastra” contro Pasquale Aliberti. E questo per citarne soltanto alcuni.

Questo il fatto, tra il fornaio – l’edile e il magistrato, che all’epoca passava del tutto come un normale esercizio della libertà di espressione del proprio pensiero politico (tanto da scriverlo in maniera indelebile sui muri !!) e che oggi, invece, viene presentato sull’onda di una presunta libera interpretazione e informazione come un esempio quasi preistorico di “corruzione in atti giudiziari finalizzata all’ottenimento di cariche pubbliche nel solo interesse privato di pochi eletti”.

Insomma, batti e ribatti, gira e rigira, siamo sempre lì, allo stesso punto di partenza; vale a dire che l’onda malefica del “berlusconismo” era presente anche duemila anni fa; ma questo, ripeto, lo diciamo ora per allora, perché allora era tutto perfettamente normale.

Ma allora c’era un aspetto fondamentale che non va trascurato; allora la politica veniva esercitata con fermezza (anche nelle sue forme meno trasparenti) da chi vinceva le elezioni e veniva eletto a cariche pubbliche piccole, medie e grandi. E soprattutto i magistrati erano chiamati ad applicare le leggi, ad interpretarle pochissimo senza mai tracimare dalla giustizia commutativa in quella distributiva.

Ma all’epoca dell’antica Pompei in ogni casa c’era il “larario” (un altarino domestico adornato da due serpenti dipinti) su cui poter liberamente scrivere le iniziali ben visibili del predestinato da eleggere; iniziali che venivano fuori (proprio come oggi) durante le cene luculliane del tempo.

 

 

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