Aldo Bianchini
ROMA e PARADISO – La scena, o meglio il set universale, è struttrato tra la terra (Roma) e il prato celeste (Paradiso); dinanzi al portone sprangato (con tutte le chiavi nelle ferree mani di San Pietro) ci sono milioni e milioni, forse miliardi, di persone in attesa di un risposta. Sono stati sfrattati dal “limbo” che la Chiesa di recente ha definitivamente cancellato e sperano di entrare a gruppi ben scelti nelle accoglienti stanze del Paradiso per non finire nei buchi infernali di Lucifero.
In mezzo a loro c’è anche l’ex presidente della repubblica italiana on. Giorgio Napolitano (detto Re Giorgio Primo) che da non credente era destinato sicuramente ad accomodarsi nel limbo; ora è in attesa davanti al portone anche perché la visita a sorpresa di Papa Francesco alle sue spoglie mortali (laggiù nell’aula del Senato) sembra averlo sdoganato e preparato al grande balzo nel cuore della cristianità. Attende e spera Re Giorgio Primo.
All’improvviso il portone si apre e tra un forte brusio generale appare, sulla soglia, il Padreterno accompagnato sotto braccio dal suo amico di sempre l’imperatore Silvio (Berlusconi, questo il suo cognome), più indietro un bel gruppo di innocenti “olgettine” che recitano la parte di belle veline ben ricoperte con pesanti mantelli celesti, quasi come le mitologiche vestali; il silenzio si fa subito assordante, non vola una mosca (anche perché lì non ce ne son o !!); il Padreterno solleva il capo e fa cenno a Silvio di parlare; non se lo lascia dire due volte e prorompe: “Giorgio vieni, ti stavamo aspettando”; per nulla intimorito, anzi ben impettito, l’ateo Re Giorgio incomincia a camminare lungo il sentiero che si è, nel frattempo, aperto tra due immense ali di folla di personaggi; intorno al Re uno stuolo di portatori di bandiere rosse.
Un attimo di imbarazzo, poi l’uomo alto e snello posizionato dietro la coppia divina si porta verso Silvio e il Padreterno per sussurrare nell’orecchio sinistro dell’amico di Dio: “No, le bandiere rosse no, non far passare questo principio, almeno qui”; e subito fa un passo indietro per ritornare al suo posto; è il mitico avvocato Niccolò Ghedini (assurto al cielo nell’agosto del 2022) il costante e inossidabile difensore del cavaliere in tantissime battaglie giudiziarie. Senza por tempo in mezzo l’ex cavaliere tuona: “Giorgio, anche se sei un Re qui devi entrare spogliato da tutte le tue ideologie; ti stavamo aspettando con ansia, vieni da solo, non temere, qui nessuno può ordire imboscate come forse hai fatto tu con me, c’è solo pace – serenità – cordialità e comprensione umana. Vieni che abbiamo tanto da dirci e da raccontare a noi stessi ed al mondo intero”.
Il lungo corridoio apertosi tra la folla incomincia a richiudersi alle spalle di Re Giorgio; tra i tanti si scorgono anche e ben distintamente i volti di Sandro Pertini, di Giovanni Leone, di Antonio Segni e di un irascibile ex presidente Oscar Luigi Scalfaro che subito grida “Io non ci sto” (come gridò sulle tv nazionali quando qualcuno cercava di trascinarlo nello scandalo Stato-Mafia); la folla si stringe proprio mentre Re Giorgio arriva dinanzi alla coppia divina.
E’ calmo il Re; di fronte al Padreterno non si scompone, lui non è credente e quindi non si genuflette ma piega in avanti soltanto il capo (pochi centimetri di flessione), poi rivolto al suo antico rivale con un gesto di ritrovata amicizia gli porge il cinque che l’imperatore Silvio accoglie, gradisce e ricambia.
Il portone, infine, si richiude alle spalle dei tre mitici personaggi; Silvio ha predisposto le cose alla grande; un mega salotto-soggiorno (del tipo di quelli di Arcore) è stato approntato alla bisogna e dotato di due maxi schermi appesi alle preti; le olgettine ora in abbigliamento più succinto, sculettano e fanno da guida; ed è a questo punto che il Padreterno li saluta e si ritira, quasi irritato, nei suoi impenetrabili appartamenti.
Entrano nel mega salotto e Silvio fa: “Giorgio mettiti comodo, per il momento vediamoci la cerimonia delle tue esequie a Montecitorio, poi faremo una bella colazione e ci disporremo ad un lungo dialogo”. Tace Re Giorgio, e chi tace acconsente.