da Alfonso Malangone
(Ali per la Città)
SALERNO – Un Comune è come una grande società. C’è l’Organo Volitivo con funzioni di indirizzo, il Consiglio Comunale, delegato dai soci, cioè dai cittadini, ogni cinque anni, e l’Organo Esecutivo, il Sindaco, incaricato di amministrare insieme alla Giunta Comunale, da lui stesso nominata con scelta fiduciaria. E, ci sono pure i Controllori interni e i Revisori. E’ un complesso di persone che ha il compito di distribuire ai cittadini i ‘vantaggi’ apportati dai servizi, come ai soci vengono distribuiti gli utili dell’azienda. E, qui, in estrema sintesi, finiscono le analogie, perché cambiano di molto le condizioni nell’ipotesi di un risultato fallimentare. I soci, infatti, ci rimettono solo le quote versate, mentre i cittadini debbono pagare fino all’ultimo euro, come già sta accadendo. In questo caso sciagurato, poi, gli Amministratori delle aziende vanno a giudizio, laddove a quelli pubblici sono concesse ben più ampie garanzie. Chissà che non sia questa la causa di molte gestioni ‘allegre’ sparse per l’Italia, peraltro rese possibili dall’assenza di una qualsiasi norma che imponga agli Enti ‘obiettivi di risultato’. Sono i confronti tra le ‘qualità’ delle diverse Città, a dire quale Amministrazione abbia fallito. E, su questo, è meglio astenersi.
Nella Legge base dell’Ordinamento, il Testo Unico Enti Locali-TUEL, sono indicate le ‘funzioni generali’ attribuite ai Comuni (fonte: Dlgs n. 167/2000, art. 3), mentre quelle ‘fondamentali’ sono riepilogate nella Legge di Revisione della Spesa (fonte: L. 07/08/2012 n.135, art. 19). In sostanza, a un Comune viene solo detto quello che deve fare. Spetta a ciascuno di essi spiegare il ‘perché’ nel proprio Statuto. Il nostro precisa che l’Ente “cura gli interessi della Comunità Salernitana e ne promuove lo sviluppo. Assicura la conservazione e la promozione dei valori culturali, sociali, economici, ambientali e paesaggistici che costituiscono il patrimonio di storia e di tradizione della Città, al fine di esprimerne l’identità originaria ed i caratteri distintivi” (fonte: Statuto, art. 1, cc. 1-2). A leggere, non ci sarebbe nulla da osservare ma, a verificare in concreto, molte cose si possono dire. Ed è davvero giusto farlo, perché le evidenti condizioni di disagio della Comunità, oggi soffocata dal pesantissimo Disavanzo di fine 2022, pari a € 172,0 milioni (fonte: Bilancio Rev.), sembrano frutto proprio di scelte incoerenti che avrebbero ignorato qualsiasi progetto di valorizzazione dell’identità e della vocazione della Città, delle sue radici millenarie, della sua tradizione marinara, della sua ricchezza ambientale e della sua qualità culturale di Capitale Longobarda e Normanna. Non è negabile, nella realtà, che le sono stati cambiati i ‘connotati’, sia con mastodontiche opere della ‘modernità’, incomprensibili per dimensioni fisiche ed impegni di spesa, forse anche insostenibili per inadeguate competenze, sia con la cementificazione di ogni zolla di terreno, dominando all’occorrenza la natura, sia, infine, con interventi di ‘profonda diversità’ che hanno tranciato i legami con il territorio, hanno trasformato il mare in una pista privata per i proprietari di barche e in una fogna per i cittadini, hanno contrapposto ‘vecchio’ e ‘nuovo’ creando ovunque la stessa qualità urbana presente nelle Città in via di sviluppo. E’ una considerazione, ma non è troppo lontana dalla realtà visto che, a guardare in giro, la Comunità è rimasta ai pennini ‘a cavallotto’ per la mobilità, per la circolazione, per le modalità di offerta dei servizi, per la tecnologia ‘di vicinato’ e per tutto il resto ancora. Di più. Per quei progetti mastodontici sono state investite tutte le risorse disponibili, facendole mancare alle spese ordinarie. Così, il ricorso al decreto Aiuti è stato il punto di arrivo di un percorso perverso che ha portato ad una condizione certa di pre-dissesto e, forse, anche di dissesto. Pagheremo fino al 2044(!) e gli impegni assunti renderanno davvero pesanti i prossimi sette anni. Intanto, mentre ancora c’è che fa grattacieli mastodontici, la Città si svuota. La popolazione si è ridotta a 126.646 unità, al 31/05 (fonte: Istat), alla media di 1.000 in meno ogni anno, e nelle scuole dei primi tre ordini mancano, quest’anno, 539 alunni (fonte: ilMattino). Sono fenomeni che sembrano non interessare ai Responsabili, intenti a pensare alle Grandi Opere e alle Luci di fine anno. Tanto, alla fine pagherà chi resta, anche se non è mai successo, da nessuna parte, che una condizione di squilibrio sia stata risanata puntando solo sull’incremento delle Entrate. Gli specialisti dell’Ente dovrebbero saperlo, questo. Cioè, non potranno mai essere sufficienti i sacrifici dei cittadini in assenza di un radicale cambiamento delle logiche di indirizzo che portino alla sostituzione di scelte frutto di visioni personalistiche con altre orientate all’esclusivo interesse collettivo e rispettose di tre vincoli ben precisi: la coerenza con identità e vocazione; la compatibilità con le risorse, anche umane, disponibili; il rispetto di nuovi equilibri ambientali, sociali e morali. Secondo questa logica, appare davvero ‘sconsiderato e scomposto’ il progetto di scaricare sulla Comunità una spesa di € 95 milioni per l’Arechi, con collegati € 15 milioni per il Volpe, benché la Squadra Sportiva avesse assunto l’impegno a riqualificare gli stadi con mezzi propri. Una Città indebitata fino al collo, per € 503,2 milioni a fine 2022 (fonte: Bilancio), non può permettersi di fare investimenti dai quali recuperare, secondo le convenzioni, solo ‘spiccioli’: per il primo, il 6,5% degli incassi netti della Squadra, che nel 2022 ha dichiarato ricavi per € 6.5 milioni, e, per il secondo, € 24.660 di fitto (fonte: SAnews). Non può farlo, dimenticando il disonore causato dai posti di retroguardia in qualsiasi statistica nazionale e il sacrificio dei suoi figli costretti a percorrere le strade del dolore e della vergogna. Uno Stadio non fa dignità, non da qualità, non offre futuro. Ancor più se col deserto intorno.
Per una vera ‘resurrezione’, Salerno deve ricollegarsi alla sua identità, alla sua cultura, alla sua umanità, al talento, al sapere e saper fare della sua gente migliore, per continuare a scrivere la storia in continuità con il suo passato millenario. Gli Amministratori hanno fallito, omettendo di rispettare l’art. 1 dello Statuto, e falliscono ora nel soddisfare i desideri di chi ambisce ad uno Stadio ‘da Re’, perché ‘da Principe’ è poco. Con essi, è fallita l’intera Comunità, condotta alla sciagura finanziaria mentre qualcuno ha potuto ‘arricchirsi’ sfruttando i beni comuni di tutti. Nulla potrà mai cambiare in assenza di una visione futura incentrata su due Missioni ben precise, una di carattere sociale ed una economica, che siano la guida da seguire per il benessere di tutti. Diversamente, ci saranno solo le costruzioni ‘da Lego e da Meccano’, costose e anche inutili. E, poi, neppure sarebbe più il tempo di giocare con le vite dei figli e dei nipoti.
Alfonso Malangone – Ali per la Città – 13/09/2023
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