Aldo Bianchini
SALERNO – Quel giorno che cambiò la storia del pianeta mi trovavo nella redazione di Quarta Rete Tv a Salerno e dalla regia mi avvertirono che a New York era accaduto e stava accadendo qualcosa di molto grave. Rapida la mia discesa in regia e subito la drammaticità della situazione si appalesò ai miei occhi stupiti. Incominciammo a registrare tutte le immagini che provenivano dalla CNN e dagli altri net-work mondiali. Il regista Mario Lo Bianco riuscì anche ad attivare un collegamento telefonico con Tonino Gennatiempo che fino a qualche mese prima era stato operatore tv di Quarta Rete e che in quel momento si trovava a New York come tecnico della locale sede della Rai.
Fu quindi facile organizzare subito una lunga ed estenuante trasmissione, con vari ospiti che si alternavano e con intervallati collegamenti telefonici in diretta; questa la cronaca nuda e cruda di quella giornata che anche per una piccola tv locale è passata alla storia.
Ma che cosa è stato quell’attentato che ha cambiato il mondo ? Per avere una risposta è necessario, a mio avviso, ritornare alla storia di questi ultimi ottant’anni e più specificamente all’attacco che l’America subì dal Giappone a Pearl Harbor: “”Aveva perfettamente ragione il comandante in capo della flotta navale giapponese, Isoroku Yamamoto, quando qualche minuto prima di sferrare l’attacco contro la flotta statunitense del Pacifico nella mattinata del 7 dicembre 1941 confidò ad uno dei suoi più fidati ammiragli che: l’attacco avrà l’effetto di una puntura d’ago sul dorso di un elefante””.
Allora fu così, e probabilmente anche nel 2001 è stato così; l’America è un immenso elefante e crede molto in se stessa, e per questo dimentica facilmente le grandi tragedie; ha le potenzialità giuste per ripartire sempre daccapo e con maggiore forza. Lo ha dimostrato in questi ultimi diciassette anni.
Nei pressi del famoso Ground Zero, alla fine di una delle street che confluiscono sul mega piazzale dove un tempo sorgevano le due torri gemelle del Trade World Center c’è un enorme crocifisso che esprime, pur nella sua semplicistica realizzazione, tutta la forza che l’America investe per le sue ripartenze, non a caso dal quell’enorme buco nero è nato uno dei grattacieli più belli del mondo, la Freedom Tower il principale edificio del New World Trade Center di New York, in Lower Manhattan, che non a caso raggiunge l’altezza di 1776 piedi, pari a 541 metri e 33 centimetri ai quali si aggiungono i 5 metri del pennone che però non vengono calcolati nell’altezza totale. Il numero 1776 non è casuale: è stato scelto poiché rappresenta l’anno della dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti.
Questa era l’America di ieri e questa è l’America, o meglio questa è New York agli occhi del viandante che dovesse capitare non tanto per caso da quelle parti. Un’America capace di risorgere dalle ceneri di un attentato che avrebbe fiaccato la resistenza e la capacità di reagire di qualsiasi altro Paese del mondo. Il buco enorme che è rimasto a perenne ricordo di quel tragico giorno e del crollo del World Trade Center (le due torri gemelle) è rappresentato da un’enorme vasca interrata; sul muretto di cinta sono stati iscritti per sempre tutti i nomi delle vittime innocenti (oltre tremila) di quella strage; l’enorme flusso di acqua sgorga dalle pareti della vasca quadrangolare e precipita verso il basso dove compone varie figure fino a sommergersi nelle viscere della terra per poi riemergere pulita e rimessa in circolo.
Ho avuto la fortuna di visitare diverse volte New York, dalla prima volta nel 1985 (con salita sulla torre visitabile) all’ultima volta nel febbraio 2023, poco o niente è cambiato al di là del “ground zero” che sprofonda nelle viscere della terra e della gigantesca “Freedom Tower” che svetta verso il cielo; niente, però, potrà mai cancellare i dubbi e le incertezze degli accadimenti di quella tragica mattinata che lasciò attonito il mondo intero: gli aerei che si muovono incontrollati nei cieli statunitensi, l’immobilità degli obiettivi da colpire, la ostentata staticità dei sistemi di sicurezza, l’inutilità del famoso scudo spaziale voluto tenacemente da Ronald Reagan, l’insicurezza di un sistema difensivo che costrinse il presidente George W Bush a volare con il suo Air Force One per nove ore senza una precisa destinazione, ma anche lo stoico eroismo di centinaia di vigili del fuoco caduti nell’adempimento del loro dovere.
Ma l’elefante ha continuato e continua il suo percorso senza fermarsi mai, neppure dinanzi alla straripante pericolosità di Irma, uno degli uragani atlantici più potenti della storia americana; anche l’uragano probabilmente è stato soltanto una puntura di spillo sul dorso di un elefante.