da Salvatore Memoli
(avvocato – scrittore)
Ci sono programmi politici ed iniziative governative che come certe verità processuali valgono per come appaiono ma sono ben lontane dalla realtà dei fatti. Ho incoraggiato e seguo con attenzione gli impegni del Governo Meloni per la Tunisia. I propositi sono tutti buoni ma la realtà é purtroppo negativa. Non c’é dubbio che la Meloni si sia data una visione politica più mordace nei rapporti con il nord Africa e che a lei torni l’onore delle sue proposte ed iniziative, a partire dal piano Mattei. Ma per lavorare bene con l’Africa ed in particolare con la Tunisia occorre conoscere la Tunisia, la sua storia, la sua economia, la sua sociologia, la psicologia del popolo e della classe politica. Non basta proporre trattati e peggio é credere che basti inviare aiuti economici al Governo del Paese. Possono essere queste cose perfino controproducenti se non rischiano di finanziare l’opposizione e l’avversione politica. Non bastano i protocolli politici e diplomatici, non sono sempre anticamera del successo delle missioni. Occorre conoscere la realtà, ascoltare le fonti governative ma impegnarsi particolarmente all’ascolto dell’opposizione e dell’opinione pubblica, gli intellettuali, i giornalisti, le forze sociali libere del Paese. La Tunisia registra in queste ore un incremento spaventoso di clandestini. Più numeroso di come appare, per giunta dopo le aperture di Meloni. Non di subsahariani ma di tunisini! Noi che viviamo qui, sappiamo, veniamo informati, conosciamo gente che oggi sta in Tunisia e domani si trova nei centri di accoglienza italiani da dove telefona, manda selfie e condanna la qualità dell’accoglienza. Per contro le polizie interessate in Tunisia riferiscono per rassicurare di interventi con cui fermano diversi clandestini. Un inferno che continua a crescere ed essere alimentato da un’idea di fuggire, in parte motivata, in parte risposta di oggettive situazioni d’infelicità sociale ed economica. Mentre scrivo in Tunisia non si trovano molti beni di prima necessità, manca la farina, il pane, lo zucchero ed il riso, la semola, il caffé e tante altre cose. Non occorre la guerra per misurare una tensione sociale. I prezzi salgono in una stessa giornata, un cespo d’insalata acquistato al mattino a un dinaro e 400, di sera costa 2 dinari e 400! L’olio che costava 8 dinari al litro (circa 2€ e mezzo) ne costa 20 dinari e non si trova! Un’escalation vertiginosa di prezzi che segue un’inflazione incontrollabile.
La situazione della Tunisia é difficile in ogni campo, politico ed economico e si é aggravata da quando c’é la guerra Ucraina-Russia. Gli aiuti che vengono dall’Italia e dall’Europa non arrivano al popolo ma al Governo. Il Governo ha impegni ingenti per mantenere la sua organizzazione con i suoi costi crescenti per stipendi e per gli apparati (nei quali é incluso un crescente numero di ” auto blu” che qui hanno targa rossa, cresciute dopo la rivoluzione e che girano portando a spasso funzionari e impiegati che non si conosce dove vanno). Come le auto blu ci sono tante altre spese dilatate, fuori controllo.
Tra gli apparati del Governo e le necessità della popolazione ci sono esigenze diverse e, forse, contrastanti. Su questa riflessione deve essere adeguato il sistema degli aiuti economici internazionali. Di questo nessuno parla. Più di finanziamenti a pioggia, secondo una diffusa opinione, servono finanziamenti finalizzati ad incrementare il sistema produttivo industriale e delle opere pubbliche della Tunisia. Il Paese si compone di 24 Governatorati nei quali bisognerebbe realizzare un sistema produttivo che offre risposte occupazionali, soprattutto ai giovani. Sarebbe utile fare dei progetti d’investimento con e per privati, come definire il sistema delle partecipazioni di aziende italiane ai lavori pubblici tunisini che aziende locali non garantiscono per mancanza di liquidità e di credito bancario.
Insomma con un programma tipo Pnnr si potrebbero canalizzare risorse per i territori, con una commissione centrale di gestione, valutazione e controllo di tutte le fasi di realizzazione degli interventi. Per fare questo non si deve scomodare la diplomazia, occorrono tecnici con comprovata esperienza e con piani predefiniti condivisi dal Governo ma totalmente gestiti da chi mette i fondi.
Un apparato produttivo funzionante con la nascita di attività collaterali consentirebbe migliaia di posti di lavoro da dare ai giovani.
Non servono più gli aiuti dati ai Governi, i Paesi europei, l’Italia in particolare, debbono cambiare la filosofia degli interventi ed assumere responsabilità sulle realizzazioni. D’altra parte un diverso modo di aiutare un Paese in via di sviluppo rischia di sperperare fondi elevati, senza che nessuno mai si chieda se c’é uno sperpero di questi aiuti. Un sostanziale aiuto alla Tunisia arriverebbe dalla fine della guerra in Ucraina, i cui danni arrivano soprattutto in Africa.