Ucraina, lo stallo di una guerra infinita

 

by Luigi Gravagnuolo

scritto il 1° Agosto 2023 per Gente e Territorio

 

La sbandierata controffensiva ucraina di primavera è con tutta evidenza fallita. Siamo ormai in piena estate e sul fronte non si registrano modifiche significative dei rapporti di forza. Anzi, l’impressione è che le cose stiano volgendo a favore della Russia. Come evolverà dunque la vicenda bellica?

Escludiamo – salvo impazzimenti – che l’escalation porti all’uso dell’atomica, come più volte ventilato, tra un cicchetto di vodka ed un altro, dall’ineffabile Dmitrj Medvedev. Mosca dista dai confini ucraini 500 km, meno ancora è distante Minsk, la capitale della fidata Bielorussia, solo un suicida potrebbe immaginare di sganciare un ordigno nucleare su un territorio così vicino a se stesso. E si sa che gli isotopi radioattivi restano sul terreno anche per milioni di anni. Potrebbero forse essere utilizzate le cosiddette bombe tattiche nucleari, che devastano un territorio ben perimetrato. Sembra ve ne siano finanche a bersaglio mirato, potrebbero cioè sterminare gli esseri viventi come mosche col DDT e lasciare intatte le strutture edilizie e le infrastrutture. Ma il rischio sarebbe comunque enorme. Tra tutte, l’ipotesi dell’escalation nucleare è la meno probabile.

Pensare poi ad un cedimento dell’asset politico di Mosca, con un golpe che defenestri Putin non è del tutto implausibile – lo si è visto lo scorso 24 giugno con l’ammutinamento di Prigozhin – ma allo stato non se ne vedono i segnali. Anzi, dalla fallita ‘marcia su Mosca’ dei wagneriti, Putin sembra aver consolidato il suo controllo sulla cerchia di comando moscovita.

Né è verosimile una qualche ribellione contro Zelensky in Ucraina. Non solo il leader di Kiev appare ad oggi in buona salute politica, ma tutto l’Occidente non potrebbe permettersi una nuova Kabul. In piena Europa per giunta. Costi quel che costi, Zelensky ed il popolo ucraino saranno sostenuti fino alla fine.

E allora? Chiediamo aiuto alla storia.

Sotto molti aspetti non è effimera la certezza della Russia di essere la Terza Roma vivente. Come la prima Roma e la seconda, cioè Costantinopoli, anche Mosca nei secoli ha perseguito un’incessante politica di annessione dei territori ad essa confinante, verso Occidente e verso Oriente, a Nord e a Sud. Ha faticato spesso a conquistarli ma poi, una volta issato lo stendardo su una terra conquistata, si è dimostrata coriacea nella sua difesa. Lo zar Nicola I (1796-1855) stabilì per decreto che ovunque fosse stata issata la bandiera dell’impero russo non avrebbe dovuto mai più essere ammainata.

Anche nei primi anni di questo secolo non sta andando diversamente. Nel 2014, prima guerra del Donbass, Mosca ha occupato parte dello stesso Donbass e la Crimea e da allora di lì non se n’è mai andata. Il 24 febbraio ‘22, con l’invasione dell’Ucraina che ha aperto la guerra tuttora in corsa, se ha fallito la presa di Kiev, si è portata però molto avanti verso Il Dnipro, conquistando tra le altre Mariupol, Donec’k, Luhans’k, Melitopol e Kherson, quest’ultima ripresa a fatica dagli Ucraini nei mesi scorsi e sottoposta a incessanti bombardamenti. Sarà difficile sloggiarli dagli oblast occupati, i Russi sono maestri nelle strategie difensive.

Ritorniamo a Nicola I, il vero modello ispiratore di Putin. Nel 1836 tentò di impadronirsi della Circassia, oggi Georgia. Inizialmente i Russi subirono la migliore preparazione dei coraggiosi Circassi, appoggiati e formati dalla Gran Bretagna, timorosa che l’espansionismo russo sarebbe arrivato a minacciare la loro preziosa India. Dopo le prime batoste gli uomini dello zar cambiarono tattica e cominciarono ad usare le armi a mitraglia. I Circassi, abituati ad attaccare i rivali con la loro veloce cavalleria, ne furono sorpresi. I migliori e più coraggiosi tra loro caddero vittime della loro stessa temerarietà. Allora, pur continuando a combattere eroicamente, cominciarono a chiedere insistentemente che gli Inglesi gli fornissero nuove armi. Se le avessero avute, sostenevano, avrebbero avuto la meglio. La guerra durò ancora per quaranta anni, ma alla fine, ad un costo spropositato di vite umane e di rubli, villaggio dopo villaggio, fortino dopo fortino, la Circassia fu annessa alla Russia.

Sulla scorta di questa ed altre analoghe esperienze, gli ufficiali dell’esercito zarista si convinsero che la migliore maniera di ‘pacificare’ una popolazione recalcitrante ad essere annessa all’impero sarebbe stata quella di terrorizzarla. Il generale Skobelev, impegnato nell’assedio del fortino di Geok-Tepe, oggi in Turkmenistan, scriveva a Sua altezza Imperiale: “Sono dell’idea che la durata della pace sia direttamente proporzionale alla strage che si infligge ai nemici”. E fu di conseguenza: quindicimila turkmeni trucidati, nessuna distinzione tra combattenti e civili, vecchi inermi decapitati, donne prima violentate e poi uccise, bambini infilzati con le baionette ed issati come trofei, saccheggiate tutte le case, un massacro atroce.

La ferocia del generale indignò il mondo e l’Inghilterra minacciò di dichiarare guerra allo zar. Questi, per tacitare l’opinione pubblica europea, sollevò dall’incarico il focoso Skobelev, che peraltro era stato preso da manie di grandezza e minacciava di rivolgere le armi contro i suoi colleghi delle retrovie, ritenuti imbelli e codardi, senza nascondere di nutrire proprie ambizioni politiche, e lo mandò in esilio. Sapete dove? A Minsk!

 

 

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