by Luigi Gravagnuolo – 28 Luglio 2023 – scritto per Gente e Territorio
Nel nostro immaginario collettivo la Svezia rappresenta la patria dei diritti, della tolleranza e del welfare, un luogo dove la gente vive libera, nel benessere e nello spirito della solidarietà sociale. È una visione edulcorata della realtà. Non che in quelle lande non si sia sperimentato uno dei modelli più avanzati di coniugazione di diritti individuali e di tutele sociali che la storia umana abbia mai conosciuto – la Svezia ancora oggi occupa il settimo posto mondiale nel rating ISU (Indice di Sviluppo Umano) – ma, dietro il mito, la vita quotidiana tradisce una realtà ben diversa. In quel Paese sussistono fondamentalismi identitari razzisti che tracimano spesso in bieca violenza.
Negli anni Sessanta un italiano che vi fosse immigrato doveva stare bene attento a non girare da solo di sera per le strade di Stoccolma. Io ci capitai, giovanissimo, in viaggio di piacere e di ‘formazione alla vita’. Eravamo soli, imberbi, io quindicenne e mio fratello di un anno più grande. A Stoccolma di sera e notte per le strade spadroneggiavano i raggare. Alti e robusti per costituzione, imbottiti di droghe e di alcool, in mise heavy metal, forniti di tirapugni, di coltelli e di catene, a cavallo di roboanti Harley-Davidson, rastrellavano le strade del centro di Stoccolma alla ricerca di italiani, spagnoli, greci, slavi e turchi. Se ne beccavano uno isolato, lo circondavano e bastonavano senza pietà e senza ragione. Per sfizio. Qualche volta ci scappava il morto.
A distanza di decenni le gang criminali in Svezia sono sempre più numerose e aggressive e si contendono il controllo dello spaccio a colpi di armi da fuoco. Stoccolma è oggi la città più pericolosa d’Europa e la Svezia la nazione dove vengono registrati più omicidi da armi da fuoco dell’intero continente, 4 ogni milione di abitanti, contro una media europea di 1,6.
Qualche cifra per orientarci: 388 sparatorie e 90 attentati dinamitardi, per un totale di 61 morti, nel 2022; 1.674 sparatorie nel periodo 2017-21, che hanno causato 220 morti e 600 feriti; circa 10.000 gangster in armi, agli ordini di 40 famiglie mafiose e di 500 bande di strada.
Il mito del paese dell’accoglienza e dell’integrazione degli immigrati, del welfare felice pagato dalla finanza pubblica, già di per sé deformante della realtà effettuale della Svezia della seconda metà del secolo scorso, è andato definitivamente in soffitta con la crisi economica globale del 2008, alla quale si sono aggiunti gli effetti di lunga durata del decremento demografico, comune a tutti i paesi occidentali, ma particolarmente accentuato in Svezia. Nella recessione mondiale e senza più forza lavoro autoctona sufficiente, in breve tempo sono andati in affanno il bilancio pubblico e il sistema industriale. Si è determinato perciò un fabbisogno urgente di forza-lavoro, soddisfatto dall’immigrazione, che dal 2015 ha avuto un’impennata impetuosa. Secondo le Nazioni Unite oggi, su una popolazione totale di circa dieci milioni di persone, due milioni sono stranieri.
Sono nuove forze di lavoro indispensabili al Paese, ma il sistema Svezia non riesce più ad integrarle. Le gang autoctone attaccano con sempre maggiore brutalità singoli immigrati, i loro quartieri di residenza ed i loro luoghi di culto; e costoro, anche per difendersi dalle incursioni armate dei razzisti ma non solo, hanno cominciato ad organizzarsi con le loro mafie. Ne è derivata una strisciante guerra civile a sfondo razziale: più di 400 attentati con esplosivo nel periodo 2018-21, una sparatoria ogni due-tre giorni a Stoccolma, un centinaio di detonazioni l’anno in tutto il paese.
Alle elezioni politiche nazionali dello scorso anno, rompendo la storica egemonia dei socialdemocratici, ha vinto la coalizione di centro destra, all’interno della quale la SD di Jimmy Åkesson, formazione di estrema destra, anti-migranti ed euroscettica, è il primo partito per numero di parlamentari.
Lo scorso anno, dopo l’aggressione russa dell’Ucraina del 24 febbraio 2022, la Svezia, rinunciando alla sua plurisecolare neutralità, ha chiesto di aderire alla NATO. Inizialmente la Turchia aveva opposto un veto al suo ingresso nell’Alleanza, motivandolo con il fatto che Stoccolma offre asilo politico ad alcuni esponenti del PKK curdo, da Istanbul ritenuti terroristi. La mediazione del Segretario Generale della Nato, Jens Stoltenberg, unitamente al pressing delle altre potenze europee e degli USA, è poi arrivata a rimuovere l’opposizione turca.
Ebbene, proprio in questo contesto, nello scorso gennaio, davanti alla sede dell’ambasciata turca a Stoccolma, un neonazista, Rasmus Paludan, ha bruciato il Corano. E a fine giugno Salwan Momika, un giovane iracheno richiedente asilo, nel giorno di inizio del triduo della festa musulmana Eid al-Adha (‘Festa del Sacrificio’), ha bruciato il Corano addirittura davanti alla moschea di Medborgarplatsen, la più importante di Stoccolma. Un gesto ripugnante come lo è il rogo di qualsiasi libro, ma ancora di più disgustoso trattandosi del testo sacro di una confessione religiosa.
Immediate sono scattate le reazioni nei paesi islamici. Manifestazioni popolari si sono svolte sotto le sedi di numerose ambasciate svedesi e l’Iraq ha rotto le relazioni diplomatiche con Stoccolma. Intuibile anche l’imbarazzo di Erdogan, che aveva appena tolto il veto all’ingresso della Svezia nella NATO.
Per tutto quello che si è detto sopra è anche comprensibile che, nel contesto delle gravi tensioni che oggi attraversano la società svedese, possano mettersi nel conto gesti provocatori individuali o di piccoli gruppi. Il fatto è che non solo il governo svedese non persegue gli autori del rogo, ma che dopo il primo episodio addirittura la Corte Suprema svedese ha annullato la sua precedente decisione di vietarli. Ciò in nome della libertà di espressione: se il pensiero di un cittadino è ostile all’Islam, costui ha il diritto di manifestarlo anche in forma provocatoria.
I roghi del Corano sono dunque legittimi in Svezia, ciò in sfregio ad uno dei principi costitutivi dell’Unione Europea, di cui pure la Svezia fa parte: la libertà di culto, di cui è corollario ineludibile il rispetto delle diversità.
Ora il governo di Stoccolma, sotto la pressione internazionale, sta prendendo le distanze ed accusa i servizi russi di aver organizzato i roghi allo scopo di creare difficoltà all’adesione della Svezia alla NATO. Ci sarà forse anche del vero, ma le profanazioni dell’Islam continuano indisturbate per tutta la Scandinavia.
E la Commissione Europea, ed il Parlamento Europeo ed il Consiglio d’Europa dove stanno? che fanno? Ha parlato Joseph Borrell, Alto Commissario per la Politica Estera, ed ha condannato gli episodi. Tutto qui.