Aldo Bianchini
SALERNO – In uno dei precedenti capitoli di questa lunga storia ho scritto che il Procuratore della Repubblica dell’epoca, dr. Ermanno Addesso, in forza della famosa “relazione Scalfaro” sul terremoto dell’80 (opportunamente inviata in copia a tutte le Procure competenti per i territori del terremoto) avviò un preciso piano di ripartizione degli incarichi da affidare ai suoi sostituti per le opportune indagini sui punti più dolenti di quella relazione redatta alla chiusura dei lavori della “Commissione Parlamentare d’inchiesta sul terremoto ‘80” presieduta da Oscar Luigi Scalfaro che poi diventerà Presidente della Repubblica.
Ebbene il procuratore Addesso divise il territorio interessato dal terremoto in tante particelle, assegnando le stesse ai singoli sostituti. La zona ricompresa tra Valva, Laviano, Santomenna e Castelnuovo di Conza toccò alla dott.ssa Anita Mele, molto temuta dai probabili colpevoli delle nefandezze descritte nella relazione Scalfaro.
Ed è proprio a Laviano che scoppia, il 19 luglio 1993, il primo clamoroso scandalo post terremoto con l’arresto del giovane sindaco Salvatore Torsiello (ingegnere) che nei giorni tragici del terremoto aveva visitato le rovine del suo paese al braccio di Sandro Pertini, allora presidente della Repubblica, giunto in elicottero nel paese più distrutto un paio di giorni dopo il sisma.
Poi seguì lo scandalo di Valva con oltre trenta indagati tra i quali l’ex sindaco Michele Figliulo (poi componente del Direttivo Nazionale del PDS e vice presidente della Provincia di Salerno); a Valva operò la famosa Coop. Rossa “Sistema” con la presenza assidua del noto “gamba di legno” Giovanni Donigaglia (si proprio quello che Vincenzo Ritonnaro aveva accompagnato in Via Manzo presso la segreteria provinciale del PCI); ma qui a Valva non ci furono gli arresti violenti di Laviano.
Da Laviano e da Torsiello la pm Mele voleva arrivare direttamente a Ciriaco De Mita del quale lo stesso Torsiello era il proconsole per la Valle del Sele; e per fare questo la Mele riuscì a tenere Torsiello in carcere per più di sette mesi per quella che la storia registrerà come la detenzione preventiva più lunga di tangentopoli.
Comunque, la mattina del 19 luglio 1993, lunedì, la tangentopoli salernitana toccò, forse, il top con l’arresto del sindaco Salvatore Torsiello; era evidente l’attacco al cuore della D.C. e al “gran visir” di Nusco. Con Torsiello furono arrestati i consiglieri comunali Antonio Dente e Archimede Caruso, i segretari comunali Nicola Parisi e Maria Rosaria Cusatti e gli ingegneri Antonio Di Vito e Vittorio Cammarano: “associazione a delinquere, turbativa d’asta aggravata, falso materiale e ideologico” questi i capi di imputazione formulati dalla Procura di Salerno.
I sette arrestati, secondo la Procura, avrebbero dato vita ad un vero e proprio racket che controllava gli appalti pubblici indirizzandoli verso la Edil Braca di Antonio Di Vito e la Ca.Mi. di Vittorio Cammarano.
Braccato dalla Procura per oltre dieci l’ingegnere Torsiello scivolò sulla classica buccia di banana: un esposto-denuncia sottoscritto da tre cittadini di Laviano depositato in Procura per chiedere spiegazioni sugli appariscenti rigonfiamenti e sulla stessa utilità dei costi di alcune grandi opere pubbliche: la sontuosa Chiesa Madre ed il faraonico Municipio, oltre ad una strada che dal centro urbano di Laviano portava direttamente, dopo un paio di chilometri, in un campo di patate; solo la strada era costata circa 5miliardi di lire.
La particolarità di questa vicenda giudiziaria è data dl fatto inusuale che la pm Mele ordinò una serie di perquisizioni prima e dopo l’arresto del sindaco, quasi come se andasse alla ricerca di un fatto specifico a conferma delle illazioni esposte di tre cittadini che di per se erano state già sufficienti per l’arresto.
La mattina del 29 luglio 1993, il giorno dopo i clamorosi arresti, la pm Anita Mele piomba nuovamente nella sede provvisoria del municipio di Laviano per perquisizioni ancora più stringenti delle precedenti; ed ecco la sorpresa: viene ritrovata una busta-gara (per l’appalto del nuovo Municipio) probabilmente dimenticata in un cassetto dalla commissione di gara; dalla busta emersero elementi sconcertanti in quanto la ditta che aveva presentato quella busta aveva offerto prezzi molto vantaggiosi rispetto a quella che aveva vinto la gara.
Ricordo benissimo l’atmosfera di quel momento; ero arrivato nel municipio di Laviano intorno alle ore 9 del mattino per ragioni di lavoro legati al mio ruolo di ispettore di vigilanza degli infortuni sul lavoro; la zona dove c’era la PM era assolutamente off-limits ma le voci correvano all’impazzata e descrivevano in maniera dettagliata le fasi del ritrovamento della busta (in cassetto di un delle scrivanie, sotto alcune pratiche amministrative) e del suo contenuto.
Lì per lì mi sorpresi a pensare come fosse stato possibile un ritrovamento del genere; un fatto molto importante che comunque era sfuggito alle precedenti perquisizioni; soltanto dopo molto tempo si saprà che la busta era visibilmente taroccata con la cera-lacca rimessa alla meglio e la ditta che l’aveva presentata non aveva le qualità per farlo.
Non si è mai saputo chi era stato ad ordire un simile inganno nel quale cadde, ovviamente, anche la Procura della Repubblica.
L’eccitazione di quella perquisizione non fu smossa neppure la clamoros notizia del suicidio in carcere di Gabriele Cagliari (dirigente d’azienda italiano, operante soprattutto nell’industria chimica sia pubblica sia privata, fu presidente dell’Eni dal 1989 al 1993) avvenuto proprio in quelle ore della mattina del 20 luglio 1993 nel carcere di Milano.
Le avventure giudiziarie di Salvatore Torsiello non finiscono con l’arresto del 19 luglio 93; contro di lui nel corso degli anni vengono incardinati ben 108 processi (pubblico ministero quasi sempre la Mele) che lo hanno reso il politico più processato della tangentopoli nazionale.
L’irruento Salvatore Torsiello, comunque, non cedette e non si lasciò trascinare dall’ipotesi accusatrice della Mele che aveva come probabile obiettivo il mitico De Mita; mai una parola su De Mita e supina sopportazione del carcere.
Negli anni Torsiello è stato sempre coerente con se stesso ed ha spesso affermato che “Laviano è stato un caso a parte perché è stato veramente distrutto tutto, anche la giustizia”.
Una nota specifica va riservata al suo unico avvocato difensore, Marcello Giani, che lo ha pazientemente e professionalmente assistito in tutti i processi a suo carico, portando il suo assistito a 108 assoluzioni con formula piena; un caso assolutamente unico in tutta la Nazione.
Per chiudere è anche giusto raccontare almeno uno dei tanti episodi che furono addebitati a Torsiello come reti e che invece si dimostrano delle boutade.
Bisogna necessariamente fare un passo indietro e ritornare nella stanza al terzo piano della Procura della Repubblica di Sala dove, il 10 maggio 1993, il procuratore Domenico Santacroce e i sostituti Vito Di Nicola – Luigi D’Alessio e Antonio Scarpa misero sotto torchio l’imprenditore vallese Alberto Schiavo che, tra le tante confessioni, aveva dichiarato di aver versato nelle mani del sindaco di Laviano ben 50milioni di lire come tangente per uno degli appalti vinti a Laviano.
Alcuni anni dopo le date del 10 maggio e del 19 luglio 1993, il sindaco Salvatore Torsiello e l’imprenditore Alberto Schiavo si ritrovano l’uno di fronte all’altro in uno dei faccia a faccia più famoso di tangentopoli.
“Signor Schiavo -attacca l’avvocato Marcello Giani- può spiegare come e dove ha consegnato i soldi al quìpresente ingegnere Torsiello ?”.
Piccola pausa e prontamente Schiavo comincia il racconto: “Era di sera, qualche anno fa, non ricordo se nel ’91 o nel ’92; io ero a bordo della mia macchina proveniente dal Teatro Verdi e incrociai la macchina di Torsiello, come da appuntamento, davanti dinanzi al “bar Canasta” in Piazza della Concordia. Il sindaco abbassò il vetro del finestrino ed io gli porsi il pacchetto con i 50milioni di lire in contanti”.
A quel punto l’avvocato Giani scatta in piedi e richiama con forza l’attenzione dei magistrati (Di Nicola –D’Alessio e la Mele) sul fatto che in quel punto la strada è a senso unico (da ovest verso est) e che mai, quindi, le due auto si sarebbero potute incrociare.
Tra l’imbarazzo generale anche quell’accusa finisce, come le altre, nel nulla.
Tangentopoli è stata anche questo.