Sociopolitica: meglio la corruzione o la belligeranza?

 

 

da Antonio Cortese (giornalista)

 

Nessuna testata come il quotidiano di Salerno continua ancora oggi ad approfondire i temi scaturiti da tangentopoli .  Analisi e dichiarazioni archiviate e d’archivio fanno ancora emergere a galla le dinamiche di una matassa che per molti anni si ingarbugliava su sé stessa; ciò accadeva perché, come ha evidenziato l’onorevole Giuseppe Gargani in una conferenza la settimana scorsa su Radio Radicale, i magistrati hanno fatto delle toghe uno scudo mascherato per combattere un sistema piuttosto che perseguire o punire i singoli responsabili. Essendo quattro magistrati al bar che volevano cambiare il mondo, tra un bicchier di vino ed un caffè, hanno dimenticato la propria mission tribunale, rincorrendo una solipsistica rabbia utopica mai andata a compimento.

 

Leggiamo oggi delle pecche democristiane, domani probabilmente su quelle forziste, ma il pool di mani pulite sta ancora comprando e consumando litri e litri di sapone.

 

Ogni sistema rodato, ben oliato, ha insito un genere di corruzione che appartiene alle elementari pratiche di conoscenza reciproca, in un sistema che possa esso essere una tribù fino ad un partito su scala nazionale o ancora oggi continentale.

 

La natura di questa corruzione agisce come per densità a fare muovere un motore popolare in un “gioco sociale” o sociologico come lo definirebbe Eric Berne.

 

Se il meccanismo funziona, difficilmente troveremo la presenza di energie belligeranti o rivoluzionarie. Ad esempio molti focolai dell’euro-zona come per i balcani, si sono accesi al palesarsi di Tangentopoli, dopo la caduta del muro berlinese e per le conseguenze di Solidarnosc in Polonia.

 

La corruzione non deve però mai essere certo intesa pertanto quale fenomeno positivo, per il giusto cammino di una nazione o una popolazione, perché infatti quando sia portata agli estremi corre il rischio di andare in crac insieme al paese o comunità di appartenenza.

 

Tangentopoli, nata da una rivalsa professionale, specie contro la buon anima di Arcore, anche per evidenti abusi dei professionisti della politica di matrice craxiana, con Martelli, De Michelis e altrettanti “pomicini” democristiani, oltre non ha fatto che ricambiare l’olio della corruzione come per un’automobile sempre in corsa e in sosta solamente per i pit stop ai box. Non a caso quando zio Silvio fu “finalmente“ assolto dalla inquisizione proprio pochi mesi fa, é andato psicologicamente e poi fisicamente in declino, non avendo più quella linfa vitale del sospetto, dell’accusa, dell’antagonismo legale che lo manteneva saldo sul piedistallo dell’immagine, del gossip malizioso, e di tutti quegli ingredienti di comunicazione che apposta egli si era creato sognando di ricoprire prima o dopo, caparbiamente, il ruolo di presidente della repubblica. Un traguardo che sarebbe sembrato a molti un abuso.

 

Il ministro Nordio tra l’altro, ultimamente gli ha tributato la chiave antiburocratica che lo avrebbe impedito.

 

 

 

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