Aldo Bianchini
SALERNO – Nell’accingermi ad analizzare l’articolo scritto da Alfonso Malangone (Ali per la Città) per questo giornale ed anche per leCroncahe.it (diretto d Tommaso D’Angelo) e per L’Ora.it (diretto da Andrea Pellegrino) devo riconoscere che Malangone è il primo osservatore che più di tutti, negli anni, si è avvicinato alla verità su quella tremenda tragedia del treno dei tifosi che portò alla morte di Ciro, Enzo, Giuseppe e Simone (elencati in ordine alfabetico per non fare preferenze né torto ad alcuno).
Naturalmente, ma in punta di piedi, ho preso anche atto che neppure Malangone, giunto ad un passo dalla verità, ha avuto il coraggio di centrare l’obiettivo e mettere a nudo le vere responsabilità preferendo aggirare l’ostacolo e riprendere il discorso, filosoficamente interessante, dalla parte diametralmente opposta.
Non me ne voglia, però, Alfonso Malangone perché dalla sua c’è tanta giustificazione, innanzitutto perché non è il soggetto preposto a farlo e poi per il tempo trascorso inutilmente; tempo in cui chi doveva intervenire non lo ha fatto (la stampa locale e le istituzioni !!) preferendo appiattirsi neri ranghi della tifoseria organizzata che era ed è il vero problema, in quanto in essa si annidano i facinorosi che condizionano l’intero ambiente e non solo della tifoseria organizzata.
Del resto la scelta di continuare a relazionarsi, nonostante la morte dei quattro ragazzi, la fece proprio il giornalista Giovanni Vitale (papà di Somone) che non capì o non volle tirare in ballo i pochi delinquenti, ben individuati dalle forze dell’ordine di allora come ora, per cercare tutti insieme di arginare lo strapotere dei predetti che arrivava ed arriva fino al punto di consentire e/o negare anche le interviste ai calciatori (cosa dell’altro mondo !!) con grave ricaduta in negativo sulle tante ed a volte inutili trasmissioni televisive del pre e post partita.
E il compianto Giovanni Vitale sapeva benissimo quanto carisma negativo avevano quei pochi personaggi, ai limiti del codice penale, sui tanti giovani che impazzivano ed impazziscono agli ordini dei capi.
Eppure Giovanni Vitale all’epoca era corrispondente della Gazzetta dello Sport ed aveva tutta l’autorità e l’autorevolezza di riunire intorno a se tutta la stampa per l’avvio della “battaglia educativa” decisiva nell’azzerare lo strapotere di quei soggetti e riportare il clima infuocato del tifo nel recinto dello sport e della sua missione educativa per tutti; Giovanni preferì altre strade e tutto è rimasto legato al passato più becero che incominciò a sfaldarsi da quella insana partita Salernitana-Potenza del 28 aprile 1963 che portò alla morte di Giuseppe Plaitano dal cui sacrificio (lui si assolutamente innocente) prese vita uno dei Club più blasonati della città, lontano mille miglia d quelle logiche sopra descritte.
Purtroppo, e mi spiace molto dirlo, i quattro ragazzi del ’99 non si sacrificarono (come sembra voler dire Malangone) ma furono semplicemente vittime di una insana cultura sportiva partorita da quei capi che, addirittura, condivisero i funerali braccio a braccio con genitori, parenti ed amici.
Non fu, quindi, una ventata di follia collettiva dei passeggeri del treno, ma più semplicemente il risultato di una pratica sportiva esasperata e strategicamente sostenuta sempre dai soliti e noti soggetti. Una pratica che porta facilmente a considerazioni del tipo che la tifoseria violenta altro non è se non la “lavatrice” di atteggiamenti mafiosi trasformati in tifo per il degrado dello sport.
Ma questo accade in tutta Italia dove, come a Salerno, si continua inopinatamente ad intitolare pezzi di stadi a capi della tifoseria almeno discutibili.