Tangentopoli (79): 13 giugno 1993, un Sant’Antonio malefico con la foto di Conte e Albano, e con Santacroce che scompare e riappare.

 

Aldo Bianchini

SALERNO – Tredici giorni dopo il clamoroso arresto dell’ex sindaco Vincenzo Giordano (e degli altri) arrivò il 13 giugno 1993, giorno tradizionalmente dedicato alla festività religiosa di Sant’Antonio; le edicole quel giorno vennero prese letteralmente d’assalto perché la prima pagina del quotidiano “Il Mattino” (sempre lui !!) pubblicò un notizia che definire fuori da ogni grazia di Dio è come dire poco. Ma ci arriviamo fra qualche rigo.

E’ necessario, per capire fino in fondo la notizia, ricordare che cos era accaduto nei giorni dal 1 al 13 giugno.

Il primo vero grosso imprenditore Gerardo Satriano varcò la soglia di Fuorni (sulla scorta essenziale delle rivelazioni fatte circa un mese prima dall’altro imprenditore Vincenzo Ritonnaro); per lui l’accusa principale di aver finanziato in maniera illecita la Infomer , società socialista editrice de “Il Giornale di Napoli”. L’imprenditore dl carcere sparò a zero sugli altri, soprattutto su Enrico Zambrotti (la mente finanziaria del PSI contiano, definito il “tarzan nella giungla” delle numerose società che gravitavano nell’orbita socialista: Infomer, Offset, Its Intesa, Tecnomez, Tecnos, Geproter, Sterri e le due banche di riferimento del PSI come la Cassa di Risparmio e la Banca di Salerno) che aveva incassato una decina di miliardi di lire dalle imprese facenti capo a Ritonnaro, Zecchina, Schiavo e lo stesso Satriano.

Il processo alla INFOMER passò subito alla stori in quanto i giudici della 3^ sezione penale del tribunale di Salerno, nel 2001, sconfessando Ettore Cambria (reggente generale dell’organizzazione giudiziaria del ministero) continuò il processo nonostante uno dei componenti il collegio giudicante (Fulvio Baldi) fosse stato trasferito alla segreteria generale del CSM.

Gli interrogatori incrociati ormai dilagano, nessuno si fida più dell’altro e le delazioni false prendono il sopravvento sulle pur tante verità; e parte l’zione di depistaggio che cerca di intrappolare l’avvocato Marco Siniscalco (già plenipotenziario contiano) come “il grande delatore”; la difesa all’ultimo sangue di Siniscalco porta alla scoperta di quanto era avvenuto poco più di un mese prima: la microspia di Santacroce per Ritonnaro.

L’avvocato socialista uscì decisamente allo scoperto e il giorno 14 giugno 1993 con un comunicato stampa ufficiale spiegò l’azione giudiziaria attuata dl giudice Domenico Santacroce.

Forse anche perché il giorno prima, in quel famoso Sant’Antonio del 1993, era accaduto un fatto davvero inusuale; il quotidiano Il Mattino diede la notizia che il 2 giugno precedente il deputato Carmelo Conte (ministro fino al 27 aprile 93) era stato fotografato ad Eboli con Antonio Albano che in quel momento rivestiva la carica di Procuratore Generale presso la Cassazione); il procuratore capo di Sala Consilina Domenico Santacroce li accusa di essersi incontrati segretamente con la moglie di Enrico Zambrotti (già in carcere da qualche mese), super inquisito dallo stesso Santacroce. Qualcuno sussurrò che oltre alla foto che ritraeva l’ex ministro con il procuratore generale c’era anche la foto dei tre che, per la stori, non fu mai esibita e neppure ritrovata. Il caso si chiuse da solo e finì nel dimenticatoio per sempre. Un fatto veramente inquietante che, se vero, poteva davvero far delirare l’immaginario collettivo della gente con le ipotesi più fantasiose, anche quella dell’accordo segreto di una parte della magistratura con la politica, decisa a smantellare ciò che faceva un’altra parte. E’ stato giusto ricordarlo per far capire che in quei momenti qualsiasi cosa venisse detta era presa come oro colato e tutti si sentivano autorizzati di gridare allo scandalo.

Il compianto procuratore Domenico Santacroce

Ma da Castelcapuano, sede della Procura Generale del Tribunale di Napoli, proprio in quelle ore, incomincia a soffiare il vento della contro tangentopoli: si starebbe indagando sulla procedura seguita per gli interrogatori. Solo alcuni anni dopo si scoprirà che i magistrati napoletani Cordova, Melillo, Laudati, Gay, Mancuso e Roberti (quello che verrà a Salerno molti anni dopo e che ora siede sugli scranni dell’europarlamento, praticamente eletto con i voti di De Luca) avevano inviato un verbale al Procuratore Nazionale Antimafia (documento del 26 ottobre 1993) per denunciare il modo con cui alcuni magistrati della Procura di Salerno avevano gestito il pentito Giuseppe Cillari (camorrista di seconda linea, analfabeta e incapace di relazioni interpersonali.

A pag n. 6 di quel documento si legge: “Si vuole qui segnalare che l’episodio dell’individualistica gestione della collaborazione del  Cillari non rappresenta una mera intemperanza formale alle direttive della S.V., ma ha in realtà un effetto devastante sulle indagini che quest’ufficio conduce sulla vicenda Cirillo (l’assessore regionale che fu rapito dalle brigate rosse su ordine di Raffaele Cutolo), sull’omicidio Casillo (il luogotenente a Roma di Cutolo) e sulle dichiarazioni di Galasso contrastanti con quelle del Cillari”.

Ma c’è ancora un’altra inquietante circostanza che segna profondamente il periodo tra l’arresto di Giordano del 31 maggio e gli imprevedibili accadimenti del 23 giugno e del 5 luglio.

D’improvviso scompare dalla scena per alcuni giorni, tra il 13 e il 18 giugno, il procuratore capo di Sala Consilina Domenico Santacroce; una scomparsa che scaraventa nel panico anche i suoi fedelissimi sostituti procuratori Vito Di Nicola, Luigi D’Alessio e Antonio Scarpa. Soltanto molto tempo dopo si saprà che in quei cinque-sei giorni era stato messo sotto scorta e blindato in una località segreta dagli uomini della DDA.

Timore reale per la sua vita o una necessaria montatura per aggravare ancora di più il clima di tensioni e di sospetti ed anche, forse, per ammorbidire i colleghi magistrati di Napoli e lo stesso Procuratore Nazionale Antimafia ?

Alla prossima.

 

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