Aldo Bianchini
SALERNO – Ormai il dado è tratto e il quadro indiziario, nell’ambito del processo per le Cooperative Sociali di Salerno, è molto chiaro e il tutto si avvia ad un lento – sonnacchioso e scontato iter giudiziario molto simile alla burocrazia che tutto travolge e seppellisce sotto una spessa coltre di polvere; nonostante le risibili intercettazioni esibite nelle ultime udienze ed assolutamente inutili per non dire ridicole, come attentamente ha scritto l’avv. Salvatore Memoli per “leCronche.it” qualche giorno fa, intervento che condivido e sottoscrivo in pieno.
Una soluzione, quella che descrivo, che ovviamente e purtroppo non porterà alla verità che non conosceremo mai; ci sarà senza dubbio una verità processuale che bisognerà accettare per rato e fermo ma che non avrà nemmeno la più pallida somiglianza con la verità reale che conoscono soltanto i colpevoli e/o gli innocenti.
Diceva spesso l’ultranovantenne ex magistrato di vaglia Lino Ceccarelli (capo dell’allora Ufficio Istruzione del Tribunale di Salerno) che di verità ce ne sono sempre almeno tre: quella giudiziaria, quella che è nel cuore di ognuno e quella che conosce soltanto l’imputato. Ma questa, obietterà qualcuno, è filosofia giudiziaria allo stato puro; è vero, ma se le cose stanno in questo modo c’è poco da sperare nel futuro della giustizia in questo Paese.
Proprio per questo, e per non cadere nella facile retorica filosofica, è necessario riproporre agli investigatori ed al tribunale alcune domande di fondo:
- “perché la cena con delitto”, svelata dall’ex magistrato Michelangelo Russo, non è ufficialmente entrata nella discussione dibattimentale o addirittura perché l’ex pm non è stato ancora chiamato a testimoniare ?
- Perché i collegi difensivi degli unici due imputati (Savastano e Zoccola) non chiedono la convocazione dell’ex magistrato sulla base del suo articolo dell’ottobre 2021 ?
Probabilmente perché si scoprirebbe davvero chi sono i “dominus” (altro che boss D’Agostino) della complessa vicenda delle coop sociali ?
Pensare, ad esempio, ad un poliziotto che per mesi spia con telecamera dalle finestre della Questura mi fa ridere perché alla fine scoprire che Vittorio Zoccola si incontrava con sindaci, assessori e consiglieri è come scoprire l’acqua calda: uno che lavora per il Comune con chi si deve incontrare, con me ? Purtroppo il livello investigativo degli inquirenti si è appiattito verso il basso man mano che ci si è allontanati da quel maggio 1993 quando “don Mimì” (il giudice Santacroce) inventò la microspia e registrò le conversazioni con l’imprenditore Vincenzo Ritonnaro; ed anche in quel caso il racconto dettagliato servì a poco; difatti gli imputati del Trincerone furono tutti assolti con formula piena e risarciti dallo Stato.
Tutte cose che non capisco come possano accadere ancora oggi; così come non capisco la tesi, sostenuta dalla difesa di Zoccola, secondo cui il boss D’Agostino non avrebbe potuto influire sulle scelte politico/imprenditoriali perché in carcere dal 2000; come se bastasse arrestare i boss per fermare il loro potere. Io avrei aggiunto una cosa importante nella domanda rivolta al collegio: “Perché quel rapporto del 2007 è stato tenuto fermo per ben 12 anni ?”.
La cosa che più mi inquieta è quella narrazione, scontata e ripetitiva, che sta facendo scivolare l’intero processo verso la descrizione di una Salerno inquinata e corrotta (come sosteneva nel ’92 il gip Mariano De Luca, ma anhe in quel caso non servì a nulla) per colpire a strascico nella speranza che qualcosa rimanga nella rete come diceva il cardinale Richelieu “datemi sei righe scritte dal più onesto degli uomini, e vi troverò una qualche cosa sufficiente a farlo impiccare”; ma quella non era e non è giustizia.