Aldo Bianchini
SALERNO – Il dr. Matteo Claudio Zarrella, già presidente del Tribunale di Lagonegro, dopo aver letto il capitolo dedicato alla giornata del 22 maggio 1993 di questa lunga storia, mi ha scritto:
- L’importanza della memoria. La cronaca che si fa storia. E la storia, secondo Hegel, è il giudizio del mondo. La storia come giudizio ha necessariamente il distacco del tempo a differenza della cronaca, immediata e impulsiva”.
Senza alcun pretesa di voler scrivere un pezzo di storia della città di Salerno, quello che sto cercando di fare con questo lungo racconto di fatti e circostanze che determinarono la cosiddetta “tangentopoli salernitana” deve servire da stimolo agli storici veri per riscrivere, con un taglio storico e non giornalistico, quelle pagine politico-giudiziarie decisive per le sorti di un’intera città, e non solo.
Da quei fatti sono passati trent’anni e la cronaca ha già dimostrato che, eccezion fatta per il processo “Fondovalle Calore Salernitano”, tutti i processi salernitani di tangentopoli si sono risolti con un nulla di fatto. In gran parte con la formula “perché il fatto non sussiste” e pochi con il dubbioso “per non aver commesso il fatto”.
Nel precedente capitolo “TANGENTOPOLI (75): 22 maggio 1993 … quando cambiò la storia di Salerno” ho rivisitato, come in un moderno video-clip-social ciò che accadde sul piano politico, e soprattutto ciò che non accadde sul piano giudiziario, nel corso della giornata di sabato 22 maggio 1993.
La mattina del 23 maggio 1993 tutto sembrava, quindi, risolto: la città aveva un nuovo sindaco (per giunta comunista), l’era Giordano era definitivamente tramontata, i socialisti erano all’angolo, i potenti Carmelo Conte e Paolo Del Mese stavano scendendo da cavallo (ma per loro i giorni più neri dovevano ancora arrivare), il mitico Gaspare Russo era latitante da qualche parte del mondo, i grandi imprenditori erano quasi tutti soddisfatti della situazione, avevano parlato provocando la sfascio del sistema e non erano andati in galera (ma anche per loro i veri giorni bui dovevano ancor arrivare), la gente comune tra l’incredulità e la soddisfazione sperava comunque in giorni migliori, e i magistrati inquirenti tutto sommato pensavano di aver fatto il loro dovere dimenticando gli eccessi che fino a quel giorno erano stati già consumati (ma il peggio doveva ancora arrivare).
Insomma la mattina del 23 maggio 1993 la serenità sembrava aver avvolto Salerno in un mantello di ipocrisia collettiva mai registrata fino a quel momento, i tanti giustizialisti aspettavano l’arresto dell’ex sindaco Vincenzo Giordano; insomma tutti avevano già mandato in archivio le pesantissime accuse intrise di tante verità, contro il sistema di potere politico del momento, scritte nell’ordinanza del 21 set. 1992 dal GIP Mariano De Luca per negare la scarcerazione dell’ing. Raffaele Galdi (scandalo Fondovalle Calore, ndr):
“””Non può dunque sottacersi che i fatti di causa costituiscono una delle non frequenti occasioni offerte alla giustizia per far luce sulla oscura e desolante realtà che sovente si annida nelle pieghe delle istituzioni troppo facilmente permeabili ad interessi personalistici ed a sfruttamenti parassitari; lo squallido sottobosco che rigoglia ai margini del sistema istituzionale è nella vicenda processuale esemplarmente rappresentato e mostra, con la forza della protervia dei fatti, come l’abbandono di ogni principio morale, il disprezzo verso i valori fondamentali della vita associata, il miope egoismo che tutto subordina al tornaconto personale siano ampiamente diffusi, sovente elevati a sistema di vita e tendenzialmente suscettibili di attentare alla stessa sopravvivenza dello stato di diritto, non meno di fenomeni delinquenziali assai più appariscenti ed eclatanti. Gli elementi probatori sin qui acquisiti, confermando puntualmente l’ipotesi accusatoria, hanno evidenziato non soltanto come protervia e scadimento morale possano indurre a ritenere fatto normale e fisiologico l’appropriazione privatistica di apparati e sistemi predisposti a tutela di interessi generali e collettivi, ma anche come ad una concezione così distorta non siano estranei professionisti stimati e di prestigio, esponenti di categorie cui certo non difettano gli strumenti per una corretta valutazione di simile forma di devianza … La prognosi comportamentale non può, dunque, che essere infausta”””.
Sembrava !!, ma non andò così nei giorni successivi; difatti i giorni tra il 22 e il 31 maggio ci furono una sequenza terrificante di clamorose azioni giudiziarie:
Matteo Cinque, questore di Salerno fino a pochi giorni prima venne trasferito d’urgenza a Napoli e lì arrestato per presunto concorso esterno con la camorra salernitana (Marrandino, Maiale e D’Andrea) e napoletana (le grandi famiglie di Secondigliano); verrà assolto nel 2001 per non aver commesso il fatto;
Elio Presutto, sull’ex manager socialista della sanità pubblica l’ombra di aver iscritto nel libro paga di una delle sue aziende addirittura Giovanni Maiale (super pregiudicato);
Guerino Amato, Antonio De Rosa e Antonio Di Donato; su di loro l’accusa di aver sottoscritto un illegale protocollo d’intesa per gestire la realizzazione dei grandi lavori pubblici (dalla Fondovalle Calore al Trincerone Ferroviario di Salerno e di Cava);
Gaspare Russo, scomparso nel nulla ma pervicacemente indicato come il grande regista delle confessioni degli imprenditori di punta contro il sistema di potere politico imperante.
Tutti arresti, o semplici illazioni, utili per quanto accadrà un mese dopo, nei primi giorni dal 1° al 5 luglio 1993; ma questo ovviamente si scoprirà soltanto molto tempo dopo.
Qualche giorno prima del 31 maggio 1993 (esattamente venerdì 28 maggio) io e il mio editore dell’epoca, Ettore Lambiase patron di TV Oggi, eravamo stati a cena insieme ad Aniello Salzano e ad un altro amico di Battipaglia. Fu una cena drammatica, Aniello mostrava tutto il suo nervosismo per una situazione che, a suo dire, era sfuggita di mano a tutti e che rischiava di far precipitare lui ed altri in una voragine senza fine. Ascoltammo in silenzio, c’era poco da dire o da fare, ormai i mandati di cattura li aspettava con ansia e con ingordigia gran parte della città, tantissimi volevano sentire il tintinnio delle manette eccellenti. Verso la fine della cena Aniello mi consegnò una lettera sigillata pregandomi di leggerla in tv (ero direttore di TV Oggi) qualora fosse accaduto l’irreparabile. Mi misi a ridere e dissi che la sua era una paura non confortata dai fatti; sapevo dentro di me che non era così in quanto le indiscrezioni che in quelle ore venivano fuori dalla Procura erano di tutt’altro segno. Conservai gelosamente la lettera. Probabilmente nelle stesse ore della suddetta cena un personaggio molto più importante di noi, Vincenzo De Luca, si recava presso l’abitazione di Vincenzo Giordano per andargli a dire che il suo arresto era imminente (forse aveva saputo da indiscrezioni che il gip aveva firmato le richieste di arresto della Procura); in quel momento storico De Luca è sindaco da pochi giorni e Giordano è il sindaco uscente dopo oltre sei anni continuati di governo. Questo è uno dei tanti aspetti misteriosi della vicenda, un aspetto dichiarato pubblicamente soltanto da Vincenzo Giordano e mai confermato da Vincenzo De Luca. In un clima torrido e torbido, e non soltanto per il caldo incipiente, si arriva al fatidico giorno del 31 maggio 1993.
31 maggio 1993. Sembrava una giornata piuttosto tranquilla, nelle redazioni si sonnecchiava e un po’ tutti pensavano che per gli arresti più volte ventilati si doveva, ormai, aspettare il mese di settembre. E’ un lunedì e i telegiornali sono pieni di sport e di notizie varie; nel pomeriggio convocai fortunatamente una riunione di redazione per fare il punto della situazione. Nel pieno della riunione, poco dopo le ore 18.00, arriva la prima indiscrezione sul presunto arresto o consegna spontanea dell’ex sindaco Salzano. Da lì in poi e fino a notte fonda non si capì più nulla. Vennero arrestati in rapida successione Vincenzo Giordano (sindaco uscente), Aniello Salzano (già sindaco di Salerno e consigliere regionale in carica), Fulvio Bonavitacola (già assessore comunale al ll.pp.), Carlo Mustacchi (docente universitario), Luigi Adriani (docente universitario) e Antonio Di Donato (imprenditore cavese), tutti gli arresti su richiesta del pm Michelangelo Russo relativamente all’inchiesta sul Trincerone Ferroviario di Salerno. Le accuse variavano dalla corruzione alla concussione ed alla turbativa d’asta. La strategia della tensione giudiziaria a quel punto era chiarissima; gli arresti dovevano susseguirsi agli arresti in modo da sfiancare gli avversari e rendere poco visibili i punti di riferimento. Solo così potevano essere esaltate al tempo stesso le poche verità vere e le tantissime di comodo.
Singolari, molto singolari le modalità messe in scena per l’arresto dei tre politici Giordano, Salzano e Bonavitacola. In seguito si apprenderà che gli arresti erano stati programmati per l’alba del 1° giugno 1993 ma il programma era saltato per colpa di Salzano:
- Aniello Salzano non aveva retto più a quel diabolico stillicidio e aveva deciso (anche per sottrarsi all’attenzione dei media) di consegnarsi spontaneamente alla giustizia. Pietro paolo Elefante (colonnello dei carabinieri) lo aspettava sulla bretella autostradale SA-AV per condurlo direttamente nel carcere di Ariano Irpino.
- E’ il tardo pomeriggio del 31 maggio 1993. Fulvio Bonavitacola viene contattato sull’utenza telefonica cellulare e raggiunto da un ispettore di polizia (Mario Porcelli) davanti al Bar Varese, trasportato prima nel commissariato di Torrione e poi a Fuorni quando è già notte fonda.
- Quella sera mentre già impazzavano le edizioni speciali dei telegiornali Vincenzo Giordano, intorno alle ore 21.00, stava giocando a carte napoletane con alcuni amici nel giardino del parco in cui abita. E’ lì che venne raggiunto dagli uomini di Sebastiano Coppola (dirigente della Polizia di Stato e capo drappello di polizia in Tribunale) e portato nel posto di polizia del Tribunale; dopo qualche ora, quando ormai l’ingresso di palazzo Vicinanza è stracolmo di giornalisti e telecamere (preventivamente avvertiti), venne fatto uscire ed esposto come un trofeo di guerra in mezzo a due poliziotti per essere trasportato nel carcere di Fuorni.
Mi posi subito una domanda sulla serietà delle motivazioni che avevano portato a quei clamorosi arresti; in pratica si trattò soltanto di una sceneggiata o di un fatto serio ed inevitabile ?; propendo, come allora, per la prima risposta: fu solo una sceneggiata anche male orchestrata. Fortunatamente non abboccai al gioco al massacro degli inquirenti e davanti al palazzo Vicinanza non ci fu nessun giornalista e nessuna telecamera di Tv Oggi.
Mancavano gli elementi principali per giustificare gli arresti; difatti se per Bonavitacola fu sufficiente una telefonata, se Salzano si consegnò spontaneamente e se Giordano già sapeva ed aspettava tranquillo giocando a carte, sembrava e sembra alquanto inutile il clamore degli arresti perché in nessuno dei tre casi ricorrevano i tre elementi essenziali: pericolo di fuga, inquinamento delle prove e reiterazione del reato. Per questa ragione, a distanza di trent’anni, si può ben affermare che quelli furono arresti gratuiti, spettacolari e speculari, utili soltanto a calare ancora di più il teorema della Procura nell’immaginario collettivo della gente.
- Un piccolo gossip: Quel giorno il tg delle ore 19,30 di Tv Oggi venne letto dalla giornalista Emanuela Anfuso; durante il tg venni contattato telefonicamente da un gancio nella polizia; passai subito, per iscritto, l’esplosiva notizia degli arresti clamorosi di Eugenio Abbro e Mario Mellini, entrambi già sindaci di Cava de’ Tirreni, in relazione agli arresti di Salerno ed in particolare all’imprenditore cavese Antonio Di Donato che qualche mese prima, insieme alla Cogefar-Impresit (gruppo Fiat) si era aggiudicato l’appalto per il trincerone di Cava. La brava Anfuso capì al volo l’importanza della notizia, interruppe subito la lettura della drammatica lettera che Aniello Salzano mi aveva consegnato qualche giorno prima, esordì dicendo: “Giunge proprio ora una notizia da Cava de’ Tirreni, sono stati arrestati pochi minuti fa gli ex sindaci Abbro e Mellini nell’ambito della maxi inchiesta salernitana sui due trinceroni. Fra poco nuovi dettagli sull’avvenimento”. Passarono pochi minuti e, mentre era ancora in corso il lungo telegiornale di quella sera, venni raggiunto da una nuova telefonata. Questa volta era la voce tonante di Abbro che con quel suo modo di fare esplose: “Direttò, ma che … state dicendo, io sono libero a casa. Alcuni amici mi hanno segnalato il vostro telegiornale. Correggete subito”. Il professore Abbro era fatto così, capiva gli errori e li superava con una semplice telefonata. Ovviamente feci subito correggere la notizia.
1° giugno 1993 – La giornata o meglio la serata del 31 maggio del ’93 fu molto lunga e particolarmente impegnativa dal punto di vista giornalistico, soprattutto sul piano organizzativo per seguire tutti gli arresti che si susseguirono in maniera impressionante. Nella redazione di TV Oggi quella serata inquietante e drammatica iniziò intorno alle ore 18.00 con la prima notizia della consegna spontanea di Aniello Salzano nelle mani del colonnello dei carabinieri Pietro Paolo Elefante e si chiuse subito dopo la mezzanotte, nelle prime ore della notte tra il 31 maggio e il 1° giugno, con l’esposizione forzata e immotivata tra telecamere, flash e taccuini, di Fulvio Bonavitacola che dal Commissariato di Polizia di Torrione in Via Roberto Santamaria, veniva tradotto in carcere a Fuorni.
La mattina successiva in città si respirava un clima strano e l’eccitazione, tanto eccitante quanto assurda ed immotivata, della catena di arresti sembrava essersi rapidamente trasformata in una fase di incredula riflessione, quasi di pentimento per aver gridato ai presunti scandali e, forse, anche intimorita dalla travolgente azione giudiziaria che aveva colpito tre personaggi politici abbastanza amati dalla gente comune.
Con questi pensieri che mi giravano per la testa arrivai, poco dopo mezzogiorno, nella redazione di Tv Oggi che dirigevo già da qualche tempo e mai e poi mai avrei pensato di trovare sulla mia scrivania una sorpresa veramente brutta e legata all’arresto dell’ex sindaco Giordano per la cui cattura, plateale e irrituale, non avevo fatto presenziare le telecamere della tv, come invece fecero altre emittenti.
La sorpresa: La mattina di martedì 1° giugno 1993 un anonimo poliziotto consegnò in redazione (TV Oggi) una busta gialla, non sigillata, contenente alcune fotografie che ritraevano il sindaco Giordano in mezzo a due poliziotti dinanzi al palazzo di giustizia (pal. scuola Vicinanza), esposto come un trofeo ai fotografi ed alle telecamere della città. Giunsi in redazione dopo mezzogiorno, come detto, e mi arrabbiai moltissimo per quel gesto insulso. Decisi di mandare in onda, nel tg delle ore 14.00, le tre fotografie e preparai per iscritto una critica feroce a quel gesto infame, nota che fu letta sempre dalla telegiornalista Emanuela Anfuso in apertura di tg. Apriti cielo, nel pomeriggio ricevetti una telefonata che definire minacciosa è poco; una telefonata che io respinsi decisamente al mittente, all’altro capo della linea c’era il commissario Sebastiano Coppola. Non mi accontentai di aver rintuzzato il tono della telefonata e la mattina successiva, mercoledì 2 giugno 1993, mi recai in Procura per manifestare il mio dissenso rispetto a quel gesto veramente vergognoso ed alla successiva inquietante telefonata. Il pm Alfredo Greco (ottimo e riflessivo magistrato, molto sensibile ed umano) che era delegato ai rapporti con la stampa apprezzò il mio gesto e, decisamente turbato, convocò nel suo ufficio, in mia presenza, l’autore di quella telefonata e gli sibilò: “Rispetto l’azione giudiziaria, ma non condivido le esagerazioni, tenga presente che Vincenzo Giordano è un galantuomo, così come Bianchini è una persona per bene”. A capo chino e con un saluto d’ordinanza il militare lasciò la stanza. Quel chiarimento non fu, purtroppo, esaustivo e per molti anni (una ventina) ho portato su di me il peso di una malcelata ostilità di quel personaggio che conoscevo da moltissimi anni in quanto anch’egli residente a Torrione ed oltretutto molto amico di mio fratello Enzo; ostilità raffreddatasi e decisamente scomparsa solo negli ultimi tempi della sua vita grazie all’intervento dell’amico Giuseppe Ientile (già dirigente del Comune di Salerno). Fortunatamente abbiamo avuto il tempo per rinsaldare i nostri rapporti e più volte gli sono stato anche utile e vicino in alcune vicende che lo riguardavano. Questo, anche questo, fu il prezzo da pagare a quell’assurdo massacro di tangentopoli.
L‘arresto
(dal libro “Salerno Socialista” di Vincenzo Giordano)
Il 31 maggio 1993 era un lunedì. Una splendida giornata di primavera. Un amico –mostrando stima e comprensione- mi aveva fatto intendere che avrei potuto aspettarmi un mandato di arresto. Io, essendo in pace con la coscienza, ero incredulo e dubitavo della veridicità della notizia. Al mattino trasmisi l’informazione che mi era stata data all’avv. Lorenzo De Bello pregandolo di effettuare qualche accertamento e mi disinteressai della questione. Partecipai ad una riunione al Partito ed essendosi fatto tardi andai a pranzo al Fusto d’Oro con alcuni compagni per continuare a discutere la vicenda politica cittadina. Nel primo pomeriggio mi recai alla Banca Popolare. Tornato a casa giocai, come era consuetudine quando avevo un po’ di tempo libero, a tressette con alcuni amici nel giardino condominiale. Intorno alle 21 mi raggiunsero degli amici. Dopo i soliti convenevoli qualcuno, non ricordo chi, esclamò: “Non possiamo tacere, siamo venuti per dire al sindaco che lo arresteranno”. Aveva appena finito di parlare che un signore in borghese entrò nel parco, mi individuò e mi invitò a seguirlo in questura. Io con l’ingenuità che mi distingue (mia moglie dice che sono fesso) non chiesi al poliziotto l’esibizione del mandato. Lo stesso, infatti, mi fu consegnato successivamente in un posto di polizia adiacente alla scuola Vicinanza dove fui condotto … Non so perché mi fecero sostare al Commissariato di polizia un paio d’ore. Alla fine, credo che eravamo vicini alla mezzanotte, due agenti indossarono un giubbotto con la scritta “polizia”, mi misero in mezzo e ci incamminammo verso un auto. Fui abbagliato dai flash dei fotografi. Mi meravigliai moltissimo fra me e me del fatto, chiedendomi come mai i giornalisti erano già informati. A sirene spiegate con una corsa a rotta di collo fui portato al carcere. Mi misero in una cella singola dove rimasi in isolamento rifiutando di mangiare, perché avevo deciso lo sciopero della fame che praticai per due settimane e mezzo. La solidarietà dei detenuti fu immediata. Quando transitavano per il corridoio e non era presente la guardia aprivano l’oblò e mi donavano una bottiglia di tè per ristorarmi. Dopo tre giorni il Giudice per le indagini preliminari, che aveva firmato l’ordinanza di custodia cautelare, mi interrogò. Per quattro o cinque ore risposi alle sue domande. Alla fine ero molto sollevato. Gli avvocati si complimentarono per la chiarezza delle risposte. Io ero convinto che il giudice non solo valuta i fatti ma percepisce se uno dice la verità o mente. Sperai quindi in una sollecita liberazione. Illusione !! Fui dimenticato in carcere per 53 giorni senza mai più essere ascoltato. Il Gip respingeva sistematicamente le richieste di scarcerazione presentate dagli avvocati. Ho raccontato questo episodio attribuendogli il valore di testimonianza e monito: testimonianza della superficialità con cui tanti “poveri cristi”, molti dei quali poi riconosciuti innocenti, vengono sbattuti in galera; monito per il potere politico e per chi ha sfruttato l’azione dei magistrati per spazzare via gli avversari. La corporazione giudiziaria, con chiare e incisive riforme, va ricondotta nel suo alveo. Chi ha paura di operare in tal senso sappia che non serve i veri interessi della democrazia e che prima o poi si troverà i giudici contro.