Aldo Bianchini
MURO LUCANO (PZ) – Quando sono venuto alla luce, nella casa del Pianello a strapiombo tra il “Sentiero delle Ripe” e “il Ponte”, il capolavoro in cemento armato (voluto dal sindaco-commissario dell’epoca ing. Luigi Pistolese) aveva 27 anni e nella sua fierezza innovativa e architettonicamente all’avanguardia mostrava la sua bellezza, se possibile anche muscolare. Nel 1945, il ponte, era ancora unico nel suo genere e si inseriva splendidamente in quel quadro di opere pubbliche eccezionali, volute da Francesco Saverio Nitti, con il primo lago artificiale d’Italia chiuso dall’imponente diga (sempre in cemento armato) e la centrale idroelettrica giù nella Valle della Via del Pascone.
Dal balcone e dalle finestre di casa si godeva uno spettacolo non solo naturale ma anche tecnico ed urbanistico di assoluta prima qualità: sulla destra il Ponte, giù il cosiddetto Ponte di Annibale, di fronte nelle ripe i mulini ad acqua e poco più su le fontane, sempre di fronte salendo leggermente con lo sguardo l’acquedotto aereo-intubato che faceva affluire l’acqua del lago in un enorme serbatoio (tubo plezometrico alto oltre 50 metri, che scaraventava in maniera forzata l’acqua verso la centrale posta notevolmente più a valle), e sulla sinistra del tubo il villaggio di San Biagio con poco più su la frazione di Capodigiano; senza dimenticare la mitica “pietra di Orlando” (già furioso !!) in alto verso le montagne; e quello che all’epoca era l’unico sentiero che dal Ponte di Annibale portava verso il lago.
Questo era lo splendido paesaggio che lasciai agli inizi di settembre del ’59 per trasferirmi a Salerno con la famiglia.
Il Ponte, ripeto, in tutto questo spettacolo era sicuramente il top; non aveva uguali e in se racchiudeva passato – presente e futuro di una comunità che nei primi decenni del ‘900 era riuscita ad imporsi all’attenzione sicuramente regionale per non dire oltre.
A Muro, difatti, c’era il Ponte, la centrale idroelettrica, il lago artificiale, ma c’erano anche il Vescovado, la Pretura, ed una delle prime banche dal territorio, senza trascurare il centralino telefonico in Piazza Don Minzoni (assoluta novità degli anni ’50),e tante altre cose.
Poi, lentamente, prima e dopo il terremoto è arrivato inesorabile il degrado; ed ogni volta che tornavo a Muro mi colpiva sicuramente di più quel Ponte ormai logoro, spento, cadente e senza quella maestosa baldanzosità dei suoi primi 27 anni.
L’anno scorso sono rimasto fermo al centro del Ponte, proprio dove è alto 105 metri, ed ho rivisto come in un docufilm le immagini felici della tenda rossa che mio padre installava giù sul greto del torrente per sparare ai colombi; ma da quella posizione ho rivissuto anche le immagini (da me mai viste) della luttuosa tragedia che nel giugno ’45 colpì la mia famiglia con la caduta del mio fratellino giù per le rocce da dove oggi parte il “sentiero delle ripe”.
E mentre perplesso riflettevo mi è tornato alla mente anche un simpatico aneddoto che da bambino sentivo raccontare dai più adulti: “Tra il 1916 e il 1918 un signore di una certa età, già muratore di professione, spesso si attardava nei pressi dell’enorme cantiere per la costruzione del Ponte. Un giorno si rivolse con tono deciso al direttore dei lavori ing. Domenico De Mascellis per fargli notare una piccola anomalia che avrebbe condizionato la stabilità del Ponte a causa di alcuni centimetri di sfalzo rispetto alle carte progettuali. Detto fatto, l’ingegnere corresse l’errore e non mancò di ringraziare l’anziano con una bicchierata generale in una delle cantine del Pianello”.
Da qualche giorno ho letto, con soddisfazione, l’ottimo articolo di Emanuela Calabrese con l’intervista al sindaco Giovanni Setaro che ha annunciato l’importante finanziamento PNRR di circa 2milioni di euro per la ristrutturazione del Ponte e per il suo definitivo rilancio verso quei gloriosi traguardi già vissuti dall’intera comunità murese.
Se il sindaco riuscirà in questa impresa non c’è dubbio che passerà alla storia, almeno per i prossimi cento anni.