da Nicola Femminella
(docente – scrittore)
La SVIMEZ, l’Associazione che ha lo scopo di promuovere lo studio delle condizioni economiche del Mezzogiorno d’Italia, al fine di proporre concreti programmi di azioni e di opere per il suo sviluppo, denuncia con toni forti e cifre alla mano il divario tra il servizio scolastico erogato dallo Stato agli studenti di ogni ordine e grado nel Sud e quello di cui fruiscono i coetanei del Nord. Il Meridione non raccoglie l’allarme, tace e dorme sonni profondi; pochi insorgono o formalizzano le giuste rivendicazioni con opportune iniziative. Le Università, gli I.R.R.E, i dirigenti scolastici, i docenti, le famiglie, le istituzioni politiche e amministrative, le associazioni neppure danno una occhiata ai dati eloquenti, reiterati da SVIMEZ, che gravano negativamente sulla formazione delle giovani generazioni, perché la scuola non sprona il campo attentivo dei soggetti menzionati. Ho sentito qualcuno dire: “Ho altro a cui pensare!” Come se la scuola non fosse il fondamento dello sviluppo socio-economico, quello che lo promuove, innalzando per esso colonne salde e affidabili, capaci di sorreggerne la crescita sicura. Le rilevazioni OCSE-Pisa dimostrano da venti anni che le nazioni con più alto indice di sviluppo socio-economico sono quelle che garantiscono un servizio scolastico eccellente e, soprattutto, corrispondente alle esigenze della contemporaneità più avanzata. Da oggi e nell’immediato avvenire, si parlerà di autonomia differenziata fino alla noia, senza prepararsi allo scontro che inevitabilmente ci sarà con le regioni ricche del nord e i suoi alfieri politici guidati da Salvini e Calderoli. Compariranno argomentazioni trite e ritrite, lamentazioni da una parte e larvate arroganze dall’altra e neppure i fondi del PNRR solleciteranno progetti utili e innovativi, sospinti dalla coesione del Paese e dall’inclusione delle comunità più deboli. Noi a denunciare rapine subite e gli Italiani del Nord ad accusare di assistenzialismo sterile coloro che chiedono più risorse finanziarie per annullare il divario tra le due parti del nostro Paese. Senza assumere il convincimento che il divario tra Nord e Sud è una questione nazionale, dell’intero Paese.
E allora citiamo alcuni dati contenuti nel video illustrazione presentato a Napoli, presso La casa di Vetro di Forcella, nell’incontro promosso da SVIMEZ e L’Altra Napoli onlus, con il titolo “Un paese, due scuole”, alla presenza di esperti delle istituzioni, della cultura, della scuola e del terzo settore. Nel documento dell’Associazione si afferma che un alunno iscritto alla scuola primaria di un istituto napoletano o in altre città e paesi del Mezzogiorno in un anno rimane a scuola mediamente 200 ore in meno rispetto ai suoi coetanei che frequentano una scuola del centro-nord. Facendo un po’ di conti, tale deficit equivale ad alcuni mesi di lezioni perse dai nostri ragazzi e trascorse probabilmente nelle strade a ricevere spesso sollecitazioni sociali svianti. Ciò è causato dalle differenze che si riscontrano nelle strutture scolastiche, dal divario nella spesa pubblica corrente che le Amministrazioni locali predispongono per il servizio scolastico e dalla mancanza di una programmazione seria, rivolta a una progettualità improcrastinabile. A riguardo degli alunni della scuola primaria sono 650 mila quelli del sud che non dispongono del servizio mensa, il 79% del totale, a fronte del 46% di quelli che nel Centro-Nord (700 mila) vedono tale servizio assicurato nel corso dell’anno. Circa 550 mila studenti dell’ordine di scuola citata (il 66% del totale) nel Meridione trascorre il tempo scolastico in una struttura priva di palestra (in Campania 170 mila ragazzi sognano l’agognata palestra- il 73% del totale!). Nel Centro-Nord, gli allievi della primaria senza palestra, invece, segnano il 54%, un dato anche questo rilevante, seppure minore. Nella scuola secondaria di secondo grado, invece, dove l’esigenza dei ragazzi di praticare lo sport si fa più forte, siamo al 57% del totale degli studenti del Meridione senza accesso ad un impianto sportivo. Una cifra superiore a quella che riguarda gli istituti superiori dislocati nelle regioni del Centro-Nord. Una conseguenza derivante da tale negatività si evidenzia nei giochi delle Olimpiadi e nei Campionati mondiali ed europei delle varie discipline sportive, quando siamo costretti a costatare che il numero maggiore di atleti partecipanti provengono dalle regioni situate nelle parti alte dello stivale, dove, fra l’altro, la pratica sportiva segna indici migliori anche per la presenza di un adeguato numero di società sportive, che da noi sovente registrano qualche segnale positivo dovuto solo alle scuole di calcio. Altre conseguenze prodotte dalla mancanza di palestre nel Sud riguardano lo stile di vita delle popolazioni giovanili, con particolare riscontro nei minori. Anche qui riportiamo alcuni dati statistici, senza dilungarci troppo, perché l’argomento è noto, anche se pochi lo approfondiscono per porre i giusti ripari. Quasi un minore su tre, nella fascia tra i 6 e i 17 anni, è in evidente sovrappeso nelle nostre regioni; in quelle del Centro-Nord le tabelle di rilevazione del fenomeno ci dicono che solo un ragazzo su cinque lo è, segnando una differenza di particolare rilievo per lo stato generale di salute dei nostri giovani. Il fenomeno non è estraneo ai dati relativi che abbiamo esposto in precedenza a riguardo delle ore in meno che i ragazzi trascorrono a scuola e alle sue strutture che non sempre assicurano la pratica e l’agonismo dell’impegno sportivo. Nel Centro Nord il 42% della popolazione adulta pratica sport regolarmente e il 26,8% in modo discontinuo. Da noi invece solo una minoranza lo pratica abitualmente (27,2%) con un 33% circa che lo fa in maniera discontinua. Anche qui si hanno conseguenze che suscitano qualche preoccupazione, avvalorando l’importanza della scuola che irradia la sua valenza formativa sulle popolazioni, anche quando queste abbandonano l’età della formazione scolastica e vivono il tempo adulto della propria vita. Le tabelle con i dati statistici dicono che le aspettative di vita variano tra il Mezzogiorno e il resto dell’Italia: tre anni in meno per gli abitanti del sud. Ma torniamo alla scuola dove la stessa musica suona con il tempo pieno: il 18% degli allievi del Sud ne usufruisce. La percentuale cresce nelle altre due parti d’Italia con un significativo 48%. Altre ore in meno per i nostri ragazzi. La sola Basilicata presenta cifre uguali a quelle più confortanti del Settentrione a testimoniare che, lavorando, si può annullare il gap che ci divide dal nord. Un significativo dato riportato nel report della SVIMEZ riguarda la spesa che lo Stato mette in campo per ciascun alunno: 6.025 euro al Sud; 6.395 nel Centro-Nord . Ma il dato più eclatante, non accettabile è quello che riguarda la sola spesa per investimento: 34,6 contro 51 euro per studente.
Un altro fattore preso in considerazione dal Documento riguarda due fenomeni che con il loro propagarsi incidono fortemente sul servizio scolastico e la sua qualità erogata. Il decremento demografico nelle regioni del sud e l’emigrazione dei giovani diplomati e laureati per cercare lavoro “in terre lontane”. Diminuiscono gli alunni e scade il servizio che lo stato eroga per il numero di scuole scomparse che aumenta annualmente, con dirigenti e docenti sottoposti a viaggi e spostamenti per raggiungere scuole e sezioni staccate o scuole accorpate.
Credo che non si debbano aggiungere ulteriori dati per far risaltare “le due scuole in un solo paese”, anche se quanto abbiamo riportato necessita di un approfondimento sulle metodologie e sui percorsi che i docenti devono assumere per elevare il livello delle loro prestazioni dal punto di vista didattico-operativo e accogliere l’invito di Antonello Giannelli, Presidente dell’Associazione Nazionale Presidi, che invita docenti e dirigenti scolastici a verificare ed approfondire l’assunto “oggi il tema fondamentale del dibattito sulla qualità della scuola è come si fa scuola”. Ma di questo parleremo prossimamente.