Aldo Bianchini
SALERNO – E’ sacrosanto ricordare per tramandare alle future generazioni fatti e misfatti della nostra storia, anche quella recente. Quasi sempre lo si fa ricordando le vittime e la SHOAH ne è un esempio molto significativo a cui è dedicata una giornata commemorativa nazionale per legge dello Stato, il 27 gennaio di ogni anno.
Molto spesso, però, ci dimentichiamo degli aguzzini dei quali sarebbe molto giusto e istruttivo ricordare le loro barbarie alle base di veri e propri genocidi.
Qualcuno quest’anno (come ha fatto Il Mattino ediz. 25 gennaio) ha ricordato la figura di un personaggio dalla crudeltà incredibile come lo fu Rudolf Hoss, un mostro al posto di un uomo.
Da bambino avrebbe voluto assecondare il desiderio dei genitori di vederlo prete, divenne però il direttore di Auschwitz che nella storia rappresenterà per sempre il campo di sterminio più efficiente e produttivo per il piano che l’altro uomo-mostro Adolf Hitler aveva imposto di progettare ai suoi luogotenenti più fedeli.
Ad Auschwitz tra il 1940 e il 1944 vennero eliminati fisicamente con l’aiuto dei forni crematori oltre un milione di prigionieri, quasi tutti di sangue ebreo.
Incline al mito dell’obbedienza Rudolf Hoss non fu né sadico e né psicopatico, fu semplicemente un omuncolo strano e mediocre burocrate che anche a processo si difese, come fecero tanti altri gerarchi, affermando di avere soltanto obbedito agli ordini dei suoi superiori.
Fu catturato dagli alleati inglesi nel 1946 e dopo una breve detenzione fu impiccato la mattina del 16 aprile 1947 nel piazzale del campo di concentramento che lui stesso aveva organizzato e diretto: Auschwitz.
Nel corso della prigionia scrisse anche degli appunti, 237 fogli avanti-retro; un’autobiografia che fu pubblicata in polacco e poi in tedesco nel 1960 col titolo “Comandante di Auschwitz”¸un documento storico straordinario e terribile al tempo stesso; le versioni successive sono state, però, ampiamente manipolate sull’onda del pensiero dei vari autori; l’edizione del 1960 rimane quella autentica e originale.
Primo Levi definì quel memoriale uno dei documenti più istruttivi mai pubblicati su quell’epoca così infausta per l’intera umanità.
Quel bambino, Rudolf, che amava la natura, gli animali e in particolar modo i cavalli, in punto di morte cercò ancora di convertire, con uno spaventoso linguaggio, lo sterminio di massa in soppressione di corpi razzialmente e biologicamente estranei.
Rudolf Hoss, una figura che andrebbe ristudiata molto più a fondo di quanto non sia già stato fatto.