Aldo Bianchini
SALERNO – Nel tardo pomeriggio di domenica 20 dicembre 1992 mi trovavo sul Corso Vittorio Emanuele, all’altezza del semaforo sotto il tribunale (che allora anche di domenica sera aveva diverse luci della Procura sempre accese) per effettuare delle interviste televisive tra la gente che era costretta a fermarsi quando il semaforo si tingeva di rosso.
Quelli erano giorni particolari che chiudevano un anno molto particolare e non soltanto perché il ’92 era stato l’anno dell’inizio di tangentopoli che da Milano stava invadendo buona parte delle Procure italiane, prima fra le tante quella di Salerno; anche grazie alle entrature che l’allora pm dr. Michelangelo Russo, vero protagonista dell’attacco giudiziario al potere politico locale, vantava presso la Procura meneghina per essere stato proprio lì a lavorare per alcuni anni.
Da aprile a dicembre di quell’anno non si era parlato d’altro che del ministro per le aree urbane on. avv. Carmelo Conte a capo del sontuoso “laboratorio politico, laico e di sinistra” che già da qualche anno (anche con il sindacato di Vincenzo Giordano) dominava la scena politica locale con precise diramazioni in campo nazionale. Non a caso e non per caso nelle elezioni amministrative del 1990 il PSI aveva raccolto il 33% dei consensi nella città capoluogo di provincia.
Per farla breve, l’obiettivo di tutte le inchieste giudiziarie avviate da Michelangelo Russo avevano un unico comune nominativo: Carmelo Conte; per strascico arrivò poco dopo anche Paolo Del Mese.
La storia ci dice che il 16 aprile 92 era stato sequestrato l’ufficio tecnico di Galdi e Amatucci, il 15 luglio il Consiglio di Stato aveva fermato i lavori della Fondovalle Calore, il 23 luglio erano scattati i primi sei arresti per la Fondovalle, il 21 settembre il gip Mariano De Luca in una sua ordinanza aveva scritto di una Salerno profondamente corrotta, il 30 settembre i pm Di Nicola e D’Alessio erano partiti per Milano per un corso accelerato di lotta alla tangentopoli, il 6 ottobre il pm Russo aveva sequestrato tutti gli atti del trincerone, l’8 ottobre era arrivato a Salerno il mitico Leoluca Orlando per annunciare il suo libro bianco contro i rapporti incestuosi tra apolitica e malaffare (libro mai pubblicato !!), il 24 ottobre c’era stato al Sea Garden lo scontro verbale tra il sindaco Giordano e il pm Alfredo Greco, il 25 ottobre l’arresto di Marco Siniscalco (consigliere comunale socialista) con Lucio Cosimato per lo scandalo edilizio, il 26 ottobre era stato arrestato (per la prima volta) il manager Elio Presutto uomo di Conte e presidente del cda dell’USL/53, il 27 ottobre il crollo di Via Mazza e primo avviso di garanzia al sindaco in carica Vincenzo Giordano, e il 20 novembre entra in ballo la capitolina Società Condotte con l’arresto del battipagliese Antonio De Rosa e il romano Pietro Raulli; il quadro era completo in quei giorni prima delle imminenti festività natalizie, e tutto lasciava prevedere il primo vero attacco al potere socialista.
Nella mattinata di quella domenica del 20 dicembre 1992 tutte le redazioni giornalistiche erano state travolte dalla notizia delle notizie: per il ministro socialista in carica Carmelo Conte era stata richiesta l’autorizzazione a procedere (alias, il primo avviso di garanzia).
Autore del provvedimento il giovane PM Enzo Di Florio che accusava il ministro del reato di “voto di scambio” per via di alcuni appalti nella sanità pubblica che secondo l’accusa erano stati pilotati dal manager Elio Presutto come da precise rivelazioni consegnate al pm dal medico ebolitano Catello Matonti (presidente di una commissione per gli appalti delle forniture dell’ospedale di Eboli) che denunciava di essere stato addirittura minacciato fisicamente.
Un’inchiesta, quella di Di Florio, che scosse profondamente il clima politico salernitano e che portò, comunque all’arresto di Angelo Conte (fratello del ministro) nella livida mattinata di venerdì 15 gennaio 1993.
E ritorniamo alla mia passeggiata su Corso Vittorio Emanuele in quella domenica sera del 20 dicembre 1992; mi colpì profondamente la dichiarazione di un giovane intervistato che evidenziava il clima giustizialista che regnava in città: “Finalmente, devono finire tutti in galera”.
Sempre la storia ci dirà che per quell’inchiesta finirono, invece, tutti assolti con formula piena; anche se i danni politici furono devastanti e incalcolabili.