da Vincenzo Mele (giornalista)
Oggi, 15 Novembre 2022, lo straordinario regista partenopeo Francesco Rosi avrebbe compiuto 100 anni.
Scomparso il 10 Gennaio 2015 e ricordato dalla figlia Carolina con il docufilm «Citizen Rosi», co-diretto con Didi Gnocchi nel 2019, Francesco Rosi è stato senza dubbio uno dei registi che ha usufruito la settima arte come arma di denuncia sociale. Egli è considerato uno dei padri del cosiddetto cinema “impegnato”, quel cinema sociale, e talvolta politico, che analizza temi e problematiche della società toccando anche le sfere alte del potere.
Rosi è stato il precursore di un cinema che ha impattato il pubblico mettendo seminando sempre il dubbio in ogni spettatore su qualsiasi tema sociale, mentre l’Italia si accingeva ad entrare nel boom economico nel periodo del secondo dopoguerra e al contempo vedeva sorgere i movimenti extra-parlamentari e altri movimenti, composti da studenti e da operai. Il cinema sociale di Francesco Rosi, ma anche di colleghi come Elio Petri, è figlio del Neorealismo di De Sica e Rossellini, ma anche del Cinema Novo brasiliano di Glauber Rocha e di Walter Lima Jr., con il tratto ribelle e insofferente nei confronti della società caratteristico della Nouvelle Vague francese di Godard e di Truffaut, e diventerà di ispirazione nel resto del mondo come Abbas Kiarostami e Ken Loach.
Dopo aver debuttato con «La sfida» e il successivo «I magliari», nel 1962 è la volta di «Salvatore Giuliano», pellicola che racconta le vicende e le cruenti gesta del celeberrimo criminale siciliano, vincitore di tre Nastri d’Argento per la Miglior regia e dell’Orso d’Argento a Berlino per la suddetta categoria. L’anno successivo arriva l’exploit con «Le mani sulle città», diventato il simbolo del cinema sociale italiano. Il personaggio spietato di Edoardo Nottola, consigliere comunale e costruttore edile, è senza dubbio l’emblema di un tema classico che in Italia riempie pagine di giornali e i notiziari radiotelevisivi: l’abusivismo edilizio, diventata ormai la “normalità”, soprattutto nell’Italia Meridionale, dalla Campania alla Calabria e alla Sicilia.
Il cinema di denuncia di Francesco Rosi è ancora oggi il migliore: se c’è un insegnamento che il regista napoletano ha voluto dare sia agli addetti ai lavori che agli spettatori è che il cinema non è solo intrattenimento, ma svolge anche un ruolo sociale; Rosi traccia un percorso di cinematografia coerente che mette in questione tutti gli aspetti del potere pubblico e privato italiano. Il suo cinema ha viaggiato tanto ma è un po’ come una cosa nostra, perché si occupa in qualche modo di noi, del nostro stato di salute collettivo.
Francesco Rosi affermava che “fare cinema significa contrarre un impegno morale con la propria coscienza e con gli spettatori”.