da Vincenzo Mele
Stourbridge è una città delle West Midlands Inglesi, storico centro di origine medievale, divenuto famoso già dai primi anni del diciassettesimo secolo per la produzione di vetro. Per quattro secoli quest’industria crebbe, superando momenti di crisi e trasformandosi da piccola produzione locale ad eccellenza riconosciuta a livello internazionale, tanto che sia l’imperatore d’Austria che i re d’Italia possedevano oggetti di design in vetro di Stourbridge.
L’acclamato chitarrista e compositore Dan Whitehouse esplora questo prezioso lascito, ripercorrendo la storia della produzione di vetro di Stourbridge nel proprio nuovo lavoro ‘Voices from the Cones’, in uscita il 21 Ottobre 2022. Caratterizzato dall’approccio sperimentale e sfaccettato tipico dell’artista, questo lavoro presenta sorprese e novità, ma soprattutto dipinge con sorprendente abilità immagini di un tempo andato e di una tradizione poco nota al di fuori della Gran Bretagna, ma di grande influenza anche nel resto del mondo.
Tracce dall’impostazione moderna, come ad esempio ‘The Hive’ e ‘Rouse Ye Women’, ricche di elettronica, anche più di quanto si potrebbe immaginare dati precedenti lavori solisti dell’autore, e brani dal taglio cantautorale e prevalentemente acustici come la title track e -The Last Apprentice’ si alternano in un continuo mutare di atmosfere, una successione di istantanee legate ad una vera eccellenza, le cui tracce sono ben visibili ancora oggi in questo centro delle Midlands. Servendosi del supporto di una line up di giovani e talentuosi artisti con background molto diversi, Whitehouse ha creato un vivido affresco delle vite e delle piccole e grandi imprese artistiche dei lavoratori del vetro di Stourbridge, arricchendo la propria narrazione grazie a stralci di interviste rilasciate dagli stessi lavoratori, a tutti gli effetti, e con pieno merito, parte dell’ensemble.
Affascinante e sorprendente, sospeso tra folk e generi più moderni, ‘Voices from the Cones’ è forse la vetta più alta della carriera di Dan Whitehouse, un disco visionario e a tratti nostalgico, ma mai smielato, un lavoro che lo lancia di diritto tra i grandi della scena internazionale.