da Antonio Cortese (docente)
C’è chi parla di dieci, chi di quindici anni. Mentre la conversione del parco automobili dalle classiche combustioni costose ed eco insostenibili ai rifornimenti elettrici sembrava aver ingranato almeno la terza marcia, ecco che il panico globale innesca freno a mano e marcia indietro. I masters del mercato minerario ad aspettare tutti questi anni non ci pensano manco se scritto nella letterina del prossimo Natale da parte dei nipotini più viziati. La verità è su questa triste dinamica: lobbies, governanti e grandi imprenditori sono persone ultrasessantenni e sono pienamente consci, dopo la pandemia, di poter comunque lasciare le penne da un momento all’altro, anche i più arzilli, che la mattina prima di dare un’occhiata alla Borsa fanno fitness con frullati shakerati come cocktails. Si svegliano ai piani alti degli skyscrapers di Mumbai, Shangai, Los Angeles, Abu Dabi oppure ormeggiano su panfili al largo delle Antille, delle isole Cayman, in Sudafrica o al Mar dei Coralli divertendosi da un atollo all’altro, da un’arcipelago ad un qualsiasi altro porto franco; quindi se ne infischiano. Attraverso determinati esponenti politici la classe degli autotrasportatori paventa di dover appendere le chiavi dei propri bestioni gommati perché di questa congiuntura economica attuale non riescono a vedere la freccia scalanata verso l’alto nel quadro programmatico. I programmi elettorali invece relegano le svolte necessarie a calende che manco Calenda tiene presente. Niente, non c’è parvenza di responsabilità concrete da assumersi, ma purtroppo neanche la presa in considerazione di un insieme di politiche e provvedimenti da attuare con coraggiosa solerzia non solamente per la questione dei trasporti e della mobiltà in questione; ciò perché la distrazione generale non sa distogliersi da un conflitto, un nuovo monarca ed il fuorigioco di Milik.