da Angelo Giubileo (avvocato-scrittore)
L’attuale legge elettorale, il cosiddetto Rosatellum bis (dal nome del suo relatore Ettore Rosato, allora rappresentante del Pd oggi di Italia viva), prevede l’elezione di una quota – pari al 61% dei componenti del futuro Parlamento (245 deputati e 122 senatori) – su base proporzionale, tra le coalizioni e le liste che abbiano superato determinate soglie di sbarramento.
Detta così, il meccanismo appare di difficile comprensione, e in effetti lo è; tanto che, anche durante questa campagna elettorale è stato piuttosto criticato anche dai partiti che il 26 ottobre 2017 l’hanno approvato imponendo il voto di fiducia in Parlamento (governo Gentiloni).
L’introduzione, così com’è oggi, di un’ingente quota proporzionale reintroduce nel dibattito politico la questione del “Centro”. Le critiche all’attuale legge derivano dal fatto che, alle precedenti elezioni politiche del 2018, il meccanismo elettorale ha generato una coalizione, cosiddetta “giallo-verde” che è durata in carica soltanto 1 anno 3 mesi e 4 giorni (governo Conte-I). Nella campagna elettorale di allora, il M5S propagandò l’idea di un “grande Centro”, maggioritario, capace di superare e sbaragliare sia la coalizione di centro-destra che di centro-sinistra. Sappiamo com’è andata a finire.
Durante questa campagna elettorale, non è mai stata posta la questione di un “grande Centro”. Tanto che, tramite un suo autorevole rappresentante, il cardinale Zuppi, la stessa Chiesa ha precisato che “non c’è nessuna possibilità di ricreare un partito cattolico”. Evidentemente memore lei, e gli elettori meno giovani, di ciò che è stato e rappresentava il partito della Democrazia cristiana, spesso definito il partito italiano del “grande Centro”.
E quindi, eccoci di nuovo a discutere del “centro”, di un centro nient’affatto “grande”, bensì un centro capace o meglio destinato a supportare l’azione politica dell’una o altra coalizione maggioritaria di “destra” o di “sinistra”. E così, in quest’ambito, arriviamo a discutere della questione dirimente, ovvero il progetto politico che sosterrebbe l’azione delle liste di partito che in questa campagna elettorale si sono definiti di “centro”.
A parte “Noi Moderati” di Lupi, Cesa, Toti e Brugnaro e “Impegno civico” di Di Maio e Tabacci, rispettivamente schierati con le coalizioni di centrodestra e centrosinistra – le proposte alternative di “centro” più significative e rappresentative sono state messe in campo da Forza Italia e, alternativamente, dalla lista formata dai partiti di Renzi e Calenda.
Per quanto riguarda la proposta politica di Forza Italia, i contenuti nazionali e internazionali sono chiari e definiti dall’adozione nel simbolo della lista della dicitura “Partito Popolare Europeo”.
Viceversa, la proposta politica della lista di Calenda e Renzi ha mostrato così tanti margini d’incertezza, diventati ancora più incerti se non addirittura evanescenti a seguito di due fatti politici occorsi in questo fine settimana.
Più nota è la vicenda relativa alle comunicazioni dell’attuale Presidente del Consiglio, Mario Draghi, il quale ha dichiarato di non essere giammai disponibile alla guida di un altro esecutivo nazionale e che “la democrazia italiana è più forte dei nemici esterni”, senza specificare quali pensa Egli che siano. In definitiva: non esiste alcuna “Agenda Draghi”, come invece hanno ripetuto ininterrottamente Renzi e Calenda nel corso della loro campagna elettorale.
Meno nota, ma direi altrettanto significativa e importante in questione, è la vicenda di ieri 17 settembre, relativa al proprio cambio di nome adottato dal partito francese del Presidente Macron, da oggi non più denominato “La Republique en march” (trad.: La Repubblica in movimento), bensì “Renaissance” (trad.: Rinascimento). Anche in questo caso, la vicenda ha avuto e avrà evidenti ricadute sul tentativo di progetto “repubblicano” di Renzi e Calenda, ai quali oltre a venir meno il sostegno nazionale di Draghi pare sia venuto meno anche il sostegno francese ed estero di Macron.
Buon voto a tutti!