SISTEMA SALERNO: la deposizione in aula di un ispettore … lo specchio dell’insipienza delle investigazioni

 

Aldo Bianchini

SALERNO – Al di là delle estemporaneità della stampa che eclata tutto e comunque, anche le palesi fregnacce, pur di comporre titoloni e vendere una copia in più o acquisire qualche nuovo telespettatore, rimane sullo sfondo delle inchieste giudiziarie il problema di sempre, e quasi irrisolvibile.

Alla base c‘è il grave difetto degli investigatori (ispettori, commissari, poliziotti, marescialli, sovrintendenti ecc.) che con la redazione di un semplice verbale/rapporto pensano di aver scritto “una sentenza definitiva”.

Per carità, ogni investigatore (come Dio comanda !!) sceglie una linea d’indagine (e ce ne sono tante) anziché un’altra; e fin qui niente di male; il guaio per i tanti investigatori di giornata nasce quando (dopo aver fatto strabuzzare gli occhi ad impenitenti pubblici ministeri che si lanciano a pesce sulle fantomatiche e spesso nebulose risultanze investigative) vengono sentiti in aula che è il luogo deputato per antonomasia alla costituzione della prova accusatoria e/o assolutoria.

Ebbene in quella sede pubblica i prodi investigatori si sciolgono come neve al sole, balbettano ed evidenziano tutta la loro incapacità di difendere e cristallizzare la linea investigativa che loro stessi hanno scelto in partenza quando, nel buio delle loro stanze, si sono semmai divertiti ad incastrare tra loro i pezzi di puzzle che alla prova del nove (l’aula dibattimentale) vanno facilmente in frantumi.

Le recenti sentenze e/o ordinanze della Cassazione (Crescent, Gambino, Bagnoli, processo Penna, ecc. ecc.) sono la più plastica delle dimostrazioni possibili; anche perché queste sentenze portano allo scoperto finanche l’approssimazione investigativa e decisionale di tanti pubblici ministeri.

Ecco spiegato il perché delle tantissime assoluzioni dopo i veleni, i sospetti, i titoli in grassetto sui giornali, le perquisizioni, le manette, le fughe di notizie e le vergognose elucubrazioni delle parti controinteressate.

La ragione di questo preambolo sta tutta nell’attenta lettura che ho fatto dell’articolo pubblicato ieri su “Il Mattino” in merito alla deposizione di un ispettore della Polizia di Stato che, dopo aver a lungo indagato, non riesce a ricordare il nome di un suo ex collega o non indica per quale partito l’onnipresente Vittorio Zoccola stesse raccogliendo tessere e fondi o organizzasse cene con il governatore De Luca (è bene ricordare che le cene nelle campagne elettorali si sprecano); come pure la deposizione dello stesso ex consigliere comunale che generò lo scandalo delle “Coop comunali” (in risposta alla demenziale querela per diffamazione ricevuta dal Comune) parla di fantasiose minacce per strada da parte di alcuni dipendenti delle Coop ma stranamente, pur conoscendo tutti, non fa né nomi e né cognomi.

Non è dato sapere se negli atti giudiziari ufficiali ci sia l’indicazione del partito politico, dell’ex funzionario della Questura e i nominativi dei presunti minacciatori; sarebbe assurdo che in mancanza la Procura abbia comunque rinviato a giudizio gli indagati.

Ne vedremo delle belle.

 

 

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