da Pietro Cusati
Con la sentenza n. 190 del 25 luglio 2022 ,la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la norma della legge di stabilità della regione Sicilia per il 2021 relativa all’erogazione di un farmaco innovativo per la cura della atrofia spinale atrofica, al di fuori delle condizioni di rimborsabilità stabilite dall’AIFA, la Corte costituzionale ha affermato che, nel caso di farmaci innovativi, “un intervento sul merito delle scelte terapeutiche in relazione alla loro appropriatezza non potrebbe nascere da valutazioni di pura discrezionalità politica dello stesso legislatore, bensì dovrebbe prevedere l’elaborazione di indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite, tramite istituzioni e organismi , di norma nazionali o sovranazionali , a ciò deputati”. La norma siciliana, nello specifico, prevedeva l’erogazione a carico del sistema sanitario nazionale del farmaco “Zolgensma”, uno dei più costosi al mondo , per una categoria di pazienti di peso superiore a quanto fissato dall’AIFA nel marzo 2021 e per i quali non sono ancora disponibili dati sulla efficacia della cura. Nel ricorso si lamentava la lesione della competenza statale a fissare i livelli essenziali delle prestazioni nonché i principi di coordinamento della finanza pubblica che impediscono alle Regioni sottoposte a piano di rientro di erogare prestazioni non essenziali. La Corte Costituzionale ha accolto il ricorso, osservando che la Regione Siciliana è ancora sottoposta a Piano di consolidamento e sviluppo,adottato per la prosecuzione del piano di rientro. La determinazione dell’AIFA «assume carattere vincolante per le Regioni in materia di coordinamento della finanza pubblica, in quanto volto a individuare i criteri di rimborsabilità dei farmaci innovativi ». La Corte Costituzionale ha richiamato i suoi precedenti per segnalare che, in caso di farmaci innovativi, la valutazione sulle scelte terapeutiche non può essere rimessa alla pura discrezionalità politica del legislatore ma
dovrebbe invece richiedere “l’elaborazione di indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite, tramite istituzioni e organismi ,di norma nazionali o sovranazionali , a ciò deputati’’. Inoltre la Consulta con la sentenza n.195, depositata il 26 luglio 2022 ,ha stabilito che lo straniero (o l’apolide) che, in conseguenza del matrimonio con un cittadino italiano, abbia maturato i requisiti legali per chiedere la cittadinanza, non può vedersi negare il relativo provvedimento a causa della morte del coniuge verificatasi nel corso del procedimento per il riconoscimento del suo diritto. La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 5 della legge 5 febbraio 1992, n. 91 “nella parte in cui non esclude, dal novero delle cause ostative al riconoscimento del diritto di cittadinanza, la morte del coniuge del richiedente, sopravvenuta in pendenza dei termini previsti per la conclusione del procedimento ”. Nella motivazione della sentenza, la Corte Costituzionale ha spiegato che è intrinsecamente irragionevole e, dunque, in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, negare la cittadinanza allo straniero (o all’apolide) sposato con un cittadino italiano ma rimasto vedovo dopo aver presentato l’istanza e prima della definizione del relativo procedimento. La morte è infatti un evento del tutto indipendente sia dalla sfera di controllo del richiedente sia dalla ragion d’essere dell’attribuzione della cittadinanza. Secondo la Consulta “la morte, pur se scioglie il vincolo matrimoniale, non fa venire meno, tuttavia, la pienezza delle tutele, privatistiche e pubblicistiche, fondate sull’aver fatto parte di una comunità familiare, basata sulla solidarietà coniugale, e dunque non può inibire la spettanza di un diritto sostenuto dai relativi presupposti costitutivi”; tale è il diritto a ottenere la cittadinanza qualora siano maturati i prescritti requisiti di durata del matrimonio: due anni, se i coniugi risiedono in Italia, tre anni se risiedono all’estero, con un dimezzamento dei termini in presenza di figli. La norma che, dopo il decorso di questo periodo di tempo e dopo la presentazione dell’istanza di cittadinanza, ne inibisce il riconoscimento a causa dello scioglimento del vincolo matrimoniale derivante, durante il procedimento amministrativo, dalla morte del coniuge, è, dunque, del tutto irragionevole e risulta totalmente estranea anche all’esigenza di evitare possibili utilizzi strumentali del matrimonio.