Aldo Bianchini
SALERNO – Quando si incastrano tra loro accadimenti che all’apparenza distano anni luce è sempre possibile l’esercizio democratico per la costruzione del puzzle che, alla fine, può dar vita alla ricostruzione in “campo largo”, almeno virtuale, della storia quando essa è riletta dopo alcuni decenni.
In uno dei precedenti capitoli di questa lunga riscrittura della storia di tangentopoli, parlando di quei famosi 152 giorni intercorsi tra il 17 febbraio 92 (nascita di tangentopoli) e il 19 luglio 92 (strage di Via D’Amelio), passando per il 23 maggio 92 (strage di Capaci), ho affermato che:
- “Possibile che tre sconvolgimenti così grandi, tanto da cambiare la storia, si siano concentrati in soli 152 giorni (dal 17 febbraio al 19 luglio 1992) senza alcuna relazione tra loro ? … Me lo sono chiesto tantissime volte e pur non avendo mai trovato una risposta pienamente esaustiva ho maturato la convinzione che tra gli eventi drammatici accaduti in quei 152 giorni dovesse esserci un nesso non solo logico ma anche sostanziale. Il quadro più esplicativo degli accadimenti di quel tempo potrebbe racchiudersi semplicemente in una contemporaneità di eventi interconnessi tra loro, ovvero che le mafie riuscirono ad inserirsi con grande abilità in quegli spazi in cui, alla caduta rovinosa della politica sotto i colpi di maglio della magistratura, si sostituiva la oro imponente forza economica e delinquenziale … Il tutto in una vera e infinita guerra tra i poteri dello Stato a tutto vantaggio delle varie organizzazioni criminali nazionali e mondiali”.
Il 19 Luglio 1992, alle 16.58, una Fiat 126, parcheggiata in via D’Amelio a Palermo, esplodeva per uccidere Paolo Borsellino, con i cinque della scorta (quattro uomini e una donna) trascinando il Paese nell’assoluto sconforto tra l’indignazione del popolo che non ci mise molto a mettere sotto lo stesso ombrello le stragi (Capaci e Vi D’Amelio) e i grandi sommovimenti politico-giudiziari provocati da tangentopoli.
In questo clima torrido, e non solo per il forte calore, fummo convocati, io ed altri giornalisti, per quella stessa ora (16,58), ma di qualche giorno dopo, presso la Procura della Repubblica per un “urgente comunicato ufficiale” (così era scritto sull’invito inviato via fax a tutte le redazioni giornalistiche, a firma dei cosiddetti “tre Di Pietro di Salerno”, Michelangelo Russo – Vito Di Nicola e Luigi D’Alessio).
Un pò tutti pensavamo che sarebbero stati comunicati i nomi degli ormai inevitabili arresti per l’inchiesta che passerà alla storia come “Fondovalle Calore”; una inchiesta che ormai tracimava da tutte le parti e che non poteva portare se non ai primi clamorosi arresti.
Nel palazzo di giustizia, apparentemente sonnacchioso in quell’ora insolita, incontrammo non i “tre Di Pietro” ma soltanto due (Di Nicola e D’Alessio) che, senza battere ciglio e senza la minima alterazione somatica, consegnarono una copia del “comunicato urgente e ufficiale” per ognuno di noi presenti; in calce le firme di quattro magistrati “Di Nicola, D’Alessio, Scarpa -di supporto- e Russo” con l’aggiunta della controfirma del Procuratore Capo Ermanno Addesso; nel comunicato erano stati elencati i sei arresti di quelle ore convulse: “Pasquale Iuzzolino – Giuseppe Parente – Pasquale Silenzio – Mario Inglese – Vittorio Zoldan e Raffaele Galdi”.
Gravissimi i capi d’imputazione: associazione per delinquere, abuso d’ufficio, concussione, corruzione, turbativa d’asta, falso ideologico e abuso di potere.
Due le cose incongrue che ebbi modo di notare e registrare in quell’afoso pomeriggio trascorso tra le mura del Palazzaccio:
- Un giornalista esclamò “Perché non c’è il nome di Galdi”; se lui già sapeva (si tradì perché non si accorse che il nome citato era stato scritto sul retro del comunicato) chi lo aveva avvertito ?
- L’assenza di Michelangelo Russo fu emblematica; perché se diamo per scontato che Russo era stato l’ispiratore di tangentopoli e soprattutto della Fondovalle Calore la sua assenza era l’inizio della rottura del pool salernitano di mani pulite come poi accadde dopo qualche mese ? E quale nesso c’era tra la sua assenza e la gaffe del giornalista che pretestava la mancanza del nome di Galdi dall’elenco degli arrestati ?
Non ci fu tempo per domande e/o richieste di spiegazioni; i due magistrati si eclissarono nei meandri dei lunghi corridoi e delle tante stanze del terzo piano dell’ex palazzo di giustizia.
Direttore,ormai neanche le “domande retoriche” creano più interesse, curiosità,INDIGNAZIONE… Ce ne son troppe senza risposte e ciò ,purtroppo,ci ha abituato a non porci più domande.
Con la stima di sempre…