scritto da Luigi Gravagnuolo il 23 Luglio 2022 per Gente e Territorio
‘Votiamo gli amici di Putin, così avremo tutto il gas che vorremo’.
Grosso modo questo sarà il refrain della campagna elettorale prossima ventura. Nessuno sottovaluti la capacità di penetrazione di questo messaggio. Esso ha la potenzialità di aggregare il mondo del rancore, di per sé distruttivo, con quello della speranza. Speranza di scampare al possibile impoverimento da crisi energetica, grazie ad un governo che sleghi l’Italia dalla sua attuale collocazione internazionale per portarla in una sfera di neutralità, cioè in una combutta di fatto con la Russia di Putin. Intorno a questo headline, cardine della campagna, ruoteranno tutte le variabili, con le loro declinazioni comunicazionali, e torneranno i temi battuti con ossessiva insistenza, sempre dalle stesse fonti social, da un decennio a questa parte. Dalla demonizzazione delle élite e delle classi dirigenti in genere, alla contrapposizione del virtuoso sovranismo alla perversa globalizzazione, dalla dittatura sanitaria al terrapiattismo, dalla NATO aggressiva verso la mite Federazione russa agli Ucraini nazisti. Tutto il seminato verrà finalmente a raccolta.
Non stiamo facendo di tutta l’erba un fascio per spirito di fazione; tutt’altro, è fin troppo evidente che queste diverse campagne di comunicazione hanno avuto un’unica regia, che continuerà ad esercitare la sua corporale governance anche nei prossimi due mesi in Italia. Non sarà facile resisterle; d’altra parte chi è riuscito a persuadere milioni di Italiani che era meglio morire che farsi un vaccino, che i camion con le salme delle vittime del Covid della primavera del 2020 erano scene di un film, che i medici e gli infermieri che mettevano la propria vita a rischio, e a volte la perdevano, per cercare di salvare i contagiati erano strumenti del nazismo sanitario, che il green pass era un mezzo per la schedatura di massa e via narrando, non avrà alcuna difficoltà a convincere il proprio target della immensa bontà di uno zar Putin, in ardimentosa lotta contro il nazismo che vuole asservire la Russia e tutta l’Europa. Lui, il buon Putin, che non desidera altro che riempire le nostre case di gas, in modo da farcene vedere bene con termosifoni e condizionatori d’aria al massimo, mentre il resto dell’Europa soffrirà il freddo d’inverno e l’afa insopportabile d’estate. E come mettere l’amato zar nelle condizioni di elargirci tanta felicità se non prendendo le distanze dalla burocratica UE, liberandoci dal dominio yankee e ritirandoci dal novero dei Paesi che hanno adottato le sanzioni nei confronti di quel nobile Paese impegnato a domare la rivolta di una sua provincia finita nelle mani dei pervertiti?
Poi ci saranno le varie declinazioni, da chi la metterà sul patriottismo del ‘prima gli Italiani’, a quelli che ‘noi stiamo senza se e senza ma con l’Occidente contro gli invasori russi, però…’, alle varie sfumature di rosso-bruno che possiamo figurarci senza doverci spremere il cervello più di tanto.
Aiuta a questo fine anche la nostra legge elettorale. Il rosatellum se non obbliga quanto meno incoraggia alleanze caotiche, tardo novecentesche, tra chi si riconosce nella storia del centro destra e chi nel centrosinistra.
Ci sarebbe lo spazio per un atto di coraggio dei riformisti democratici euro-atlantici dei due schieramenti, che li porti a tagliare gli ormeggi con il loro passato e a legarsi in una proposta politica unitaria. Non un’alleanza tra diversi, di quelli timorosi e titubanti che precisano e puntualizzano e questo e quello tra cento distinguo, ma un’adesione coriacea ad un progetto di difesa della democrazia liberale e di collocazione inequivoca dell’Italia nel campo dell’euroatlantismo. Una tale formazione potrebbe ancora giocarsela e forse spuntarla nella prossima campagna elettorale, ma non ne avranno il coraggio. Manca il leader, il Macron italiano per intenderci, che abbia la forza di aggregare ed insieme ridimensionare i vari narcisi del centrismo italiano e di comporre in un solo mese le liste, magari presentando nei collegi personalità rilevanti della società civile. Persone che si sono sudata la vita, prima sui libri di scuola e delle università, poi nel lavoro e nelle professioni.
Per quanto ci riguarda diamo per scontato che, per bene che vada, i riformisti liberal-democratici italiani oltre un’incerta alleanza tra diversi non andranno. Ma proviamo a perimetrarlo questo campo riformista: va dai moderati della Lega e di FI al PD, e forse anche a Sinistra Italiana.
Cominciamo dalla sinistra. Il PD dalla rottura con Renzi in poi ha avuto un solo orizzonte: creare le condizioni per un’alleanza col M5S al fine di arrivare al voto proponendo agli Italiani il campo largo che, se dovesse vincere, ci regalerebbe la gioia di vederci governati da una coalizione moderatamente liberale e moderatamente populista, tenuta insieme dalla sagacia di Enrico Letta premier.
La guerra ha fatto saltare il banco. Luigi Di Maio, il Renzi del M5S, ha rotto col suo passato populista – lo ha fatto con una coraggiosa autocritica, chapeau! – e si è schierato senza ambiguità nel campo euroatlantico, beccandosi le contumelie dei fedeli al grillismo. Difficile che possa presentarsi al voto in colazione con chi gliene ha appena dette di tutti i colori.
Né i superstiti del M5S reggono più un’alleanza con un partito ‘responsabile’ qual è il PD. Peraltro, il loro gruppo dirigente non se la passa tanto bene all’interno del fu MoVimento. La convinzione unanime della base è che si sapeva già dall’inizio che l’alleanza col PD e l’assunzione di responsabilità di governo li avrebbe distrutti elettoralmente e che i parlamentari ancora nei gruppi 5S, tutti o quasi tutti, siano corresponsabili degli errori commessi. A cominciare da Giuseppe Conte, visto come un corpo estraneo al MoVimento, tirato fuori dal cappello di Di Maio per assumere la guida del primo governo giallo, quello giallo-verde. Facile che la guida della campagna elettorale passerà nelle mani di Di Battista e della Raggi, magari con una previa ricucitura con Paragone e la sua Italexit. Qualcuno chieda al fine disegnatore di strategie Goffredo Bettini se il PD può sostenere una campagna elettorale con questi compagni di viaggio; ed a Travaglio, se per parte sua il MoVimento può trarre profitto ad affrontare la campagna elettorale in coalizione col PD.
Partito quest’ultimo che, ad adiuvandum, subirà anche le critiche della sinistra storica, per la quale tutto il male sta nell’aver abbandonato la bandiera del proletariato. Daje e ridaje, questo lavoro al suo fianco qualcosa toglierà al PD nelle urne. Avranno il coraggio a Via del Nazareno di tagliare definitivamente il cordone ombelicale con la sinistra e di dichiararsi una volta e per sempre un partito centrista? Difficile a due mesi dal voto.
A destra non se la passano molto meglio. Forza Italia, trascinata dal suo fondatore nell’ennesimo abbraccio con la destra estrema, è già implosa. Ciò che ne resta dovrà elemosinare a Salvini e Meloni qualche collegio sicuro per alcuni dei suoi dirigenti, confidando nell’intercessione di Berlusconi. Stop, la storia di Forza Italia è finita il 20 luglio ’22 a Palazzo Madama. I cespuglietti centristi dei vari Lupi, Cesa e via narrando hanno il comune destino di andarsene raminghi ad offrirsi come ministri al futuro governo sovranista, nel nobile ruolo di foglie di fico presso le cancellerie euroccidentali.
Restano i due contendenti alla leadership, Meloni e Salvini. Nella griglia di partenza la prima è in pole position, per favori dei sondaggi e per aver assunto da subito una posizione atlantista chiara contro l’invasione russa dell’Ucraina. Tutto sommato l’Italia è ancora collocata nell’UE e nel campo atlantista, è perciò del tutto evidente che un governo da lei guidato potrebbe essere meglio accetto a Washington ed a Bruxelles rispetto ad uno guidato da un casinista come Salvini, notoriamente ricattabile da Puti di cui non ha disdegnato i ‘favori’.
E qui casca l’asino, il futuro governo Meloni rischia di essere guardato con sospetto sia dai Russi che dagli Euroatlantici. Chi la tirerà da una parte, chi dall’altra e lei, per quanto indiscutibilmente brava, sarà costretta a barcamenarsi con i soliti ‘stiamo di qui, ma consideriamo anche che …’
Purtroppo, però, in tempi di guerra non è semplice fare gli equilibristi, la storia d’Italia così ricca di esperienze al riguardo, dovrebbe averci pure insegnato qualcosa.