Aldo Bianchini
SALERNO – Non è colpa soltanto della magistratura se i lavori pubblici subiscono disagi giganteschi dall’azione che i magistrati mettono in campo per le loro inchieste a tutela della legalità; anzi potrebbe non essere mai colpa della magistratura e dell’intero corpo investigativo (fatto di donne e uomini) qualora l’intero sistema giudiziario riuscisse a garantire la sopravvivenza e la continuazione dei lavori ben al di là delle responsabilità penali che sono e restano personali e, quindi, non riconducibili sulla necessità di completare gli stessi lavori.
Ma così non è, e non è mai stato, e la situazione degenera non appena entra in gioco la magistratura (ed anche se lo fa, spesso, per colpire indiscriminatamente a destra e qualche volta anche a sinistra) ecco che la politica intimorita scompare dalla scena, le imprese abbandonano i lavori e nessuno riesce a risollevarli dalla loro fine, anche perché molto spesso i sequestri giudiziari durano un’eternità.
E così arrivano i disastri; negli ultimi mesi si fa un gran parlare in città della situazione del verde pubblico e dei rifiuti: è stato sufficiente che la magistratura mettesse a nudo le distorsioni, pur esistenti, delle cooperative sociali per buttare nel panico i soggetti responsabilmente interessati e per mandare all’aria i tanti contratti-convenzioni e, infine, per ingigantire il grave problema che ora è sotto gli occhi di tutti.
Ho seguito in queste ultime settimane la polemica scatenata dall’ex magistrato Michelangelo Russo in merito alle presunte responsabilità di qualcuno per il degrado in cui versa la città; ovviamente ha attaccato anche l’assessore Claudio Tringali (reo secondo lui di aver preso il suo posto come capo dell’opposizione dopo aver strigliato comune e prefettura sui rifiuti) ha esposto molto bene le sue ragioni seppure aggressive, ma ha dimenticato come al solito di riferire che in questa annosa storia dei rifiuti non è mancato il suo pesante zampino.
Agli inizi del 1993 in Consiglio e in Giunta Comunale, relatore l’allora vice sindaco e assessore ai lavori pubblici Vincenzo De Luca, dopo qualche anno di gestazione viene presentato il mega progetto per la realizzazione di un inceneritore; peccato che quel progetto portava la firma del mitico ingegnere Raffaele Galdi (ed anche dell’ing. Luigi D’Antonio) ed era stato pienamente sostenuto dallo stesso sindaco Vincenzo Giordano e votato all’unanimità dalla giunta comunale (Giordano, De Luca, Caggiano, Vertullo, Rapuano, Parlavecchia, Bianco, Beluto, Avella e i tre esterni Cerino, Pecoraro (che subito dopo si dimise) e Spirito.
Intervenne il pm Michelangelo Russo che sequestrò tutto e determinò il rinvio a giudizio del sindaco Vincenzo Giordano, dell’ing. Raffaele Galdi e di Fulvio Bonavitacola (che era stato assessore ai lavori pubblici nel 1988, quando cioè, secondo la cervellotica accusa, si era consumato tra i tre un patto diabolico di tangenti). Nel processo si discusse molto anche del fatto che la copertina del progetto evidenziava chiaramente una manipolazione, nel senso che ai due progettisti originali erano stati aggiunti anche gli ingg. Donato Sansone e Francesco Barra, e l’arch. Armando Giordano, come conclusione del patto corruttivo finalizzato alla gestione dei 20miliardi di lire che erano già stati stanziati dal Ministero delle Aree Urbane (ministro Carmelo Conte); finanziamenti che nel tempo sono andati persi come accade sempre quando entra in gioco la magistratura.
E l’inceneritore non è stato mai costruito; sebbene lo stesso De Luca abbia ritentato nel 2005/2008 di realizzarlo; ma questa è altra storia.
Fu persa, nel 1993, una grande occasione; non certo e non soltanto per colpa di Michelangelo Russo ma anche per il fatto che se le indagini fossero state svolte con un po’ più di serenità e attenzione non si sarebbe arrivati neppure al processo, l’inceneritore sarebbe stato realizzato e Salerno non vivrebbe, oggi, le enormi difficoltà che sono sotto gli occhi di tutti.
E quel processo ? tutti assolti con formula piena, questo il risultato di quelle devastanti indagini che la stampa non mancò di eclatare con i soliti apodittici strilloni.