scritto da Luigi Gravagnuolo
21/06/2022
Non è vero che tutte le guerre sono ingiuste. Tutte sono spietate, crudeli, atroci, ma alcune sono inevitabili ed anche giuste. Come lo fu il secolo scorso quella degli alleati e dei partigiani contro i nazi-fascimi. E come lo fu la battaglia che duemilacinquecento anni fa salvò il mondo libero.
Ve la racconto, nella speranza che abbiate la pazienza di leggerla.
550 a.C., Ciro il Grande, ribellatosi al dominio dei Medi, li sconfigge, li defenestra e fonda l’Impero persiano. Sarà l’impero più vasto e potente che il mondo avesse conosciuto fino ad allora, ricco di uomini e di materie prime fondamentali per l’epoca, quali il grano, l’orzo, il ferro e il rame tra le altre. Sarà anche sede di una grande cultura, con astronomi, geografi, matematici, filosofi, religiosi. Vi si osserverà il culto di Zoroastro.
Ciro ambiva a conquistare tutta l’Asia Minore, nel cui versante sud-occidentale vivevano i Lidi e le piccole comunità dei Greci insediatevisi da un paio di secoli. E costoro, i Lidi e i Greci, non avevano alcuna intenzione di sottomettersi.
Nel 546 Creso di Lidia ruppe per primo gli indugi ed attaccò l’Impero, ma fu sconfitto. I Persiani di Ciro conquistarono così la Lidia e si spinsero fino alla Ionia, dove resistevano ancora Mileto ed altre poleis, che si avvalevano dell’aiuto dei connazionali greci.
Ad Atene governava il tiranno Pisistrato, tentennante nei confronti dei minacciosi Persiani, i quali, se il suo appoggio ai Milesi non fosse cessato, sarebbero stati pronti ad invadere ed a distruggere Atene. Comunque a punirlo.
Tra il 530 ed il 528 muoiono sia Ciro il Grande che Pisistrato – il primo in battaglia – e si aprono le lotte di successione interne ai rispettivi Paesi. La spunteranno alla fine Dario in Persia e Ippia, figlio di Pisistrato, ad Atene, mentre nella vicina Sparta diventava re Cleomene, fiero avversario dei Persiani e che, anche per questo, diffidava profondamente di Ippia, da lui ritenuto un fantoccio di Dario. La pressione di Cleomene costrinse infine Ippia a lasciare Atene, dove in un primo momento si insediò un governo aristocratico sul modello spartano.
L’anno decisivo è il 508 a.C., quando gli Ateniesi abbattonno il governo aristocratico e danno vita alla prima ‘democrazia occidentale’ della storia del mondo. Invero possiamo anche togliere l’aggettivo, quella fu la prima ‘democrazia’ della storia del mondo tout court.
Il suo ordinamento fu definito da Clistene con la sua Riforma della Costituzione di Solone del 594 a.C. La democrazia ateniese sucitò nelle altre poleis greche una duplice reazione, di interesse popolare per un verso e di preoccupazione nei circoli del potere, a cominciare da quelli di Sparta e di Tebe. Si aprì così una fase di scontri interni al mondo greco, di cui cercarono di approfittare i Persiani che attaccarono Mileto, ma la città ionica, aiutata da Atene, li respinse e passò al contrattacco, saccheggiando Sardi, già capitale della Lidia ed ora annessa all’Impero. Contestualmente i Milesi si diedero un assetto democratico sul modello della costituzione di Clistene. Durò poco, la rivolta ionica alla fine fu sopraffatta dalle soverchianti forze persiane e la stessa Mileto fu saccheggiata (494 a.C.).
È qui utile fare cenno delle modalità di governo delle terre conquistate da parte dei Persiani. Questi, man mano che conquistavano nuovi territori, vi insediavano governanti loro fantocci, pur se spesso autoctoni, mentre i militi superstiti delle battaglie e parte delle popolazioni venivano deportati. I maschi schiavizzati e costretti a lavori forzati o a combattere nelle file persiane; le donne, da schiave, costrette ad accoppiarsi con i Persiani delle terre in cui venivano trasferite; i bambini orfani venivano affidati a famiglie del luogo della deportazione che li avrebbero educati a dimenticare loro le proprie origini e a conformarsi ai costumi orientali.
A questo punto, soggiogata l’intera Asia Minore, Dario si sentì pronto a tentare la soluzione finale della questione greca. Per parte loro, Atene, Sparta, Tebe e le altre poleis annusarono il pericolo, misero da parte le loro divergenze si organizzarono per difendere la propria indipendenza.
Il tempo era decisivo ed i Persiani non intendevano indugiare; volevano chiudere la pratica prima che la coalizione delle poleis potesse coordinarsi. Dopo un primo tentativo di invasione dell’Attica dal mare e da terra, attraverso la Macedonia e fallito nel 492 a.C., siamo finalmente al 490 a.C., quando Dario invia la sua imponente armata, guidata dai generali Dati ed Artaferne, ad invadere l’Attica. Sulle prime il successo arrise agli invasori, che conquistarono e saccheggiarono Eretria, base eccellente per attaccare le terre di Atene. Di lì mossero la flotta verso la spiaggia di Maratona. Sarà la battaglia che salverà la libertà dei Greci e la civiltà dell’Occidente.
La baia di Maratona dista circa 42 km da Atene ed è una piana estesa, ma non molto profonda tra il mare e la collina boscosa. I Persiani, forti di un numero soverchiante di uomini, cavalli ed armi non potevano temere dagli Ateniesi. La sproporzione delle forze era tale che mai si sarebbero aspettati di essere affrontati in campo aperto. Sbarcarono con calma e misero campo nella baia ancorando le navi in rada. Avevano intenzione di marciare poi via terra verso Atene.
Gli Ateniesi, guidati da Milziade, si erano appostati tra gli alberi della collina a difesa delle due strade che congiungevano Maratona ad Atene. Le due formazioni belligeranti si guardarono per qualche giorno senza affrontarsi. I Persiani tentennavano ad ingaggiare battaglia da valle contro i Greci accampatisi in alto e questi aspettavano notizie da Filippide.
Costui, messo di Atene, era stato inviato a Sparta per chiedere che entrasse in guerra ed inviasse rinforzi nell’Attica. Milziade aspettava che fosse rientrato per prendere le sue decisioni; intanto gli bastava tenere bloccati gli invasori a Maratona. Il messo di Atene a Sparta trovò titubanza, la forte città della Laconia prese tempo con la scusa della luna non propizia; ma, sulla via del ritorno, Filippide ebbe una visione, gli apparve il dio Pan che gli garantì che sarebbe intervenuto in favore di Atene. E finalmente il veloce messaggero raggiunse l’accampamento di Milziade, al quale diede la brutta notizia delle riluttanza di Sparta ad inviare inviare propri militi a suo supporto.
Per parte loro Dati ed Artaferne, i condottieri dell’Armata d’Oriente, saputo che Atene era stata di fatto sguarnita di tutti i suoi uomini in età d’armi, inviati e radunati a Maratona, decisero di lasciare nella baia un cospicuo presidio atto a tenere a bada gli opliti greci, di re-imbarcare la gran parte dei cavalli e dell’esercito e di fare rotta verso Atene. La navigazione – i Greci ne erano esperti – avrebbe richiesto non meno di dodici ore, mentre via terra la distanza poteva essere coperta nella metà del tempo.
Qui scattò l’intuizione di Milziade. Quando vide le imbarcazioni persiane allontanarsi dalla baia, ordinò ai suoi di scendere a valle e di attaccare lo schieramento degli invasori restati a terra, che comunque in numero doppio rispetto ai suoi diecimila opliti.
Per non farla lunga: grazie a corazze e scudi di bronzo, più resistenti di quelle in vimini intrecciati dei Persiani, ed alla velocità di movimento, gli Ateniesi sconfissero l’Armata dell’Impero, che lasciò sul campo oltre seimila morti. La battagia era durata due ore, un altro paio di ore i Greci le dedicarono a seppellire i propri morti, non più di duecento, niente rispetto ai caduti invasori. Ora restavano otto ore per tentare di raggiungere Atene prima che vi fossero arrivate le navi dell’Armata.
Filippide fu mandato ad avvertire la città della vittoria. Pur esausto, percorse i 42,195 km in quattro ore, avvertì i suoi concittadini e stremò a terra. Tuttora la competizione olimpica detta ‘maratona’ si corre su 42,195 km.
Milziade ed i suoi impiegarono sei ore ed arrivarono alla baia del Falero, il punto di sbarco più vicino ad Atene, due ore prima della flotta persiana.
Quando le navi persiane giunsero a vista della baia vi trovarono, schierati, i diecimila opliti di Milziade. Furono presi da timor pan-ico, virarono e indirizzarono le prue verso l’Asia Minore. Atene fu salva.
Non finì lì, lo scontro tra Grecia e Persia – e quello tra le democrazie occidentali e le autocrazie orientali – continuò con alterne vicende a lungo. Tuttora si combatte nel Donbass.
Come sarebbe andata se l’Armata degli autocrati imperiali avesse conquistato Atene? Chissà, forse la Grecia e il Mediterraneo sarebbero stati impregnati di religiosità e di cultura orientali; ad Atene, capoluogo della satrapia persiana di Grecia, sarebbe stata edificata una reggia imperiale che avrebbe rivaleggiato in maestosità con quella di Persepoli; vi sarebbero sorti imponenti templi dedicati ad Ahura Madza e vi avrebbe governato una raffinata ed insieme corrotta casta burocratica. Non lo sapremo mai.
Quello che invece sappiamo con certezza è che Socrate non avrebbe liberamente testimoniato l’etica e la libertà ai giovani ateniesi; non avrebbero visto la luce il Gymasium, l’Accademia ed il Liceo e non vi avrebbero insegnato Platone ed Aristotele; nessuno avrebbe edificato il Partenone, l’Eritteo, i Propilei, il Teatro di Dioniso, l’Odeon; non si sarebbero messe in scena le tragedie di Eschilo, Sofocle ed Euripide e le commedie di Aristofane e Menadro; non avremmo avuto la grande geostoria di Erodoto e la storiografia analitica di Tucidide; e che dire dell’arte classica di Mirone, Fidia, Policleto, Prassitele, Lisippo. Una civiltà meravigliosa sarebbe stata soffocata nella culla.
E Pericle, trent’anni dopo, comemorando i giovani ateniesi morti per la libertà, non avrebbe profferito nell’agorà la più celebre, appassionata, emozionante apologia della democrazia della storia del mondo libero:<<Qui ad Atene noi facciamo così.
Il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia. Qui ad Atene noi facciamo così.
Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza. Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato; non come un atto di privilegio, ma come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento. Qui ad Atene noi facciamo così.
La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo. Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo. Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private. Qui ad Atene noi facciamo così.
Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa. E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso. Qui ad Atene noi facciamo così.
Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benché in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla. Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia. Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, e la libertà a sua volta sia solo il frutto del valore.
Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versalità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero. Qui ad Atene noi facciamo così>>.