da Alfonso Malangone
(coordinatore Ali per la Città)
SALERNO – Chi dice che Salerno ha poco da mostrare, non conosce la Città. Ovvero, ipotesi pur denegata, è probabilmente un grande ipocrita, intento a svilirne la storia per finalità inconfessabili e, forse, anche contrarie al vero bene della Comunità. Se le dimensioni demografiche ed economiche raggiunte nei secoli, certamente al di sotto di altri luoghi, hanno posto un limite al fiorire delle attività e allo sviluppo urbano, non sembra sia davvero possibile sostenere impunemente che i nostri predecessori non ci abbiano trasmesso uno scrigno di ricchezze che la ricerca esasperata di una effimera modernità, abbinata a buone dosi di indifferenza, stanno disperdendo a beneficio di interessi potenzialmente devianti. Eppure, il ‘recupero’ della storia dovrebbe essere una scelta ‘ordinaria’ per ogni luogo ‘edificato’ dalla storia. Ma, la nostra è una Città ‘straordinaria’, tanto interessata a Montecarlo e Dubai quanto disinteressata a conoscere la sua identità millenaria.
Con delibera di Giunta n. 1273 del 27/11/09, la somma di € 14,2milioni, parte del maggiore importo di € 48,4milioni del progetto P.I.U. Europa, venne distratta dal recupero dei cosiddetti ‘Edifici Mondo’, cioè delle ex-carceri maschile e femminile, e ‘girata’ sulla costruenda piazza a mare (fonte: atti Comune). Successivamente, una finestra di speranza venne aperta dalla proposta dell’arch. PicaCiamarra che, nel disegnare la nuova Porta di ingresso da Ovest alla Città, integrava quegli edifici nel tessuto della vita quotidiana con scale mobili e due stazioni della metropolitana. Benché selezionato, deliberato e finanziato, il progetto venne inopinatamente sostituito da ‘una autostrada per il porto’ (fonte: PicaCiamarra) in galleria, con lo stravolgimento anche della collina di San Leo, su cui nulla si dice. In ogni caso, la punta massima del disprezzo nei confronti della nostra storia venne raggiunta con delibera di Giunta n. 749 del 09/09/11 che dispose la vendita della Reggia dei Longobardi, Palazzo San Massimo, prima per € 9,2milioni (perizia tecnica del 20/10/11), e, poi, addirittura per € 4,2 milioni (fonte: atti Comune). Mille anni di storia neanche a prezzo di realizzo. E, non è finita qui.
Con recente delibera di Giunta n. 9 del 14/01/20, la somma di € 3.203.414,79, parte di € 19,9milioni di fondi PICS, destinata al recupero della Chiesa di Santa Maria de Alimundo, della Casa del Combattente, di Palazzo Genovese e della palazzina ex MCM di Fratte, è stata girata sul Parco del Mercatello. Da ricostruire, benché affidato da decenni alle cure di esperti giardinieri.
Non stupisce, così, lo stato di degrado, di abbandono, di incuria, imperante nell’area, come non meraviglia l’assenza di manutenzione della pavimentazione stradale, dell’arredo, del verde. Se, però, le cose ‘evidenti, sono in questo stato deprimente, ancor più grave è la condizione dei piccoli elementi architettonici, veramente del tutto ignorati, che si incontrano lungo i vicoli e gli slarghi del nucleo cittadino. Sono i cosiddetti “Mascheroni”, elementi utilizzati fin dalle epoche antiche per finalità decorative e strutturali, e le ‘Edicole votive’, tempietti religiosi aventi anche la pratica funzione di illuminare le vie nelle notti dei secoli passati.
Nel pomeriggio di Martedì 14, l’arch. Daniele Magliano e l’associazione ‘Contaminazioni’ hanno guidato un gruppo di cittadini alla (ri)scoperta di questi gioielli della Città. Partendo dal luogo nel quale proprio i ‘Mascheroni’ sono divenuti monili da indossare grazie al talento e alla capacità artistica della nostra gente.
Presenti pure sul fronte o sugli angoli di edifici d’inizio secolo al di fuori del centro storico, come Palazzo Santoro, purtroppo intrappolato da oltre 15 anni, i ‘Mascheroni’ venivano realizzati riproducendo figure grottesche, talora anche inquietanti, per abbellire o sorreggere frontoni e angoli ma anche per ‘spaventare’ gli estranei e allontanare gli ‘spiriti maligni’. Nel Vicolo di Santa Trofimena alle Fornelle, all’angolo nord-ovest di Palazzo Pedace, spicca l’immagine di un caprone, con labbra pronunciate e due piccole corna sulla fronte. Nel Vicolo delle Galesse, dove si costruivano i calessi, due simili figure abbelliscono i cantonali di un edificio. La Fontana di Largo Sedile del Campo presenta due volti addobbati con ghirlande che, contenendo i bocchettoni dell’acqua, sembrano raffigurare delle divinità fluviali. Sul portone del palazzo di fronte, la pietra di volta presenta uno spaventoso viso umano con occhi sbarrati che sembrano minacciare chi volesse entrare. I ‘Mascheroni’ sono dappertutto: nel Giardino della Minerva, in via Trotula, in via Tasso. C’è anche quello di fronte al Duomo, manchevole della bocca e del mento, sul quale un ‘cultore della cultura’ ha fatto passare addirittura i fili della corrente. Per vedere, basta solo alzare gli occhi. Per chi ha occhi per vedere.
Non migliori sono le condizioni delle tante ‘Edicole votive’, alcune in sfacelo, con immagini sacre scolorite o addirittura scomparse. Nella zona storica, tra Via Mercanti, Via Masuccio, Vicolo delle Galesse, Vicolo Guaiferio, se ne contano almeno cinquanta, la maggior parte in generale degrado. Sono in migliori condizioni almeno quella all’interno di via Portanova, con immagini su base ceramica, e il tempietto posto sul lato sinistro al di fuori dell’ingresso, protetto da una struttura di metallo e vetro in stato di grande indecenza. Alla base dell’altarino, benché dentro la ‘gabbia difensiva’, la vegetazione cresce tanto più ‘rigogliosa’ quanto più deve essere ‘appassito’ lo spirito di chi dovrebbe tutelare il decoro e la dignità della Città. Altre ‘Edicole’ sopravvivono, qua e là, come sopravvive il dipinto posto al di sotto dell’arco della dimora di Arechi II, in Via da Procida, che avrebbe davvero bisogno di essere restaurato a gloria della nostra gente.
Salerno non ha poco da mostrare. Salerno ha colpevolmente dimenticato la sua storia seguendo il miraggio di un futuro da luna-park. Il recupero di testimonianze fondamentali della nostra cultura, da mettere in risalto con illuminazioni ‘d’accento’, come suggerito dall’arch. Magliano, ci consentirebbe di offrire ai visitatori le ‘Luci dei nostri artisti’ lungo itinerari organizzati per esprimere l’essenza della Città attraverso le luci, non per mostrare luminarie da campeggio in una Città buia e senza anima.
Alfonso Malangone – Ali per la Città – 18/06/2022