da Nicola Femminella
Leggo sull’Espresso (N° 21 del 29-5-2022) l’articolo “Capire quel che si legge e non lavorare gratis” a firma del direttore Lirio Abbate, che scrive: “per quale motivo molti studenti italiani hanno difficoltà nella comprensione di un testo? Chi ha la responsabilità di questa tendenza preoccupante che riguarda ormai il 40% degli allievi? Tra gli addetti ai lavori, in particolare tra gli insegnanti, c’è la convinzione che le “colpe” siano esterne alla scuola: il dato emerge dai conteggi automatici di una ricerca svolta in rete nei giorni scorsi da “La Tecnica della scuola” alla quale hanno partecipato circa millequattrocento persone, prevalentemente docenti, a seguire i genitori, dal quale risulta sotto accusa l’operato degli ultimi governi del ministero dell’istruzione e della politica in generale. Le istituzioni responsabili della scuola sarebbero colpevoli soprattutto delle pessime riforme, secondo quanto espresso dai lettori, introdotte più per tagliare fondi che migliorare la didattica” Qui il direttore chiude l’argomento e parla dell’alternanza scuola lavoro, altro argomento spinoso esploso per la morte di due studenti coinvolti in tale questione.
Abbate richiama un argomento di somma importanza relativo all’istituzione scolastica e al servizio che eroga alla propria utenza, ma averlo solo enunciato è esercizio inutile. Richiede a corredo alcuni dettagli, perché se ne colga la portata e la possibile soluzione. Ne ho parlato in un articolo su questa testata nei mesi scorsi ma vale la pena riprenderlo. Dall’anno 2000 l’OCSE-Pisa esegue, con scadenza triennale, rilevazioni sui livelli di competenze nella lettura, matematica e scienze, posseduti dagli studenti quindicenni di una settantina di paesi sparsi nei continenti. I risultati sono attesi dagli studiosi del problema, perché sono sommamente attendibili e rivelatori dello stato di salute della scuola nei Paesi interessati (quelli del 2021 sono stati spostati al 2022 per il Covid). È nota la posizione di netta retroguardia dell’Italia nella classifica generale, con la Campania all’ultimo posto nel nostro Paese – un’onta che ci procura non poco imbarazzo a livello internazionale. Il che accade da 20 anni, nonostante i fondi speciali forniti dall’UE a quattro regioni del sud Italia, quelle maggiormente contaminate dal deficit nella lettura, e utilizzati per i corsi PON, che avrebbero dovuto sollevarle dalla scomoda posizione. La Questione Meridionale è fatta anche di queste congiunture.
Cosa bisogna fare per uscire da una condizione che, oltre a scalfire la nostra immagine al cospetto delle nazioni più evolute, causa un grave handicap per i ragazzi, chiamati a competere con i coetanei nell’arena della globalizzazione? Evidentemente non basta il richiamo di Abbate e quelli di tantissimi altri che vagano nell’etere, relativi alla gravità del problema, senza che questo venga approfondito per ricevere le risposte di cui necessita. E la solita denuncia senza alcuna reazione per estirpare il male. Nello stesso numero del giornale citato a pag. 17 c’è l’intervento di Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione Nazionale Presidi che cita tre punti, secondo lui “fattori essenziali da cui partire per promuovere un cambiamento (della scuola): attività di aggiornamento massivo, capillare e continuo di tutti i docenti; attribuzione ai dirigenti scolastici di effettivi poteri di gestione della scuola per metterla in condizione di incidere concretamente sulla qualità dell’offerta formativa di cui sono garanti e che deve essere adeguata al territorio nel quale si trovano ad operare; attribuzione alla scuola di poteri assunzionali perché solo i dirigenti e i docenti che sono in prima linea possono valutare le competenze che un insegnante deve possedere per contribuire efficacemente alla crescita di alunni e studenti.” Non sono esperto della materia contenuta nel terzo punto. Mi limiterò a dire la mia sul primo per il quale credo di possedere qualche conoscenza consolidata da 40 anni di esperienze accumulate in moltissime scuole disseminate nelle regioni da me frequentate come formatore esperto di lettura strumentale, dopo aver immediatamente espresso qualche breve nota sul secondo punto, a titolo puramente personale. La maggiore responsabilità da dare ai dirigenti mi sembra un punto da discutere. Il dirigente deve garantire una scuola che risponda alle esigenze primarie del territorio con un parco docenti in grado di assolverle appieno. I dirigenti scolastici potrebbero contattare docenti, quelli più funzionali ai bisogni didattici oggettivi, richiesti nella propria scuola, i quali sarebbero più incentivati a procurarsi un curriculum di rispetto. Se una regione come la Campania è ultima in Italia per la lettura significa che sussiste in forma grave un problema che va rimosso e il dirigente deve garantire un corpo insegnante che abbia le potenzialità professionali per riuscire nell’impresa. Se una area geografica ha una accentuata presenza del fenomeno dell’evasione scolastica, evidentemente occorrono insegnanti che abbiano qualche titolo anche nel campo della psicologia o sociologia. Insomma un argomento quello di Giannelli da non eludere, anche se tocca l’architettura generale dell’istituzione scolastica e quindi numerosi attori da convocare ad un tavolo di lavoro complesso e difficile, che portino la questione a buon fine. Sarebbe un provvedimento legislativo oltremodo rivoluzionario. Tornando al primo punto le soluzioni sono più facili da ottenere. Non c’è dubbio che la scuola italiana abbia bisogno di un poderoso piano di formazione e di revisione della professionalità docente relativa agli insegnanti di ogni ordine e grado di scuola. Lo stesso Giannelli tuonò, mi sembra alla fine del 2020, “è importante come si fa scuola” che richiama l’operato quotidiano del docente. Da molti anni si è trascurato il problema e i colleghi non hanno avuto la possibilità di conoscere nuovi indirizzi pedagogici e innovativi strumenti di didattica operativa per agevolare l’apprendimento dei propri allievi e il loro amore per la scuola. Le “campagne” di aggiornamento organizzate dai provveditorati con l’ausilio delle Università e dell’IRRE sono un lontano ricordo. So di alcuni colleghi che fanno ricorso ad un aggiornamento on-line, secondo il mio modesto parere non del tutto adeguato a colmare il vuoto. Per la lettura fornisco qualche elemento in più. All’indomani dei dati diffusi dall’OCSE Pisa sulla lettura, dopo la prima rilevazione nel 2000, fui chiamato dall’assessore alla P.I. Ing. Rocco Orlando dell’Amministrazione Provinciale di Potenza per domandarmi un progetto che affrontasse in qualche modo la crudezza dei dati negativi emersi anche in provincia di Potenza sulla lettura. Naturalmente accettai, apprezzando l’intento dell’assessore e fornendo in pochi giorni una proposta a riguardo, redatta insieme ai docenti Giusy Rinaldi e Mario Priore. Dal 6-11-2000 al 19-2-2001 operammo nei 5 distretti scolastici di Potenza in stretta collaborazione con dirigenti scolastici e docenti, su un campione di 837 alunni individuati nelle classi V della scuola primaria in scuole disseminate nell’intera provincia, scelte in relazione alle condizioni geografiche e socio-economiche dei paesi interessati. Il progetto si snodava in tre fasi: rilevazione della capacità di leggere un testo privo di asperità lessicali e vicino al vissuto degli alunni, socializzazione dei dati con l’ausilio di una piattaforma digitale condotta con i docenti di tutte le scuole che avessero richiesto una password per accedervi, aggiornamento degli insegnanti su tecniche e percorsi metodologici per ridurre il deficit nella lettura. L’esperienza risultò molto interessante con risultati inaspettati, che furono riportati e analizzati nell’opuscolo “Più Lettura … più Sviluppo” a cura dell’Assessorato alla P. I. dell’ente provinciale. Non a caso con le rilevazioni successive dell’OCSE Pisa i dati in provincia di Potenza ripresero a salire fino a raggiungere il livello delle regioni del nord. Ciò per merito dei docenti che parteciparono con passione all’iniziativa. Ebbe una replica in forma ridotta su un altro campione di alunni che frequentavano la stessa classe nei 14 paesi del Vallo di Diano e di Auletta, Caggiano e Salvitelle per conto dell’Amministrazione Provinciale di Salerno, iniziativa voluta dal consigliere provinciale Donato Pica. Il tutto destò l’interesse del prof. Fabrizio Wolkenstein Braccini che ci invitò a Pisa, Facoltà di Lingua e Letterature Straniere, a tenere un seminario e, per validare la nostra ricerca, volle realizzare una sperimentazione sul campo con gli alunni di due scuole pisane, da cui scaturì la tesi “Leggere è un gioco” realizzata dalla laureanda Maria Cristina Serra nell’anno accademico 2002-2003. Ecco tre esempi di azioni concrete che si sono mostrate efficaci sul campo, per affrontare il tema di cui ho fin qui scritto. Un progetto simile abbiamo predisposto con il presidente delle Aree Interne Michele Cammarano da realizzare con i sindaci di Sala Consilina, Vallo della Lucania, Sapri e Roccadaspide, destinato anche alle scuole dei paesi limitrofi, che, accolto con favore dall’assessore all’Istruzione politiche sociali e politiche giovanili, Lucia Fortini, verrà realizzato nel Cilento, appena superati gli ostacoli imposti dal Covid.