Aldo Bianchini
SALERNO – Nel corso di questi ultimi trent’anni in tantissimi (me compreso) si sono spesi nel descrivere e raccontare le fasi concitate ed assolutamente irrituali dell’arresto dell’ex sindaco di Salerno Vicenzo Giordano che si era dimesso il 22 marzo 1993 ed era stato sostituito da Vincenzo De Luca nella tarda serata del 22 maggio 1993.
Quindi esattamente nove giorni dopo la nascita dell’epopea deluchiana la magistratura (con Michelangelo Russo) rompe ogni indugio e comanda l’arresto di Giordano tramite la Polizia di Stato
con due agenti agli ordini del vice-questore Sebastiano Coppola che in quel periodo di distinse particolarmente per alcune altre clamorose azioni giudiziarie (quali i due tentativi di catturare Gaspare Russo, prima nel monastero delle suore di clausura di Fisciano e poi direttamente a Parigi dove notoriamente risiedeva) agli ordini sia di Michelangelo Russo che del duo Di Nicola – D’Alessio.
A bocce ferme ed a freddo è stato lo stesso Vincenzo Giordano a descrivere quelle fasi concitate del suo arresto nella serata del 31 maggio del 1993.
L‘arresto
(da “Salerno Socialista” di Vincenzo Giordano)
Il 31 maggio 1993 era un lunedì. Una splendida giornata di primavera. Un amico –mostrando stima e comprensione- mi aveva fatto intendere che avrei potuto aspettarmi un mandato di arresto. Io, essendo in pace con la coscienza, ero incredulo e dubitavo della veridicità della notizia.
Al mattino trasmisi l’informazione che mi era stata data all’avv. Lorenzo De Bello pregandolo di effettuare qualche accertamento e mi disinteressai della questione. Partecipai ad una riunione al Partito ed essendosi fatto tardi andai a pranzo al Fusto d’Oro con alcuni compagni per continuare a discutere la vicenda politica cittadina. Nel primo pomeriggio mi recai alla Banca Popolare.
Tornato a casa giocai, come era consuetudine quando avevo un po’ di tempo libero, a tressette con alcuni amici nel giardino condominiale.
Intorno alle 21 mi raggiunsero degli amici.
Dopo i soliti convenevoli qualcuno, non ricordo chi, esclamò: “Non possiamo tacere, siamo venuti per dire al sindaco che lo arresteranno”. Aveva appena finito di parlare che un signore in borghese entrò nel parco, mi individuò e mi invitò a seguirlo in questura.
Io con l’ingenuità che mi distingue (mia moglie dice che sono fesso) non chiesi al poliziotto l’esibizione del mandato. Lo stesso, infatti, mi fu consegnato successivamente in un posto di polizia adiacente alla scuola Vicinanza dove fui condotto … Non so perché mi fecero sostare al Commissariato di polizia un paio d’ore. Alla fine, credo che eravamo vicini alla mezzanotte, due agenti indossarono un giubbotto con la scritta “polizia”, mi misero in mezzo e ci incamminammo verso un auto. Fui abbagliato dai flash dei fotografi. Mi meravigliai moltissimo fra me e me del fatto, chiedendomi come mai i giornalisti erano già informati. A sirene spiegate con una corsa a rotta di collo fui portato al carcere.
Mi misero in una cella singola dove rimasi in isolamento rifiutando di mangiare, perché avevo deciso lo sciopero della fame che praticai per due settimane e mezzo. La solidarietà dei detenuti fu immediata. Quando transitavano per il corridoio e non era presente la guardia aprivano l’oblò e mi donavano una bottiglia di tè per ristorarmi.
Dopo tre giorni il Giudice per le indagini preliminari, che aveva firmato l’ordinanza di custodia cautelare, mi interrogò. Per quattro o cinque ore risposi alle sue domande. Alla fine ero molto sollevato. Gli avvocati si complimentarono per la chiarezza delle risposte. Io ero convinto che il giudice non solo valuta i fatti ma percepisce se uno dice la verità o mente. Sperai quindi in una sollecita liberazione.
Illusione !! Fui dimenticato in carcere per 53 giorni senza mai più essere ascoltato. Il Gip respingeva sistematicamente le richieste di scarcerazione presentate dagli avvocati.
Ho raccontato questo episodio attribuendogli il valore di testimonianza e monito: testimonianza della superficialità con cui tanti “poveri cristi”, molti dei quali poi riconosciuti innocenti, vengono sbattuti in galera; monito per il potere politico e per chi ha sfruttato l’azione dei magistrati per spazzare via gli avversari. La corporazione giudiziaria, con chiare e incisive riforme, va ricondotta nel suo alveo. Chi ha paura di operare in tal senso sappia che non serve i veri interessi della democrazia e che prima o poi si troverà i giudici contro.