da Antonio Cortese
I consorzi idrici italiani del 2000 non sanno cosa siano le cisterne.
Più di duemila anni fa città come Roma e Costantinopoli, ma anche a Napoli, nelle marche e altre zone fortunate di allora molto prima di altre, non conoscevano né crisi idriche né sospensioni per lavori di manutenzione. Ciò era reso possibile dall’approvigionamento da cisterne che facevano zampillare le fontane sempre e comunque. Oggi le cisterne di epoca romana sono monumenti, siti archeologici, ma alcuni continuano a svolgere la propria funzione di riserva a determinati bacini. Nono sono solamente belle da visitare ma conservano le acque ancora in modo sano, fresco ed ecologico facendo addirittura da depuratori naturali ai corsi d’acqua, fiumi o torrenti che vanno a servire. In alcune di esse vi si può ritrovare altresì fauna protetta che altrove non si può più ritrovare per tossicità o estrema igienizzazione chimica forzata. Eppure con le tecnologie odierne, gli ingegneri idraulici laureati ad Harward e tutte le fonti di cui è ricchissima l’Italia, come esclamerebbe l’acquaiolo napoletano, “l’acqua è poca e nun ce stanno manco ‘e paparelle”. Su il Quotidiano di Salerno mesi addietro scrissi un articolo di rievocazione storica delle fonti Vitologatti con la zona termale sottostante l’attuale parco Pinocchio, laddove già gli etruschi in insediamenti inciviliti sapevano gestire le risorse idriche come ancora oggi il nostro capoluogo stenta evidentemente a raggiungerne il livello. Eppure tra buoni propositi e promesse elettorali il nostro governatore fu appellato neientepocodimeno “’a funtana”, ma da quando é a palazzo Santa Lucia gli sarà passata la sete, o il genuino interesse per la città che lo ha santificato, con una acqua che dalla fonte battesimale si sarà diluita nel fiume Lete. Troppe particelle di sodio hanno provocato acque ricche di calcio, giocato si, ma digerito forse solo se passa sotto i ponti di una memoria svanita.