da Pietro Cusati
Giovanni Falcone è stato un magistrato che ha dedicato la sua vita alla lotta alla mafia. A trent’anni dalla strage di Capaci ,Claudio Martelli ,ex ministro della giustizia ha pubblicato il libro ‘’ Vita e persecuzione di Giovanni Falcone (edizioni La nave di Teseo) , 368 pagine, in libreria dal 23 maggio 2022. Martelli da Ministro della giustizia chiamò Falcone a collaborare al Ministero. ‘’Volevo fare la guerra alla mafia e per farla scelsi il più bravo di tutti”. La superprocura, la Dia e poi, dopo la morte di Falcone, il 41 bis. Falcone è stato tra i primi a comprendere la struttura unitaria e verticistica di Cosa Nostra, ha creato un metodo investigativo diventato modello nel mondo. Il metodo investigativo che rivoluzionerà la storia della lotta a Cosa nostra nasce allora. Estende le ricerche al campo patrimoniale, una via fino ad allora poco esplorata, riuscendo a superare il segreto bancario e ottiene la collaborazione di istituti di credito e finanziarie nazionali ed estere per ricostruire i movimenti di capitali sospetti. Falcone teorizzò l’importanza della cooperazione giudiziaria internazionale. Giovanni Falcone non si è mai sentito un eroe, ma solo un uomo dello Stato a fare il proprio dovere. Contro il mito negativo dell’invincibilità di Cosa nostra diceva: “la mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà una fine”. Nel 1979 conosce Francesca Morvillo, anche lei magistrato, si sposano nel 1986. Uno dei testimoni è Antonino Caponnetto, capo del pool antimafia. Francesca Morvillo resta al fianco del marito condividendo difficoltà e rinunce fino alla fine. Sarà uccisa nell’attentato di Capaci, insieme a lui, a soli 47 anni, unica donna magistrato in Italia vittima di un attentato mafioso. Cartabia ha molti meriti ma la riforma del Csm rischia di essere quello che Falcone avrebbe definito “un pannicello caldo”.Nel libro Martelli racconta la lezione di Falcone ,il primo incontro con Falcone, al palazzo di Giustizia di Palermo nel 1987. “Da milanese credevo di sapere cos’è la mafia. Mi sbagliavo. In quattro ore di colloquio, Falcone mi spiegò la struttura della mafia. Allora capii che non si può trattare la mafia come si trattano gli altri imputati. Arrivai a quel colloquio da garantista assoluto, un anno prima avevo avviato con Pannella la battaglia nel nome di Enzo Tortora travolto proprio dal gigantismo di un maxi processo. Uscii dalla stanza di Falcone convinto che servisse una legislazione ad hoc per contrastare la mafia”. Il 23 maggio è una ricorrenza divenuta Giorno della Legalità, in ricordo di tutte le vittime di mafia. La mafia, diceva il Giudice Antonino Caponnetto, «teme la scuola più della Giustizia, l’istruzione toglie l’erba sotto i piedi della cultura mafiosa».Falcone e Borsellino erano due magistrati di grande valore e di altissima moralità. L’intelligenza e la capacità investigativa erano valorizzate e ingigantite da una coscienza limpida, da un attaccamento ai valori della Costituzione, da una fiducia sacrale nella legge e nella sua efficacia. Furono eliminati non soltanto per la loro competenza nella lotta alla criminalità organizzata, per la loro efficienza, per la loro conoscenza dei metodi e delle prassi del crimine organizzato, anche perché erano simboli di legalità, di intransigenza, di coraggio, di determinazione. A figure di magistrati come Falcone e Borsellino la società civile guarda con riconoscenza e che consente di nutrire fiducia nella giustizia amministrata in nome del popolo italiano. Infatti la credibilità della Magistratura e la sua capacità di riscuotere fiducia sono imprescindibili per il funzionamento del sistema costituzionale e per il positivo svolgimento della vita della Repubblica.