scritto da Luigi Gravagnuolo il 19 Maggio 2022
per Gente e Territorio – Cava T.
Se il conflitto russo-ucraino dovesse impaludarsi in una lunga guerra di attrito, come oggi pare, chi la spunterebbe?
Entrambe le forze armate si sono formate alla stessa scuola militare, quella degli zar, adottata anche dall’armata rossa; quando nel ‘18-’21 Trotskij dovette contrastare le armate bianche si servì degli ufficiali dell’esercito zarista controllandoli con ‘commissari del popolo’, ma la dottrina militare non cambiò. È una scuola celebre nel mondo per le sue strategie difensive, meno per quelle di attacco.
È dai tempi di Napoleone prima e di Hitler poi, che chi si azzarda ad attaccare la Russia viene annientato. Meno brillanti sono state viceversa nella storia le performance di attacco delle armate russe. Non fanno testo, a questo riguardo, i massacri recenti perpetrati dall’esercito russo in Cecenia (35mila civili, 1.969 militari russi, 14.313 militari ceceni uccisi e 5.000 civili scomparsi), in Georgia (592 civili, 171 militari russi e 184 georgiani, 15 scomparsi e 192.000 profughi) e in Siria (683 civili, 171 militari russi, 97.295 militari islamisti, un milione e mezzo di profughi), conclusisi con altrettante vittorie. Una cosa è attaccare truppe equipaggiate con armamenti approssimativi e isolate dal mondo, altra cosa provarci contro un esercito strutturato, sostenuto da tutto il suo popolo, supportato dall’Occidente e dotato di strumentazioni tecnologiche di ultimissima generazione. Non ci avevano pensato bene, evidentemente, Putin e i suoi quando hanno deciso di avviare una blitzkrieg in Ucraina lo scorso 24 febbraio.
I sistemi antiaerei ucraini, guidati dalle informazioni satellitari messe a disposizione dall’Occidente, non hanno mai consentito all’aviazione russa di andare oltre uno scontato, ma non determinante, predominio nello spazio aereo. Nelle decisive acque del Mar Nero, con i missili forniti dagli Inglesi, gli Ucraini si sono dimostrati più che efficienti ed hanno scongiurato finora il rischio di sbarchi, infliggendo perdite significative alla marina russa. Sul terreno i tank con la Zeta si sono presto impantanati tra i boschi e la terra paludosa al Nord di Kiev e sono stati contrastati con efficacia dai javelin delle truppe di terra ucraine anche nel Nord-Est. Mariupol alla fine l’hanno presa, ma per farlo hanno raso al suolo un’intera città di 440mila residenti ed impiegato tre mesi. Questo sforzo, peraltro, è costato agli attaccanti la dispersione delle proprie forze sul terreno e consentito ai difensori di riprendere per intera la regione di Karkiv. Insomma, per i Russi, se l’invasione finora non è stata un disastro, poco ci è mancato.
Alla luce di tanto e delle sanzioni che, più passa il tempo, più costano all’economia russa, oggi l’Occidente, e soprattutto Zelensky, appaiono baldanzosi, prospettando a se stessi una vittoria inequivoca grosso modo entro un anno. È una pia illusione, le capacità di tenuta della Russia sono enormi.
Gli Ucraini ci informano che i Russi finora – dati di fine settimana scorsa – hanno perso 303 tank, 1.036 mezzi corazzati, 120 sistemi di artiglieria, 56 lanciarazzi multipli e 27 sistemi di difesa antiaerea, 48 velivoli, 80 elicotteri e sette droni, oltre a 474 mezzi e 3 unità navali; che oltre ventimila soldati del loro esercito sono morti sul terreno; che il comando dell’armata russa, decimato dall’eliminazione di una decina di generali di alto rango, è in uno stato di grande confusione organizzativa e non riesce più a guidare le forze sul campo. Tutto vero, o quanto meno verosimile, ma c’è dell’altro.
Sono oltre 45mila i mezzi corazzati in dotazione all’esercito russo, i mille e rotti carri persi in Ucraina sono una bazzecola al confronto. E la Russia è una nazione immensa, nel suo irraggiungibile ventre più interno, nella Siberia centrale, dispone di numerose ed intatte fabbriche di armi, capaci di produrre armi, tra cui i tanks, nell’ordine di diverse decine al giorno. Né le mancano le materie prime, o gli uomini per lavorare in queste fabbriche o per andare al fronte. Infine – nessuno lo dimentichi – i Russi hanno un senso della vita ben diverso dal nostro, contro Hitler immolarono 22 milioni di vite, ma resistettero e alla fine vinsero.
Le stesse sanzioni, a parte l’effetto boomerang in Europa, infastidiscono l’oligarchia moscovita e la borghesia urbana di San Pietroburgo, di Mosca e delle città occidentali, ma lasciano del tutto indifferenti i milioni e milioni di residenti nelle aree interne, che tuttora si alimentano, come da secoli, con i prodotti dei loro orti, in regime di autosussistenza. A loro non veniva niente dalle banche e dalle catene commerciali delle metropoli e niente gli viene tolto ora dalle sanzioni. Peraltro, ricevendo informazioni solo dalla stampa di regime, si orientano in base ad essa; il consenso del popolo russo verso l’operazione speciale è pressoché totalitario e non è stato neanche scalfito dalle sanzioni euroccidentali.
In un prossimo articolo ci soffermeremo sulla cyberguerra e sull’uso dei satelliti, ma questo già basta per dire che puntare sullo sfinimento a lungo termine di Putin e del suo popolo è fuori dal mondo.
Allora ha ragione Putin a garantire al suo popolo e alla sua classe dirigente che tutti gli obiettivi saranno raggiunti? L’Ucraina è destinata, alla fine, ad essere occupata ed annessa alla Russia? Neanche per idea!
Abbiamo già fatto cenno all’indefettibile determinazione del popolo ucraino nel difendere la propria patria e le proprie libertà. I Russi immaginavano di trovare ad accoglierli a Kiev gente festosa con le bandierine sventolanti. Si sono trovati a sbattere contro il muro di un intero popolo in armi, deciso fino all’ultimo uomo a morire pur di non sottostare all’invasore.
Durante la Prima guerra mondiale la percentuale di civili morti sul complesso dei caduti fu del 10%; nella seconda del 50%; oggi in Ucraina siamo al 90%, e non solo perché i missili russi cadono su ospedali, residenze civili e scuole, ma perché la popolazione intera è in armi e in battaglia. Non sarà facile a Putin piegare quaranta milioni di persone bene armate e pronte a morire. Quand’anche riuscisse a spuntarla in questa congiuntura sul campo di battaglia, dovrebbe mettere nel conto di dover fronteggiare una lunga guerriglia, peraltro foraggiata dall’Occidente, che non è cosa di poco conto. Infine non si trascuri la determinazione degli USA, del Regno Unito e di buona parte dell’UE a non accettare il fatto compiuto. Putin questa guerra non la vincerà né oggi, né tra dieci anni.
Come evolverà dunque il conflitto? Salvo atti inconsulti, quali l’uso dell’atomica, o l’estensione della guerra al di fuori del territorio ucraino, questa guerra finirà per reciproca stanchezza. Troverà una tregua – non una pace – quando entrambe le parti si saranno convinte che nessuna di esse può vincere e si troverà un’intesa provvisoria sulle regioni più contese – Crimea, Donbass, Lugansk.
Volesse Iddio che quella tregua venga sfruttata dalle diplomazie internazionali per addivenire ad una nuova Conferenza sulla Sicurezza Europea che fermi le bocce per decenni, durante i quali, con fatica e pazienza, si potrà e dovrà tentare di ricostruire anche l’amicizia e la convivenza tra i due popoli e tra la Grande Russia e l’Europa Occidentale.