scritto da Luigi Gravagnuolo il 14 Aprile 2022
per Gente e Territorio (Cava)
Lo sterminio di sei milioni di Ebrei fu voluto, organizzato e consumato da Hitler e dal suo regime; sarebbe però un falso storico sottacere il consenso della maggioranza del popolo tedesco verso il nazismo, quindi la sua condivisione dell’eccidio. Peraltro, prima ancora dei forni crematori, i nazisti avevano espropriato delle loro proprietà mobiliari ed immobiliari gli Ebrei residenti in Germania e nei territori da essi occupati e finanziato il riarmo ed il welfare degli ariani anche con le risorse ricavate dal criminale saccheggio predatorio. Il consenso verso il nazismo aveva dunque una base di interesse materiale, non fu solo frutto dell’inganno ideologico.
Certo, al popolo furono tenuti nascosti i campi di sterminio e le pratiche abominevoli che vi si perpetravano; ma, per la verità, non ci sarebbe voluto molto per accorgersene. Sarebbe bastato volerlo conoscere e il popolo tedesco, per paura o per complicità, si bendò gli occhi. Ciononostante a Norimberga non fu processato il popolo in quanto tale, ma solo gli esponenti del regime che si erano resi direttamente responsabili dei crimini. Ed il 27 gennaio, Giorno della Memoria della Shoah, non è il giorno dell’odio verso i Tedeschi, bensì quello della messa in guardia da eventuali recrudescenze del nazismo in Europa e nel Mondo.
Tutto questo per dire che sì, certo, oggi la stragrande maggioranza del popolo russo sta con Putin, ne condivide l’ideologia nazionalista e la consequenziale invasione dell’Ucraina. E che a questo popolo verrà anche nascosta l’atrocità della guerra e magari gli viene raccontato che le salme straziate di Bucha erano in realtà attori in recita, ma è indiscutibile che esso approvi le scelte del proprio Presidente, compresa l’operazione speciale. Ciònonostante, questa non è una ragione sufficiente per criminalizzare l’intero popolo russo.
Piuttosto, proprio nel pieno della guerra, mentre ancora Ucraini e Russi si fronteggiano e si massacrano sui campi di battaglia, è indifferibile piantare semi per la pace del futuro. Quando le armi taceranno, i due popoli cugini dovranno pur trovare un modo per convivere e non potranno farlo se si odieranno a morte. Se ciò fosse, stipulerebbero forse una tregua, se e quando ciò avverrà, non una pace duratura. Per essa occorre che i due popoli si riconcilino nell’animo.
Chi può dunque porre nei campi minati e tra le macerie di oggi i semi della riconciliazione futura se non una figura etica, disarmata, autorevole, non priva di un suo orientamento circa le responsabilità del conflitto, ma non schierata apertamente con una delle parti? Papa Francesco, ad esempio.
Domani sera, nella Via Crucis della Passione di Cristo al Colosseo, farà portare la Croce a due infermiere, una ucraina e una russa. Un messaggio di pace dunque.
Eppure, appena il Vaticano ha comunicato l’orientamento del Pontefice, l’ambasciata ucraina ha protestato con fermezza: quella donna russa non deve starci sotto la Croce. E non hanno reagito energicamente solo le autorità politiche ucraine, anche i cattolici ucraini e dei paesi est-europei non hanno taciuto il loro dissenso verso la Santa Sede. Il nunzio apostolico a Kiev, l’arcivescovo lituano Visvaldas Kulbokas, ha rilasciato un’intervista video in cui ha manifestato senza mezzi termini le perplessità dei fedeli ucraini e degli altri Paesi est-europei, perché “la riconciliazione deve arrivare quando si ferma l’aggressione e quando l’aggressore ammette la sua colpa e si scusa”. Considerano, gli Ucraini, che la scelta di mettere sullo stesso piano aggressori ed aggrediti, carnefici e vittime, sia sbagliata anche sotto il profilo etico.
Ma il Santo Padre mantiene il punto, Albina e Irina, le due infermiere da lui scelte a rappresentare le rispettive comunità, domani sera porteranno insieme la Croce alla tredicesima stazione, quella del corpo di Cristo che viene deposto dalla Croce e adagiato sulle ginocchia di sua madre.
Il senso è chiaro, la guerra non è stata decisa dal popolo russo, ma da una oligarchia corrotta e mafiosa, e una cosa è condividere un’ideologia ed anche approvare una scelta, altra è prendere direttamente le decisioni puntuali. Il popolo russo in quanto tale non ha deciso la guerra, né avrebbe potuto farlo visto il regime dittatoriale. I due popoli hanno dunque la chance della riconciliazione.
Il messaggio resta nella sfera del ministero pastorale, in esso tuttavia c’è anche un senso politico, che per la verità avrebbe dovuto inquietare più Putin che Zelensky. L’infermiera russa che porterà la Croce insieme con la collega ucraina e che con lei chiederà la pace, a ben vedere, ha il senso di una critica radicale della teoria dell’inderogabilità dell’operazione speciale di denazificazione dell’Ucraina.
Eppure Putin finora non ha reagito, mentre Zelensky, che da un messaggio di pace lanciato in nome del popolo russo avrebbe beneficio, ha protestato con vigore. Comprensibile psicologicamente, se si vive sotto le bombe e si contano ogni giorno i morti della propria gente, massacrata perché rea di voler essere libera ed indipendente; errato sotto il profilo della comunicazione, che pure nelle guerre da sempre svolge un ruolo di assoluto rilievo e di cui pure il leader ucraino sembra avere ottima dimestichezza.