da Nicola Femminella
Nei giorni scorsi c’è stato un atto di bullismo nella scuola media “Andrea Torre”, a Vallo della Lucania. In classe un ragazzo del posto di 14 anni avrebbe preso a pugni un suo compagno di origini ucraine che anche in precedenza aveva subito azioni oltraggiose. Il fatto accaduto mi ha meravigliato, perché, avendo frequentato la comunità scolastica della cittadina, non la ritenevo sede di tali eventi. E invece alcuni colleghi del posto mi hanno riferito che sono frequenti le liti e aggressioni tra i ragazzi a dimostrazione che non esistono isole che ne siano immuni. Tali episodi di violenza ormai avvengono in tutta la penisola e la cronaca ne riporta solo una piccola parte, perché sembra che non facciano più notizia visto il gran numero di casi. Neppure mi sembra di notare nelle scuole, negli spazi della movida, nei luoghi di incontro dei giovani iniziative per limitare il fenomeno e non è dato di sapere, dopo la prima notizia e le indagini portate a termine, quali conseguenze comportano tali atti per i ragazzi che li compiono. Si dice che il fenomeno è complesso e di non facile soluzione, quando è diffuso dappertutto. Ma è pur vero che la ricerca delle cause che lo determinano e qualche iniziativa di peso sono oltremodo utili, oltre a essere un precipuo compito di coloro che ad esso devono porre un margine.
Per prima la famiglia. Non è certamente oggi l’agenzia educativa di maggior conto per l’azione formativa degli adolescenti. Non come lo era una volta. I social e i telefonini, abitudini, modelli e mode imperanti inediti assumono spazi e ruoli mai concessi prima all’universo giovanile. Gli incontri e il dialogo tra figli e genitori è ridotto al minimo e limitato ad una sorta di colloquio burocratico. I ragazzi trascorrono ormai molte ore nei luoghi di ritrovo e dai mezzi di informazione si apprende che moltissimi atti di bullismo avvengono nel cuore della notte, quando i ragazzi dovrebbero essere a casa a dormire. Molti sono causati dalla forza contagiosa di post e foto sui social che diffondono le bravate dei bulli. Anche la famiglia, dal canto suo, sta vivendo un momento di profonda crisi. Aumenta notevolmente il fenomeno dei genitori separati con ricorrenza fragorosa. Il più delle volte, però, la separazione è gestita male dalla coppia, con litigi e lacerazioni traumatiche per i figli. Questi, in tali circostanze, si staccano un po’ alla volta dal proprio nucleo familiare e trovano conforto negli amici e in altre direzioni. Ho avuto modo di constatare nelle scuole che le due figure/comparse nei casi di bullismo – chi lo subisce e chi lo infligge – derivano dalla frantumazione genitoriale.
Le associazioni sportive e la presenza della chiesa che organizzava l’oratorio per attività molteplici immerse nel sociale, nelle arti e nello sport non assicurano più una presenza attiva nel tempo libero dei ragazzi, che spesso non hanno un luogo dove incontrarsi e discutere o organizzare proprie iniziative. Eppure si creano ogni giorno decine di associazioni che ancora non so cosa organizzino.
E poi la Scuola, non prima di aver detto qualche mia modesta parola sul ruolo delle televisioni. La quale sovente nell’ora di cena imperversa con talk show interminabili, infarciti di insulti, linguaggio scurrile e occhi accecanti a comunicare contrapposizioni violente, se non odio soffocante. E si sa che esempi e modelli negativi si diffondono e contaminano più di quelli virtuosi. Tutte le reti TV continuano ad invitare personaggi di cui a priori si conoscono parole e atti certamente poco educativi. Producono audience e in nome di questa parola nessuno ferma la deriva rovinosa.
La Scuola, secondo me, resta l’avamposto per combattere il bullismo dilagante e altre emergenze sociali, se recupera i propri limiti dai quali è soffocata. È un convincimento che ho assunto fin dai primi giorni della mia lunga e intensa carriera trascorsa con studenti di ogni ordine di scuola. Da docente e formatore in molte regioni d’Italia. È a scuola che il fenomeno lancia segnali preliminari, perciò è il luogo dove si devono innalzare le prime barriere, perché non dilaghi. L’argomento, ho detto, è complesso e meglio di me lo sviluppano i libri e i richiami televisivi di Crepet, Galimberti e di altri eminenti studiosi del problema. Mi limito a riferire sommariamente le esperienze, che ho dovuto affrontare personalmente nel fare scuola o quelle condivise con i colleghi quando mi hanno chiamato in causa nei corsi di formazione modulati sull’argomento. Abbiamo sempre condiviso: l’argomento dev’essere incluso stabilmente nei curricula dei vari ordini di scuola. Dopo di che le linee e le strategie operative, di cui fornisco qualche cenno. Già ai bambini della prima infanzia è utile proporre libri scelti con cura per introdurre i concetti di solidarietà, amicizia, empatia, rispetto, gentilezza, senza troppi interventi e interferenze da parte del maestro. Lasciare che il testo e le illustrazioni contenuti nel libro, scelto con competenza, entrino nell’animo e negli occhi dei bambini con i colori, le forme dei disegni e le parole semplici del lessico. Il libro compie miracoli ed è molto efficace nel compiere la propria funzione educativa, specie se accompagnato da animazioni che facciano vivere al bambino, in maniera ludica, il messaggio che esso veicola. Dalla scuola primaria all’ultimo anno della scuola superiore continuare a proporre uno spazio ben strutturato all’argomento bullismo, evitando eccessivi verbalismi, inutili retoriche e inviti e consigli paternalistici e vacui. Ma con tratti di “didattica applicata”, partecipativa e laboratoriale, perché apprendano ogni aspetto del fenomeno. Ritorna l’assioma: se si conosce, lo si ama, ci si spende per… Volendo fornire qualche elemento in più per uscire dalle sole parole, mi permetto di indicare sommariamente uno dei percorsi concordati con i colleghi. Si proponeva ai ragazzi di definire ognuno il proprio concetto di bullismo. Dalla socializzazione e dal dibattito che seguiva emergeva facilmente la seguente definizione tratta dalle fonti consultate: “il bullismo consiste in comportamenti aggressivi ripetitivi perpetrati da una o più persone nei confronti di una vittima incapace di difendersi.” La scoperta della parte finale dell’assunto: “… nei confronti di una vittima incapace di difendersi” costituiva quasi sempre un tratto di comunicazione contundente, che entrava forte nella mente dei ragazzi, nella sua parte più profonda, soprattutto di quelli per i quali si nutriva qualche sospetto. I ragazzi temono un’altra parola “vigliacco” e tale concetto si intravede nelle otto virgolettate. Seguivano altre ricerche su giornali, libri, Internet per raccogliere dati e informazioni, “fino a diventare esperti del bullismo”. Dati che venivano ordinati e classificati mediante strumenti logico-operativi più efficaci delle parole: diagrammi di flusso, tabelle, grafi, Con l’obbiettivo di fissarli nel database culturale di tutti i ragazzi che partecipavano al lavoro, seguendo una serie di indicatori: cos’è il bullismo, come si concretizza e manifesta nelle relazioni tra due soggetti, chi lo esercita e chi lo subisce, da cosa trae origine la posizione dei due, cosa procura a ciascuno di loro, cos’è il bullismo di gruppo, l’incidenza del fenomeno nelle varie regioni d’Italia, chi di voi lo ha conosciuto, fino all’analisi testuale degli articoli preminenti per comprendere il contenuto delle leggi 107 del 2015 e 71 del 2017 che trattano l’argomento. Altri percorsi definiti con i colleghi si sono mostrati efficaci sul campo. La loro diffusione con adeguati corsi di formazione, aperti anche ai genitori degli alunni, risulterebbero oltremodo utili per i docenti. Fra l’altro oggi di fronte al dilagare del fenomeno è intervenuto l’aggiornamento 2021 delle Linee Guida per la prevenzione e il contrasto del Bullismo e Cyberbullismo, che consente a dirigenti, docenti e operatori scolastici di comprendere, ridurre e contrastare i fenomeni negativi che colpiscono bambine e bambini, ragazze e ragazzi, con nuovi strumenti. Il fenomeno è di quelli da affrontare, affidando a tutti coloro che detengono precise responsabilità, genitori, agenzie educative, corpi di governo, la propria quota di impegno.