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TRIBUNALE DEL DOLORE
&
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&
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NOMINE C.T.U.
1. INTRODUZIONE DELLA QUESTIONE.
La presente nasce dall’esigenza di porre l’attenzione su un aspetto critico che influenza il sistema giudiziario del nostro Paese. Sistema che, purtroppo, non sempre riesce a garantire e tutelare l’esercizio indipendente ed imparziale della giurisdizione ed a fornire un’ottimale organizzazione e gestione dei suoi Uffici.
Più nello specifico, al giorno d’oggi, il processo civile risulta sempre più caratterizzato dalla “ipertecnicità” delle materie oggetto d’esame da parte del giudice e ciò determina la necessità dell’apporto di nozioni tecniche diverse da quelle strettamente giuridiche per decidere una controversia. Dunque, è chiaro come il ruolo del C.T.U. sia diventato fondamentale.
Tuttavia, se quanto detto è vero, è altrettanto vero che – proprio in relazione a questa figura prestata a servizio della giustizia – si assiste ad un fenomeno degenerativo che si caratterizza, da un lato, per le deficienze nella scelta dei consulenti (e, conseguentemente, per l’esercizio senza le specifiche competenze e le necessarie certificazioni) e, dall’altro, per la mancanza di imparzialità che, invece, dovrebbe caratterizzare anche l’azione dell’esperto tecnico.
Terreno fertile, nel quale tale fenomeno mette radici, è sicuramente il giudizio di risarcimento danni conseguenti a sinistro stradale. Infatti, nell’ambito di tali giudizi, accade frequentemente che venga nominato un consulente che si trova a valutare ipotesi che non rientrano nella propria competenza, ovvero che per evidenti ragioni di incompatibilità non possa garantire il rispetto dei principi di terzietà ed imparzialità.
Peraltro, le criticità che afferiscono al processo di accertamento e di liquidazione delle lesioni sono di estrema rilevanza, atteso che è proprio in questo ambito che scaturiscono le maggiori truffe assicurative, con la partecipazione compiacente anche di medici certificatori e consulenti nonché di taluni magistrati onorari.
Non sfugge che i casi di cronaca giudiziaria, in particolare campana, specie negli ultimi anni, abbiano avuto ad oggetto svariati casi di truffe assicurative, seguendo le attività di inchiesta della Guardia di Finanza e di Pubblici Ministeri, per i reati di associazione a delinquere finalizzata alla truffa delle assicurazioni e connessi reati contro la fede pubblica e la pubblica amministrazione.
Se ne è delineato un quadro estremamente preoccupante, lesivo dell’immagine della giustizia, ma anche indicativo di pregiudizi a carico dell’intera collettività, che, suo malgrado, sostiene di costi delle truffe.
Dal che diventa centrale, per garantire il rispetto della legalità, individuare le falle del sistema e porvi rimedio mediante l’applicazione effettiva delle norme.
In tale senso, richiamata innanzi la rilevanza della Consulenza tecnica d’ufficio che partecipa dei principi di terzietà ed imparzialità, è interesse, soprattutto delle compagnie assicurative che assistono ad una sistematica lesione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, a che si dia concreta attuazione ai principi regolatori delle scelta e del reclutamento dei Consulenti.
Peraltro, non può tacersi che a rendere particolarmente critico il procedimento di liquidazione delle lesioni vi è, inoltre, la frequente produzione di documentazione medica compiacente o incompleta, contenente – il più delle volte – un giudizio diagnostico e prognostico non corroborato da alcun opportuno o dettagliato piano terapeutico e – il più delle volte – rilasciata senza la necessaria fatturazione. Difatti, non può sottacersi come spesso le certificazioni mediche contenute nei fascicoli di parte risultino prive di fattura.
Le problematiche in tema di scelta e reclutamento dei consulenti – si ritrovano, nei processi di infortunistica stradale, anche riguardo i giudizi aventi ad oggetto l’accertamento e la liquidazione dei danni materiali. È chiaro che l’accertamento del danno derivante dalla circolazione dei veicoli deve essere fatto da un esperto competente, il quale dia – e sia – garanzia di professionalità e correttezza. Eppure, ci sono casi in cui ad essere nominati sono consulenti (ad esempio, architetti, geologi etc.) che hanno qualifiche e/o competenze che nulla hanno a che vedere con le materie per cui si contende. Inoltre è indiscutibile che il danno tecnico possa essere stimato solo ed esclusivamente da periti assicurativi iscritti all’albo nazionale gestito dalla Consap.
È evidente che le prassi contra legem finiscano per condizionare la direzione del processo e impedire il suo sollecito e leale svolgimento, comportando problematiche in punto di garanzia di un corretto contraddittorio e, di conseguenza, prestando il fianco alle possibili suddette truffe in materia assicurativa.
Il vizio di fondo è che, ad oggi, la scelta dei periti/consulenti ricade, per lo più, tra gli iscritti in appositi albi professionali, che vengono compilati senza un reale criterio di selezione che tenga in considerazione l’effettiva qualificazione degli iscritti anche in medicina legale. Eppure, la Legge n. 24 del 2017 (cd. Gelli – Bianco) ha determinato la necessità di effettuare una revisione degli Albi.
Non è tutto. In molti fori del Mezzogiorno, si assiste alla nomina, da parte del magistrato, di C.T.U. i quali, a loro volta, anche se in altri processi, svolgono il ruolo di consulenti di una delle parti della causa ove svolgono il ruolo di tecnico d’ufficio. Per di più, non è infrequente ritrovare, nei fascicoli di parte, certificazioni mediche che recano la firma di quegli stessi medici che, nell’ambito dello stesso foro, vengono soventemente incaricati come C.T.U..
È chiaro che, in tali casi, il loro operato subisca un forte condizionamento. Si dà prevalenza ad interessi personali di pochi. Così muovendosi, certamente si è lontani dall’assicurare rettitudine, trasparenza ed imparzialità all’agire del consulente tecnico.
Come si vedrà, questi vizi del sistema potrebbero essere sanati attraverso un più rigoroso controllo delle nomine dei consulente e, soprattutto, un regime più stringente dei motivi di incompatibilità e ricusazione dei consulenti.
2. LA LEGGE GELLI – BIANCO E I CRITERI DI SCELTA DELLO SPECIALISTA.
Nei giudizi di responsabilità sanitaria, il collegamento tra il sapere giuridico e sapere scientifico è garantito, almeno in via teorica, dalla consulenza tecnica, la cui centralità nel processo giudiziale è stata di recente specificata nella Legge cd. Gelli – Bianco, la n. 27 del 2017.
Nello specifico, la Legge n. 24 del 2017 – all’art. 15 – ha disciplinato la nomina, da parte dell’Autorità giudiziaria, dei Consulenti Tecnici d’Ufficio e dei Periti.
La norma stabilisce che “nelle controversie di responsabilità sanitaria l’espletamento della consulenza tecnica deve essere affidata a un medico specializzato in medicina legale e ad uno o più specialisti nella disciplina che abbiano specifica e pratica conoscenza di quanto oggetto del procedimento”, con l’accortezza (la norma dice “avendo cura”) che i soggetti da scegliere siano “tra gli iscritti agli (…) albi dei consulenti di cui all’art. 13 disp. att. c.p.c. e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, e gli albi dei periti di cui all’art. 67 disp. att., coord. e trans. c.p.c., di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271”.
Dunque, la norma richiede che tali incarichi siano svolti da un collegio valutatore, non essendo più ammessi accertamenti monocratici, vietati espressamente dall’art. 15.
La finalità è evidente: garantire una migliore qualità delle valutazioni tecniche assicurando, negli albi circondariali, l’ingresso di professionisti esperti di elevata qualificazione.
Proprio da quest’ultimo punto di vista, l’art. 15 della Legge Gelli – Bianco dispone che la scelta dei consulenti tecnici d’ufficio debba essere fatta “tra gli iscritti negli albi di cui ai commi 2 e 3 (cioè, i suddetti albi tenuti dai Tribunali) (…) in cui devono essere indicate e documentate le specializzazioni degli iscritti esperti in medicina”. Tali albi ai sensi del comma 3 debbano essere aggiornati ogni 5 anni e, in sede di revisione, ai sensi del comma 2 “devono indicare l’esperienza professionale maturata dai singoli esperti, con particolare riferimento al numero e alla tipologia degli incarichi conferiti e di quelli revocati”.
Una tale precisazione ha lo scopo di assicurare, oltre al criterio valutativo medico – legale, un’idonea e adeguata rappresentanza di esperti delle discipline specialistiche riferite a tutte le professioni sanitarie, tra cui scegliere per la nomina tenendo conto della disciplina interessata nel procedimento.
Pertanto, in virtù dell’art. 15 della L. n. 24 del 2007, per le consulenze tecniche e le perizie nei procedimenti in cui siano coinvolti professionisti sanitari, si deve far riferimento al supporto di un consulente competente in quello specifico profilo professionale.
C’è di più. Non si può non ricordare come, accanto all’art. 15 della L. n. 24 del 2017, l’art. 62 cod. deont. med. recita che “il medico legale nei casi di responsabilità medica si avvale di un collega specialista di comprovata competenza nella disciplina interessata; in analoghe circostanze il medico clinico si avvale di un medico legale”. Pertanto, al medico legale è richiesto il solo requisito della specializzazione, mentre al clinico è richiesto qualcosa in più rispetto alla specializzazione e, cioè, di “possedere una specifica competenza pratica e non solo teorica di quanto oggetto del procedimento”. La ratio di tale impostazione è intuitiva e si concretizza nel volere garantire una migliore qualità dei giudizi tecnici attraverso la formazione di un collegio basato sulla combinazione dei due approcci valutativi: medico-legale e clinico.
Una previsione che sembra voler arginare l’ormai risaputa prassi che vede medici delle specialità più disparate (e non inerenti al caso di specie) o, addirittura, medici “generici” effettuare con ardimento accertamenti tecnici di ufficio anche nelle ipotesi di colpa medica.
Il fenomeno, largamente diffuso, della nomina di Consulenti privi della specializzazioni idonee a valutare il caso concreto, benvero, si ravvisa non solo nelle vertenze giudiziarie aventi ad oggetto malpractice sanitaria o il risarcimento delle lesioni conseguenti a sinistri stradali, ma anche nei processi previdenziali.
Nell’ambito di questi ultimi procedimenti, come sappiamo, è disposto l’esperimento obbligatorio dell’accertamento tecnico preventivo che andrà espletato da consulenti iscritti in appositi albi, a pena di improcedibilità della domanda giudiziale, per le seguenti materie: invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, pensione di inabilità ed assegno di invalidità ex l. 222/84, secondo l’art. 445 bis c.p.c
Il tenore dell’intervento legislativo non lascia dubbi in ordine ai requisiti di iscrizione e specializzazione che deve possedere il Consulente, attesa anche la specificità del quadro patologico che è oggetto di accertamento. Nella materia, peraltro, trova espressa applicazione il già citato disposto della L.24/2027 che detta in caso di conferimento peritale o consulenziale, la necessità che vi sia affiancamento di almeno due professionalità (medico legale e altro specialista).
Eppure, anche con riferimento alle procedure in materia di previdenza, si assiste ad una sistematica violazione delle norme sottese al conferimento degli incarichi peritali: sovente la scelta del Magistrato ricade su figure professionali che, per difetto di titoli specializzativi, non sono idonei alla valutazione del quadro patologico in persona del ricorrente, la qual cosa determina non solo la lesione del diritto di difesa costituzionalmente garantito, ma anche la produzione di elaborati errati e/o viziati, in chiaro danno non solo dell’immagine della giustizia, ma anche della collettività.
2.1. TERZIETÀ ED IMPARZIALITÀ DEL C.T.U.: L’EQUA DISTRIBUZIONE DEGLI INCARICHI.
Oltre a quanto stabilito dalla L. n. 24 del 2017, è fondamentale che, anche per il Consulente Tecnico
(in qualità di ausiliario del giudice), così come per il magistrato, siano assicurati i caratteri della terzietà e dell’imparzialità connessi all’esercizio dell’incarico.
Sul punto, gli artt. 22 e 23 disp. att. c.p.c. già precisavano le modalità di distribuzione degli incarichi ed il relativo potere di vigilanza. In particolare, l’art. 23 come integrato dalla Legge n. 69/2009 sancisce che “Il Presidente del Tribunale vigila affinché, senza danno per l’amministrazione della Giustizia, gli incarichi siano equamente distribuiti tra gli iscritti all’albo, in modo tale che a nessuno dei consulenti possano essere conferiti incarichi in misura superiore al dieci per cento di quelli affidati dall’ufficio e garantisce che sia assicurata l’adeguata trasparenza del conferimento degli incarichi anche a mezzo di strumenti informatici”.
Lo scopo della norma appena richiamata si ritrova nella volontà di evitare che si verifichino situazioni di nomine continue del medesimo Consulente da parte dello stesso giudice.
3. LA REALTÀ DEI FATTI.
Stante questo quadro normativo, è lecito avere un’elevata aspettativa non solo in relazione alla qualità nella scelta dei Consulenti, ma anche in rapporto al profilo della turnazione nel conferimento e svolgimento degli incarichi: da un lato, sul piano della scelta dei C.T.U., questi ultimi devono essere altamente competenti nella materia medica oggetto di esame e, quindi, devono essere dotati di alta qualificazione ed esperienza professionale in medicina legale; dall’altro lato, sul piano di una giusta distribuzione degli incarichi, bisogna evitare che i professioni nominati siano sempre gli stessi e ciò in una più ampia ottica di tutela del superiore prestigio dell’ordine giudiziario (la cui condotta – è bene ricordarlo – deve essere comunque sempre improntata ai principi della terzietà, equilibrio, imparzialità ed indipendenza).
Purtroppo, la teorica normativa si scontra con la realtà dei fatti più su accennata.
Infatti, nonostante l’esistenza delle predette disposizioni normative, non si può non evidenziare la reiterata violazione di tali norme, soprattutto in molti uffici giudiziari facenti parte della Regione Campania con il costante conferimento di incarichi a pochi e noti consulenti. A ciò si aggiunge – come già detto – il silenzio del legislatore in tema di incompatibilità dei Consulenti tecnici di ufficio, nonché un’assenza di una doverosa e adeguata attività di controllo sulle nomine e sulle iscrizioni dei consulenti agli albi presso i Tribunali.
3.1. INCARICHI CONFERITI SEMPRE AGLI STESSI CONSULENTI.
Sotto il primo profilo, duole rappresentare come, in molti procedimenti, il giudizio tecnico non venga demandato ad un collegio, ma venga affidato ad una valutazione solo monocratica.
E, per lo più, gli incarichi vengono molto spesso assegnati non a specialisti in medicina legale, ma a medici generici (quindi, privi di qualsiasi specializzazione) o a medici di specializzazioni che nulla hanno a che fare con il caso in esame.
Questa prassi si è ormai affermata in tema di giudizio di risarcimento del danno conseguente a sinistro stradale laddove accade che le lesioni ortopediche siano valutate da un consulente le cui competenze appartengono ad una diversa area medica (si pensi al caso di un cardiologo o un neurologo), o anche nei processi previdenziali. Ebbene, il rischio di pericolose improvvisazioni, da parte del consulente che si trova a valutare casistiche non affini all’area medica di sua competenza, è molto alto. Inoltre, bisogna anche tener presente che tale modus procedendi comporta la produzione di CTU nulle perché elaborate senza l’adeguata conoscenza della specifica ars medica e delle regole giuridiche che governano il processo.
E tutto ciò a discapito di chi? È evidente che ciò finisce per nuocere gravemente coloro che legittimamente si rivolgono alla Giustizia per la tutela dei loro diritti ed interessi.
Ancora, soprattutto nei primi tempi dopo l’entrata in vigore della Legge Gelli-Bianco, alcuni Tribunali e alcuni magistrati hanno ritenuto di poter risolvere il problema del collegio affidando gli incarichi di C.T.U. a coloro che erano in possesso della specializzazione in medicina legale e, contestualmente, in altre discipline. Come se ciò potesse sostituire il concetto di incarico collegiale. È chiaro che una tale prassi faccia venir meno lo specifico obiettivo della scelta legislativa di affidare, in questa materia, le C.T.U. ad un collegio: cioè, l’integrazione dei saperi e del confronto che possono apportare arricchimento nella ricerca della verità. Risultato che viene assolutamente vanificato, riservando tale consulenza ad un singolo individuo o ad un soggetto non qualificato.
Al quadro ora visto, si aggiunge la sistematica inosservanza delle disposizioni normative che disciplinano e tutelano il principio di turnazione nel conferimento e svolgimento degli incarichi. Un problema che si lega indissolubilmente non solo con il tema della (conseguente) lesione del diritto di difesa delle parti nel giudizio e ancora delle aspettative degli esperti regolarmente iscritti agli albi con determinate specifiche competenze, ma anche con la violazione del principio di trasparenza dell’iter processuale (con il pericolo della creazione di rapporti privilegiati tra Giudici e consulenti).
Un tale fenomeno si vede soprattutto in relazione alle cancellerie dei fori del Giudice di Pace, dove si tende ad agevolare, nelle nomine, pochi “eletti”.
C’è di più.
Non è frequente assistere alla celebrazione di udienze, in cui immediatamente dopo l’espletamento della fase istruttoria, si conferisca immediatamente incarico al CTU già presente in aula. Tale modus procedendi, che si sostanzia, di fatto, in una “nomina al buio”, non può che importare anche violazioni delle norme citate che concernono le modalità di scelta, reclutamento e conferimento dell’incarico perché è di tutta evidenza che la nomina ed il contestuale conferimento dell’incarico al l CTU in udienza non consentano la verifica delle condizioni richieste dalla normativa appena rammentata.
Sull’obbligo di rotazione per i giudici, le Sezioni Unite della Cassazione (Cass. SS.UU., sent. n. 10157 del 18 maggio 2016) hanno chiaramente affermato che, in tema di responsabilità disciplinare dei magistrati, il giudice non può nominare sempre gli stessi Consulenti tecnici d’ufficio, non rispettando il criterio dell’equa distribuzione (e rotazione) degli incarichi di consulenza tecnica. Tuttavia, nonostante le norme e l’affermazione giurisprudenziale a Sezioni Unite, la prassi del conferimento degli incarichi a pochi e noti consulenti non sembra volersi debellare.
Allo stato delle cose e alla luce della Legge Gelli – Bianco, diventa di assoluta indispensabilità un intervento di controllo sulle nomine e sulle iscrizioni dei consulenti agli albi presso i Tribunali: in particolar modo, un attento controllo, da parte del Presidente del Tribunale, sul comportamento dei giudici (soprattutto dei Giudici di Pace), nonché sulle specializzazioni e il Know How.
In coordinamento con un tale intervento di vigilanza, urge altresì una revisione degli albi (che oramai non possono non considerarsi “obsoleti”) per orientare la scelta dei giudici nei vari procedimenti. Infatti, ad oggi, sotto il profilo professionale dei consulenti in materia sanitaria, le indicazioni degli albi risultano del tutto insoddisfacenti (oltre che, spesso, non aggiornate). A tal fine, è necessaria una suddivisione delle specializzazioni dei consulenti e dei periti sulla base di indicazioni che devono essere uniformi a livello nazionale, promuovendo una riqualificazione dei professionisti iscritti.
Difatti, come già detto, ai sensi della Legge n. 24 del 2017, l’art. 15, comma 3 prevede che gli albi dei consulenti debbano essere aggiornati ogni 5 anni e, che in sede di revisione, a norma del comma 2, deve essere indicata, relativamente a ciascuno degli esperti, l’esperienza professionale maturata, con particolare riferimento al numero e alla tipologia degli incarichi conferiti e di quelli revocati. Non solo, il legislatore del 2017 ha espresso – attraverso l’obbligo per i consulenti di ufficio di indicare il numero e la tipologia degli incarichi ricevuti e revocati – l’esigenza di garantirne sia la competenza, sia la loro indipendenza ed autonomia rispetto ai Giudici.
Per prospettare un tale intervento, appare fondamentale effettuare un vero e proprio azzeramento degli albi, creando un albo specifico per i medici-legali, nel rispetto dei requisiti della Legge Gelli – Bianco e uno apposito per i medici clinici supporto.
Così, non solo sarebbe assicurata la centralità del medico-legale (come affermato anche dalla Corte di Cassazione con la sent. n. 18773 del 26 settembre 2016), ma, a seconda dei casi di specie, egli verrebbe affiancato da specialisti del settore concernente la lesione oggetto della consulenza. Ed è chiaro che bisognerà valutare l’adeguatezza di tali esperti guardando non solo al mero titolo accademico, ma anche al loro concreto e stimato esercizio negli anni.
Un tale intervento avrebbe un doppio riflesso: da un lato, si escluderebbe la possibilità per i giovani medici di improvvisare un’attività medico-legale e, dall’altro lato, si assicurerebbe che le varie specializzazioni siano realmente attinenti ad esaminare il caso di specie.
3.2. C.T.U. E C.T.P.: ASTENSIONE E RICUSAZIONE.
L’attenzione deve poi ricadere sul secondo dei profili prima accennati.
L’attuale disciplina presenta (ancora) lacune, soprattutto in tema di regime di incompatibilità, ricusazione ed astensione dei Consulenti. Questo fa sì che, in concreto, non si riesca a garantire i caratteri dell’indipendenza e della terzietà che, invece, devono caratterizzare la figura del professionista tecnico. Infatti, quanto stabilito dal c.p.c. (artt. 192, 51 e 52 c.p.c.) non sembra essere sufficiente a scongiurare ipotesi in cui i C.T.U, pur non avendo un immediato interesse nel processo, siano in realtà comunque legati alle parti in causa, allorché prestino la loro opera privatamente e al di fuori delle aule di Giustizia.
Basta guardare alla prassi di molti fori – soprattutto della Regione Campania e specialmente alcuni mandamenti del Giudice di Pace – nei quali si può constatare che “quei pochi” consulenti d’ufficio, frequentemente nominati dal magistrato, svolgono abitualmente anche il ruolo di Consulenti tecnici di parte negli stessi mandamenti, circondari e distretti.
Di conseguenza, è molto probabile che lo stesso specialista sia, sebbene in altri processi, consulente di una delle parti della causa ove svolge il ruolo di tecnico d’ufficio: è chiaro che l’oggettività del suo operato può subire, in questo modo, un condizionamento. Per di più, molte certificazioni (soprattutto mediche), che sono contenute nei fascicoli di parte, riportano la firma di quegli stessi medici che, nel medesimo foro, vengono incaricati come C.T.U..
Queste falle del sistema, come anticipato, potrebbero essere sanate se solo si prevedesse un (già auspicato) più rigoroso controllo delle nomine dei consulenti e, soprattutto, un regime più stringente dei motivi di incompatibilità e ricusazione.
A tal fine, sarebbe opportuno prevedere un regime di incompatibilità assoluta delle funzioni di C.T.U. e C.T.P. o, almeno, negare lo svolgimento contemporaneo dell’incarico di C.T.U. e C.T.P. nello stesso circondario di Tribunale, secondo quella stessa ratio ispiratrice delle norme sull’incompatibilità dell’avvocato ad esercitare le funzioni giudiziarie onorarie di Giudice di Pace nel circondario del Tribunale dove esercita la professione forense.
Analogamente dovrebbero assurgere a motivi di astensione e/o ricusazione la mancanza di specializzazione e la violazione dei requisiti di iscrizione agli albi.
A tale ultimo proposito, non è superfluo rammentare che, nell’ambito di una consulenza giudiziaria, deve essere sempre rispettato il dettato di cui all’art. 61 c.p.c., il quale dispone che la nomina del CTU avvenga tra le persone iscritte negli albi speciali tenuti presso ogni Tribunale per le categorie indicate nell’art. 13, comma 3, disp. att. c.p.c. Nel caso di nomina di consulente tecnico iscritto in albo tenuto presso un tribunale di altra circoscrizione ovvero in caso di nomina di persona non iscritta in alcun albo, l’art. 22, comma 2, disp.att. c.p.c. espressamente dispone che: “Il giudice istruttore che conferisce un incarico a un consulente iscritto in albo di altro tribunale o a persona non iscritta in alcun albo, deve sentire il presidente e indicare nel provvedimento i motivi della scelta.” Di tali attività il Giudice deve fare menzione nel provvedimento di nomina, motivando la scelta, risultando diversamente il medesimo affetto da nullità per vizio di motivazione.
L’art. 15, disposizioni di attuazione al c.p.c., traccia i limiti per l’iscrizione all’Albo dei Ctu, statuendo che la stessa è possibile per tutti coloro che: – hanno una speciale competenza tecnica in una determinata materia; – posseggono una specchiata condotta morale; – risultano iscritti nei rispettivi Ordini e Collegi professionali; – non sono già iscritti in un altro albo Ctu., il tutto da interpretarsi nel contesto in cui al consulente è riconosciuto un ruolo di non secondaria importanza. Da ciò si evince che possono ottenere l’iscrizione all’Albo solo coloro che sono residenti nel circondario del Tribunale, ovvero coloro che hanno in tale luogo il proprio domicilio professionale (equiparato alla residenza dall’art. 16 della L. 526/1999).
In ogni caso non è consentito al professionista di essere iscritto in più di un albo.
L’Albo dei CTU, regolamentato dal codice di Procedura Civile (art. 14, disp. att. cod. proc. civ.), è tenuto dal Presidente del Tribunale ed è istituito da un comitato presieduto dal medesimo e formato dal Procuratore della Repubblica e da un professionista, iscritto nell’Albo professionale nominato dal consiglio dell’ordine o dal collegio della categoria a cui appartiene il richiedente l’iscrizione.
È dunque doveroso, a garanzia del corretto funzionamento dell’intero apparato giurisdizionale, sollecitare un opportuno e quantomeno celere intervento normativo che disciplini particolari forme di incompatibilità per i Consulenti iscritti o che vogliano iscriversi agli albi presso i Tribunali.
Non solo. Sarebbe opportuno anche esercitare una funzione di vigilanza più efficace sui consulenti tecnici, dando concreta attuazione all’art. 19 disp. Att c.p.c secondo cui la vigilanza sui consulenti tecnici è esercitata dal presidente del tribunale, il quale, d’ufficio o su istanza del procuratore della Repubblica o del presidente dell’associazione professionale, può promuovere procedimento disciplinare contro i consulenti che non hanno tenuto una condotta morale [e politica] specchiata o non hanno ottemperato agli obblighi derivanti dagli incarichi ricevuti.
4. SUL REGIME DI INCOMPATIBILITA’ PREVISTO PER I MEDICI DIPENDENTI DELL’INPS
Un’attenzione particolare meritano le regolamentate incompatibilità dei medici dipendenti dell’INPS, la qual cosa potrebbe interessare in primis i giudizi previdenziali, ma anche quelli aventi ad oggetto l’accertamento delle lesioni in altre branche del diritto civile.
Il regolamento INPS approvato con determinazione commissariale n. 19 del 6 marzo 2014 (che ha sostituito quello approvato con determina presidenziale n.12 del 1 febbraio 2012) in materia di “Disciplina delle incompatibilità e delle autorizzazioni a svolgere attività esterne all’Ufficio per i dipendenti dell’Istituto Nazionale Previdenza Sociale”, prevede il divieto, per tutto il personale INPS, di svolgere “attività di tipo commerciale, industriale o professionale autonoma ed artigianale” (art.3) ovvero incarichi che “generano conflitto di interessi con le funzioni svolte dal dipendente o dalla struttura cui lo stesso è assegnato e, in generale, con l’attività istituzionale dell’Amministrazione” ovvero ancora che “per l’impegno richiesto o per le modalità di svolgimento, non consentono un tempestivo e puntuale svolgimento dei compiti d’ufficio da parte del dipendente in relazione alle esigenze della struttura cui è assegnato” (art.5).
In ogni caso, gli incarichi devono essere autorizzati di volta in volta, escludendosi il rilascio di autorizzazioni generiche riferite alla sola tipologia di attività” (art. 10).
La violazione del divieto di svolgere “qualsiasi altra attività di lavoro subordinato o autonomo fatta eccezione per le attività autorizzate dall’Amministrazione (….) costituisce giusta causa di recesso per l’Istituto”.
Orbene, il predetto Regolamento si estende anche nei confronti del personale medico, contenendo l’art. 2 del Regolamento l’espresso riferimento “a tutto il personale dell’INPS, con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, determinato, a tempo pieno e a tempo parziale come descritto nei successivi articoli”.
La stessa circolare INPS n. 37 del 24 marzo 2014 evidenzia che l’art. 2 del Regolamento del 2014 definisce l’ambito applicativo dello stesso, “chiarendo” (evidentemente rispetto alla precedente disciplina regolamentare) la sua operatività anche nei confronti dei dipendenti dell’Area medica.
L’art. 53 d.lgs. n. 165/2001, ed in particolare il comma 7, già nella versione antecedente alla novella introdotta dall’art.1, comma 42, lett. c) l. 6 novembre 190/2012 (cd legge anticorruzione), statuiva che “i dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza”, con l’evidente fine di evitare situazioni di conflitti di interesse fra medici dipendenti ed Amministrazione di appartenenza, che informa anche tutto l’art. 43 del d.lgs. n. 165 del 2001.
Del resto, come precisato dalla Corte di Cassazione “l’obbligo di esclusività, desumibile dal richiamato art. 53, ha particolare rilievo nel rapporto di impiego pubblico perché trova il suo fondamento costituzionale nell’art. 98 Cost. con il quale il legislatore costituente, nel prevedere che “i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”, ha voluto rafforzare il principio di imparzialità di cui all’art. 97 Cost., sottraendo il dipendente pubblico dai condizionamenti che potrebbero derivare dall’esercizio di altre attività” (cfr. ex multis, Cass.n. 427/2019 che richiama Cass. n. 20880/2018, Cass. n. 28797/2017; Cass. 8722/2017 e Cass. n. 28975/2017).
Con la recentissima sentenza n° 482/2016 la Corte dei Conti Campana ha affrontato la delicata questione della l’esclusività assoluta del rapporto lavorativo dei Medici Legali nei confronti dell’INPS, precisando che il medico Inps che, senza autorizzazione alcuna, svolga anche l’attività libero professionale è passibile della sanzione prevista dall’art. 53, commi 7 e 7bis, del decreto legislativo n°165/2001, come novellato dalla Legge 190/2012.
Tale articolo, prevede che il dipendente pubblico (e tale sarebbe il medico INPS) che svolga attività professionale considerata incompatibile o senza la previa espressa autorizzazione della amministrazione di appartenenza, venga sanzionato economicamente in misura eguale agli introiti derivanti dalla attività svolta senza permesso.
Come debitamente chiarito dalla Corte il medico INPS, seppure esercente una professione sanitaria, è inserito nei ruoli amministrativi, né più, né meno, che un impiegato di qualsivoglia categoria. Di più! La riforma della detta norma operata dalla Legge di Stabilità del 2012, secondo la Corte, pone limiti ancora più restrittivi poiché miranti ad evitare qualsivoglia posizione di conflitto di interessi. Ebbene, da tale punto di vista, in effetti, un medico INPS potrebbe trovarsi certamente a periziare privatamente soggetti in causa contro l’Ente il che giustificherebbe il diverso inquadramento della fattispecie.
Sulla questione è intervenuto anche il Consiglio di Stato con sentenza del 2 febbraio 2021 – n. 948 affermando che
Il regolamento– determinazione del Commissario Straordinario INPS n. 19 del 6 marzo 2014, con cui era disposta la regolamentazione della “Disciplina delle incompatibilità e delle autorizzazioni a svolgere attività esterne all’ufficio per i dipendenti dell’Istituto nazionale previdenza sociale, ai sensi dell’art. 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”- con particolare riferimento al personale medico, risulta essere stato adottato dall’Istituto nell’esercizio di quella discrezionalità ed autonomia, cui la contrattazione collettiva (CCNL per il quadriennio 1994-1997, artt. 8 e 9), a sua volta legittimata dalla legge alla regolamentazione dei rapporti di lavoro, a seguito della c.d. privatizzazione del rapporto di pubblico impiego (art. 2 d.lgs 29/93, riprodotto all’art. 2, comma 3, d.lgs 165/2001), ha “demandato la disciplina dell’attività libero-professionale del personale medico del comparto”.
Nonostante la chiara lettera delle disposizioni sopra citate, non è infrequente che il Medico dipendente INPS svolga anche il Ruolo di CTU, nei giudizi previdenziali e non, senza ottenere le dovute autorizzazioni.
Ciò non solo è sanzionabile dall’Istituto, ma integra altresì una chiara ipotesi di incompatibilità in quanto rientrante tra le gravi ragioni di convenienza.
5. VIOLAZIONE DEGLI ONERI DI FATTURAZIONE DEI COMPENSI DOVUTI PER LO SVOLGIMENTO DELL’INCARICO DI CTU NEI PROCEDIMENTI CIVILI.
Non meno rilevante è sottolineare le violazioni in cui incorrono molti Consulenti omettendo di rendere fattura per le attività svolte e ciò specialmente quando la parte tenuta al pagamento sia un privato e non, ad esempio nei procedimenti di liquidazione del danno conseguente ad un sinistro stradale, una compagnia assicurativa.
Eppure la fiscalità dei del compenso al CTU è assoggettata a criteri ben precisi e dovrebbe essere oggetto di controlli più incisivi. L’Agenzia delle Entrate nella circolare 9/E/2018, relativa alle modifiche dello split payment, si è occupata dei compensi dovuti al CTU, Consulente Tecnico d’Ufficio, nominato dal Giudice nell’ambito dei procedimenti civili, precisando che titolare passivo del rapporto di debito è la parte esposta all’obbligo di sopportare l’onere economico, ma che il CTU è obbligato ad emettere la fattura 9 nei confronti del Tribunale evidenziando che il pagamento è avvenuto con denaro fornito dalla parte individuata dal provvedimento giudiziale. Tale soggetto è tenuto, infatti, in base al provvedimento del Giudice, al pagamento del compenso per le prestazioni professionali rese, al di fuori del sinallagma commissione-prestazione, a favore dell’Amministrazione della giustizia, committente non esecutrice del pagamento. In sintesi: • una volta emesso dal Giudice il decreto di liquidazione del compenso (o del fondo spese), il CTU è chiamato ad invoare avviso di parcella alla parte onerata del pagamento, riportante le modalità del pagamento stesso; • ricevuto il pagamento, il CTU deve emettere fattura elettronica intestata al Tribunale evidenziando di avere ricevuto il pagamento dalla parte onerata, e deve inviare copia di cortesia in pdf alla parte; • in caso di ripartizione del pagamento in misura solidale tra le parti, il CTU deve inviare due avvisi di parcella a ciascuna delle parti nella misura del 50% e poi emettere al momento di ciascun incasso le relative fatture al Tribunale; • in caso il pagamento sia posto a carico di soggetti sostituti d’imposta, il CTU dovrà applicare la ritenuta d’acconto anche nella fattura emessa nei confronti del Tribunale, ma tutti gli adempimenti (versamento ritenuta, consegna della certificazione CU e dichiarazione dei sostituti di imposta) saranno a carico della parte onerata del pagamento; • laddove, invece, il pagamento sia posto a carico di soggetto non sostituto d’imposta (privato), il CTU non dovrà applicare la ritenuta d’acconto nella fattura emessa nei confronti del Tribunale, così come indicato dall’Agenzia delle entrate nella risposta ad interpello n. 211/2019
5. CONCLUSIONI.
Dunque, ci si auspica che i destinatari del presente esposto vogliano intervenire, in ottemperanza alla normativa vigente, al fine di sanare questa falla creatasi nel sistema giudiziario, vigilando, sulle iscrizioni agli albi e sulle modalità di reclutamento dei Consulenti Tecnici di Ufficio.
Inoltre, a garanzia del corretto funzionamento dell’amministrazione della giustizia, è doveroso sollecitare un opportuno intervento normativo che vada a regolamentare particolari forme di incompatibilità per i Consulenti iscritti o che vogliano iscriversi agli albi presso i Tribunali. Infatti, come responsabili del corretto funzionamento dell’attività giudiziaria, abbiamo l’onere di aspirare ad una giustizia nuova, sana e trasparente, la quale – andando a garantire la corretta soluzione al migliore esercizio del potere giurisdizionale e al diritto di difesa – potrebbe dare una forte motivazione per una ripresa dal degrado etico-morale in cui versa il nostro Paese.
Avv. Emma Vizzino
Avv. Riccardo Vizzino